Proseguiamo l’incontro delle scorse settimane sull’emergenza carceri con il prof. Paolo Pittaro, Garante regionale dei diritti della persona. Ci sono recenti novità sul tema, magari riconducibili alla 50a Settimana dei cattolici in Italia, appena conclusasi?
C’è un’importante novità normativa degli ultimi giorni: il decreto legge 4 luglio 2024, n. 92 recante, fra l’altro, “Misure urgenti in materia penitenziaria”, che viene a trattare proprio quei profili che avevo rappresentato la scorsa settimana e che avrebbe dovuto intervenire a disciplinare l’emergenza carceraria, quale emerge dal continuo sovraffollamento e dall’elevato numero di suicidi (che nei giorni scorsi ha raggiunto il numero di 53, anche se nessuno nella nostra Regione). Avevamo evidenziato la necessità di un ampiamento della liberazione anticipata, portandola, dai 45 giorni attuali, almeno a 60 ed una disciplina organica che aumentasse il numero delle telefonate concesse ai ristretti. Ebbene, il decreto Legge tratta proprio questi specifici argomenti, ma con esito molto deludente.
La liberazione anticipata (art. 5), rimane immutata nella disposizione attuale dei 45 giorni per semestre, mentre viene previsto un procedimento ritenuto più scorrevole, che solo l’esperienza valuterà tale, ma che si dubita fortemente possa contribuire a ridurre il sovraffollamento a tempi rapidi.
Per quanto riguarda la corrispondenza telefonica (art. 6) il decreto non prevede quella maggiore liberalizzazione, richiesta da più parti a gran voce, ma rinvia ad un Regolamento, da emanarsi entro sei mesi, per il necessario incremento (non specificato) del numero dei colloqui telefonici settimanali e mensili, ammettendo intanto un’autorizzazione in deroga ai limiti attuali, lasciata ovviamente alla discrezionalità dei Direttori. Una decisione, direi paradossale, in quanto non solo il Ministro della giustizia, ma perfino il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, poteva provvedere immediatamente, senza la necessità di un decreto legge che rinviasse ad un Regolamento.
In definitiva: nessun provvedimento tale da regolamentare con urgenza ed immediatamente l’emergenza del sovraffollamento e dei suicidi: anzi, dei suicidi manco una parola.
Inoltre, le disposizioni iniziali prevedono l’assunzione di 1.000 unità del Corpo di polizia penitenziaria, ma previste 500 per il 2025 e 500 del 2026, nonché l’assunzione di alcuni dirigenti e quadri penitenziari, privilegiando lo scorrimento delle graduatorie già esistenti. Anche su questo quadrante, dunque, nessuna soluzione immediata ed un rinvio a tempi dilatati.
Non c’è quindi nessuno spazio per risolvere l’emergenza carceraria, secondo quanto proposto coralmente da tante parti, dai Garanti territoriali alle Camere penali, dai docenti di diritto e procedura penale ai costituzionalisti?
Ai sensi della Costituzione il decreto legge deve essere convertito in legge dalle Camere entro 60 giorni, altrimenti decade sin dall’inizio. Tuttavia, può essere convertito con emendamenti e si può sperare che le forze politiche intervengano per modificare in meglio e nel senso da più parti auspicato tale normativa. Stiamo a vedere.
Ma il decreto legge non presenta nessuna disciplina positiva, o qualche innovazione di rilievo per arginare il sovraffollamento?
Una novità c’è, in quanto l’art. 8 stabilisce “Disposizioni in materia di strutture residenziali per l’accoglienza e il reinserimento sociale dei detenuti”. In sintesi, viene disposta l’istituzione presso il Ministero della Giustizia di un elenco delle strutture residenziali idonee all’accoglienza e al reinserimento sociale di coloro che hanno i requisiti per accedere alle misure penali di comunità, ma che non sono in possesso di un domicilio idoneo e sono in condizioni socio-economiche non sufficienti per provvedere al proprio sostentamento.
