È essenziale porsi in ascolto, ascoltare da una parte la gente e dall’altra la parola di Dio; pregare molto perché nel raccoglimento ci si può ispirare su come servire meglio.
È questa la “ricetta” di don Antonio Bortuzzo, 70 anni, nato a Lestans, comune di Sequals, oggi in provincia di Pordenone ma cresciuto e vissuto sempre a Trieste tranne assenze significative, dai 3 anni come missionario diocesano in Kenya ai lunghi periodi di studio a Roma e Gerusalemme. Nei tanti anni di sacerdozio don Antonio potrebbe essere definito con dolce ironia il “globetrotter con la tonaca” tanto si è diviso alternativamente tra gli incarichi al seminario di Castellerio, nell’Udinese, e in varie parrocchie, da quella di San Vincenzo de’ Paoli alla Regina Pacis e alla Gesù Divino Operaio.
In solido con don Davide Chersicla, don Antonio da oggi – sabato 5 ottobre – reggerà la Parrocchia di Servola.
Forte della sua lunghissima esperienza, come giudica cambiata la vita delle parrocchie negli ultimi anni?
Sinceramente non si può esprimere un giudizio generale; dipende dal carattere parrocchia stessa, dal parroco, dal lavoro pastorale, da come la gente risponde. A Trieste vi è una differenza enorme tra le parrocchie, spesso mondi diversi, per il loro tessuto sociale e per il lavoro dei preti in relazione a questo.
Servola com’è?
È una parrocchia molto antica, torniamo indietro di alcuni secoli. Una volta era un paesino di campagna, abitato prevalentemente da sloveni: in una sua villa il vescovo usava ritirarsi. Negli anni Sessanta e Settanta di questo secolo accanto alle tradizionali casette con giardino od orto, che nei decenni hanno visto mutare la tipologia dei proprietari, nella parte bassa furono costruiti condomini piuttosto grandi.
Con che spirito affronta questa nuova esperienza?
Vado senza pregiudizi, è un mondo da scoprire, darò una mano a don Chersicla, ce la metterò tutta. È importante stare molto attenti a ciò che il Signore ci pone davanti e “leggere” la realtà con uno sguardo di Fede.