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XXIV Domenica TO – Non pensi secondo Dio - Domenicale di San Giusto

 

Ogni Benedetta domenica

Cari fratelli e sorelle, la frase chiave del Vangelo di questa XXIV settimana del tempo ordinario è “non pensi secondo Dio”.

La pagina evangelica di questa domenica ci presenta il centro del Vangelo secondo Marco.

I primi otto capitoli del testo marciano sono centrati sulla presentazione di Gesù come Messia attraverso i miracoli che compie e discorsi che fa, e si concludono con la professione di fede di Pietro, il capo degli apostoli. Da questo momento cruciale, nel quale Gesù spiega il fine della sua missione, ovvero morire sulla croce e risorgere, i capitoli seguenti ci portano al compimento della missione stessa, giungendo ad un’altra professione di fede, quella del centurione romano che vede Gesù morire in croce: «Costui veramente era il Figlio di Dio».

Il Vangelo di oggi ci presenta un volto nuovo di Gesù, un volto che Pietro stesso fa fatica a riconoscere e ad accettare. L’apostolo in un primo momento si sbilancia e riconosce in Gesù il Messia che il popolo di Israele stava aspettando da secoli, ma dopo l’annuncio della morte e della risurrezione si scandalizza, prende Gesù in disparte e lo rimprovera.

Da un lato, il fatto che Simone voglia riprendere il suo maestro per quello che dice è un’immagine che fa sorridere: il discepolo che vuole insegnare al maestro… D’altra parte però, è una Parola di Dio molto importante ed esistenziale per tutti noi.

Gesù sembra quasi offendere l’apostolo chiamandolo Satana, ma vuole, invece, evidenziare in maniera forte e decisa il fatto che lo scandalo di Pietro sia dovuto al fatto che egli pensa secondo gli uomini e non secondo Dio, in maniera diabolica quindi.

Così anche noi, quando non pensiamo secondo Dio, ma secondo gli uomini diventiamo voce del maligno, e quando accade? Quando ci scandalizziamo della croce, quando desideriamo escluderla dalla nostra vita cercando di scansarla e, in caso non riuscissimo, tutte le volte che cerchiamo mille alienazioni pur di non entrare nella nostra storia.

La vita di Gesù ci mostra come la croce non sia il fine della storia, ma il mezzo fondamentale per compiere la missione di messia, ovvero la risurrezione, la vita nuova che spalanca l’esistenza all’eternità.

Senza croce non c’è risurrezione, e quindi essere cristiani, uomini nuovi, risorti, implica necessariamente salire quotidianamente sulla nostra croce.

Ognuno di noi sa quali sono le sofferenze che legano il nostro cuore: una malattia, un lutto, un dolore legato a qualche situazione affettiva, la non accettazione del nostro fisico o della nostra storia personale, una vita professionale castrata, le difficoltà economiche, qualcuno che ci fa delle angherie, o qualsiasi altra cosa.

Essere discepoli di Cristo vuol dire salire sulla croce, assumere la dimensione crocifissa della nostra vita, e quindi pensare secondo Dio implica il non escludere questo elemento dalla nostra vita, accoglierlo come un’opera di Dio. Chi vuole salvare la propria vita la perderà, chi basa la propria relazione con Dio solamente sulla ricerca di un benessere generale, come se Gesù fosse una sorta di assicurazione contro gli infortuni della vita, uscirà sconfitto.

Non è sbagliato chiedere al Signore di alleviare le nostre pene, ma è fondamentale capire che la nostra vita spirituale nasce e fiorisce dal legno della croce. La croce ci pungerà sempre, la risposta ai dolori della vita ce la da l’incontro con Cristo, il salire sulla croce insieme a lui, per scoprire che anch’essa, anche le difficoltà della nostra vita sono un’opera di Dio, anzi sono luoghi preziosissimi dell’incontro con Cristo nella nostra esistenza. La croce è il letto d’amore dove lo sposo, Cristo, ha sposato l’intera umanità nel dono di sé più totale e assoluto. Questo è il luogo dove il Signore ti attende, per farti scoprire che non è un patibolo di morte, ma è uno spazio di vita vera, di rinascita e di risurrezione. La croce è la tua salvezza, non la tua condanna!

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