Tutti noi che quotidianamente entriamo in classe ci confrontiamo con generazioni che vivono di immagini, di loghi, emoticon, cartoni, pubblicità, serie tv e film, post e icone. È un consumo continuo, veloce, a scorrimento, ipertestuale, con forte difficoltà di decodifica e lettura di ciò che si vede. Il bello e profondo pomeriggio offerto da Paolo e Alida Cartagine del Circolo fotografico triestino ha presentato l’opportunità di acquisire strumenti didattici che portano ad una riflessione ed a una comprensione dell’immagine fotografica sollevando dubbi, interpretazioni, margini di incomprensione e mistero ma consentono, contemporaneamente, anche un grande esercizio di umanità e rispetto, di umile accettazione di essere un pezzetto della realtà.
Questo gioco di scambi, di espressioni e questo bisogno di fotografare sottende la domanda del “Perché” lo facciamo, perché scattiamo, perché inquadriamo e perché in quel modo, da quell’angolazione, con quel sistema, e trascina con se la risposta-affermazione del grande Bresson “Alla fine fotografi sempre te stesso” e – potremmo indegnamente aggiungere noi dopo l’esercizio di questo laboratorio – altrettanto fai quando guardi le foto degli altri, perché le leggi a partire dalle tue conoscenze, dalla tua situazione storico-geografica, dalle tue esperienze, dalla tua sensibilità, dal tuo carattere e dal tuo umore in quello specifico momento.
C’è sempre un “io” al centro di chi scatta e di chi guarda, con le sue scelte di un ”qui” e un “adesso”, di uno spazio e di un tempo, di un ritaglio statico, fermo, congelato, che lascia fuori tutto un contesto, che permette di cogliere particolari che nella realtà non si notano, di riguardare quando si ha tempo voglia o opportunità, che non ha spiegazione o collocazione (come si fa con la parola scritta o detta), che lavora per sottrazione e non per addizione (come accade per la pittura) senza aggiustamenti.
Parlare di fotografia è parlare ai ragazzi di limite (noi siamo un pezzetto della storia e della geografia), di scelta esistenziale ed etica, di imperfezione e impossibilità di avere una realtà unica per tutti perché ogni foto fa convergere o divergere le linee che sono ortogonali o parallele, altera i colori, filtra la luce, allunga o accorcia le distanze, insomma è una formidabile palestra di libertà e di confronto con l’altro che vede comunque la nostra foto a modo suo per un tempo che solo lui può stabilire.
L’apporto del circolo fotografico triestino – ormai di casa all’UCIIM – ha voluto mettere quest’anno proprio la foto all’ interno del suo percorso formativo per insegnanti ed educatori, perché su un oggetto dove tutto sembra divergere invece l’ essere umano porta tanti sguardi, valori, esperienze differenti che traducono la nostra e altrui umanità e indissolubilmente le uniscono. Il circolo si appresta il prossimo anno a tagliare il traguardo straordinario dei 100 anni dalla sua fondazione e speriamo che per tanto, tanto tempo ancora possa portare a noi ed a tutta la nostra città questa lettura sapienziale sull’uomo.
Annamaria Rondini
Foto di Rudy and Peter Skitterians da Pixabay