Entro sei mesi dovrà essere emanato un decreto per definire le modalità, la disciplina, l’aggiornamento di tale elenco e, soprattutto, le caratteristiche e i requisiti di qualità dei servizi necessari per l’iscrizione. Ovviamente, si presume dovrà decorrere un altro ampio lasso di tempo per consentire a tali strutture residenziali di iscriversi nell’elenco e al relativo controllo, posto che esse dovranno garantire, oltre all’accoglienza residenziale, lo svolgimento di servizi di assistenza, di riqualificazione professionale e reinserimento socio-lavorativo dei soggetti residenti, di riabilitazione dei detenuti tossicodipendenti o con disagio psichico, che hanno i requisiti per accedere alle misure penali di comunità. In definitiva, anche in questo caso i tempi sono molto dilatati e sorge la forte perplessità sulla reale esistenza e consistenza di tali strutture residenziali, il cui costo gestionale dovrà ricadere non sul bilancio dello Stato, ma su quello della Cassa delle Ammende. In ogni caso, trattasi di una previsione importante, che dovrà essere attuata nel tempo con un attento monitoraggio sulla presenza e l’efficienza di tali strutture residenziali.
È possibile trarre quale indicazione sul tema dalla 50a Settimana dei cattolici in Italia? Lei ha partecipato a qualche evento significativo sulla situazione carceraria?
Sappiamo bene e non occorre ricordare anche qui il costante, accorato monito di Papa Francesco sulle carceri, ove emerge quella cultura (se così di può chiamare) dello scarto. E già poche settimane or sono, il Santo Padre, nella sua visita al carcere veneziano femminile della Giudecca, aveva esortato a “non chiudere la finestra, per favore, sempre guardare l’orizzonte, sempre guardare il futuro, con la speranza”.
A mio avviso rimane molto significativo il fatto che i detenuti della Casa circondariale “Enzo Mari” di Trieste, nonostante il marcato sovraffollamento (ora 262 reclusi su una capienza di 150 posti e con i materassi a terra), abbiano contribuito a realizzare i bei mosaici che hanno adornato l’ambone ove il Pontefice ha celebrato la S. Messa e l’Angelus nella domenica di chiusura della Settimana sociale. Personalmente ho incontrato, felicitandomi, una rappresentanza dei detenuti e degli educatori presenti e devo evidenziare che tale contributo è stato citato nel libretto che ha accompagnato la celebrazione eucaristica diffuso e consegnato alle migliaia di persone presenti nella piazza dell’Unità d’Italia.
Tale atto, per quanto minimale, mi permette di allargare il nostro discorso, per rimarcare come il tempo “vuoto” delle giornate carcerarie conduca ad una recidiva di oltre il 70%, mentre il tempo dedicato al lavoro ed all’istruzione presentino una recidiva inferiore al 5%.
Nel contesto della Settimana sociale ho partecipato, il 5 luglio, alla “Piazza della democrazia” dedicata al tema “Carcere: costruire dignità e libertà”, che ha visto principale relatore la prof.ssa Marta Cartabia, già Ministro della Giustizia e Presidente della Corte costituzionale. La Cartabia ha illustrato, da par suo, i profili di una riforma dell’ordinamento carcerario, da lei iniziata del 2022, tesa a ridurre i tempi della giustizia e ad inserire quel processo di giustizia riparativa (specie tramite la mediazione penale), che non sostituisce il processo penale, ma che accosta, secondo la loro libera scelta, il reo alla vittima, in un rapporto che va al di là del reato, ma si incentra al riconoscimento della dignità della persona nella prospettiva di una appartenenza comunitaria. Parimenti, si è soffermata sulla attuale emergenza carceraria, nei medesimi termini finora qui esposti.
Anche a seguito di un mio breve intervento, nel quale ho sottolineato come sia il recentissimo decreto legge n. 92/2024 in materia penitenziaria sia il c.d. decreto Caivano n. 123/2023 sulla giustizia penale minorile, rispondano soprattutto ad esigenze securitarie che vengono a prevalere su quelle della rieducazione (per i detenuti adulti) e quella della educazione (per i rei minorenni), la prof. Cartabia ha concluso la Piazza, affermando, con lucida autorevolezza, come il riconoscimento della dignità del ristretto e con tutte le azioni ed i provvedimenti tesi a rendere migliore la vita all’interno del carcere siano al contempo la migliore garanzia securitaria, che non può essere imposta da sola in un’ottica meramente repressiva.
Giuliana Stecchina