Salve, Sancta Parens

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musica
L’antifona di ingresso nella Solennità di Maria Santissima, Madre di Dio.

Salve Madre santa, puerpera che hai dato alla luce il Re
che governa il cielo e la terra nei secoli dei secoli.
V. Il mio cuore proferisce una buona parola: io dico al re le mie opere.
(nostra traduzione)

Il primo giorno dell’anno civile la Chiesa commemora solennemente la divina maternità della Vergine Maria. Le radici di questa festa sono molto antiche: durante il Concilio di Efeso del 431, precisamente l’11 ottobre, venne sancita come verità di fede la “divina maternità di Maria”, ma fu solo dopo quindici secoli, nel 1931, che il papa Pio XI ne istituì la ricorrenza liturgica.

Non esistono dunque nel repertorio gregoriano brani propri per questa solennità, relativamente recente, ma la letteratura cristiana è piena di rimandi teologici a questa verità. Il Graduale propone due introiti: quello della Messa dell’Aurora del Natale Lux fulgebit (siamo, infatti, ancora all’interno dell’Ottava del Natale), oppure un’antifona mariana con il testo tratto dal Carmen paschale (II, 63-64) di Sedulio (V sec.), cui già in epoca tardo-medievale fu applicata la melodia dell’introito Ecce advénit dell’Epifania, con piccole modifiche dovute all’adattamento al testo. Il testo di Sedulio dedicato alla generazione del Figlio di Dio da Maria non si conclude ai soli due versi 63 e 64, ma prosegue per altri 8 esametri donandoci interessanti spunti di riflessione.

Salve, sancta parens, enixa puerpera regem,
Qui cælum terramque tenet per saecula,
cuius Nomen et æterno conplectens omnia gyro
Imperium sine fine manet; quæ ventre beato
Gaudia matris habens cum virginitatis honore
Nec primam similem visa es nec habere sequentem:
Sola sine exemplo placuisti femina Christo.
Tunc prius ignaris pastoribus ille creatus
Enituit, quia pastor erat, gregibusque refulsit
Agnus et angelicus cecinit miracula cœtus.

Il testo dopo avere descritto con tre parole con il medesimo significante (parens, enixa, puerpera) la divina maternità di Maria, cede il passo alla descrizione di colui che è stato partorito. Egli è un re che sostiene l’universo, che detiene un potere eterno scevro dalla ruggine dello spazio e del tempo, che comprende e circonda ogni cosa creata. Il Verbo infinito ed eterno si incarna nel ventre beato e illibato di Maria, colei che è piaciuta all’Obbediente.

Dal prodigio di tanta umiltà, il Creatore si è fatto creatura (ille creatus) e lui, che è l’autore del cosmo e la guida dell’umanità, si è mostrato nelle sembianze di un bimbo a coloro che sono chiamati a guidare le greggi. Egli ha voluto divenire modello per tutte le guide umane, da quelle politiche a quelle religiose, mostrandosi come agnello mansueto al macello (cfr. Ger 11,19).

Le parole del salmo, affidate al versetto, le immaginiamo in bocca alla Vergine che, parlando a Dio, ha per lui la parola buona: il Sì, la risposta affermativa all’iniziativa del Padre; Maria non è molto loquace, nei Vangeli parla poco, ma agisce molto: anche qui ella non dice parole precise, piuttosto lascia che le sue azioni parlino per lei (dico al re le mie opere), mettendo in pratica l’ammonimento di Giacomo: «Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto» (Gc 1,22); anche allo sposalizio di Cana, quando mancò il vino alle nozze, la Madre di Gesù (cfr. Gv 2,1) invita ad agire secondo la Parola di Dio: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2,5).

Maria, allora, merita il saluto con una solenne formula melodica, che il gregoriano riserva alla parola Ecce in contesto di acclamazione regale: è madre ma anche sposa del Re, nostro modello di vita cristianamente realizzata. Dalla sua maternità impariamo che la vera fecondità sgorga dalla fede e dall’ascolto, attraversa silenziosa il servizio, si lascia stupire e plasmare dall’Amore e arriva a conformarsi a Dio: vera fecondità è donarsi al volere di Dio.


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