«Mandati ad invitare tutti»: è con questo appello, ripreso dal messaggio di Papa Francesco, che il nostro vescovo Enrico da’ inizio alla veglia missionaria diocesana venerdì 25 ottobre nella chiesa di San Giovanni Bosco, animata da un bravissimo coro parrocchiale e da una comunità vive e partecipe, che ha curato la veglia in ogni segno e dettaglio.
La veglia ci propone come riflessione il tema del banchetto del Vangelo di Matteo (22, 1-20) che viene letto in tre tappe, a cui sono associate tre riflessioni: il rifiuto di chi ha già il “suo” banchetto, l’accoglienza dei “senza banchetto” e le sfide dell’oggi.
Momento molto forte è stata la preghiera di invocazione alla pace: abbiamo pregato per le terre martoriate dell’Ucraina, per la Terra Santa e il Libano e per le guerre dimenticate nel mondo.
Ed ecco arrivare al cuore della veglia, con le testimonianze di due sacerdoti che hanno dato la loro vita per la missione. Per un attimo ci trasportano in Etiopia e a Cobija, in Bolivia, al confine con il Brasile, nel bacino dell’Amazzonia.
Don Filippo Perin, missionario ormai da 15 anni a Camberra, vive nel villaggio di Lare, vicino a un fiume, in mezzo alla polvere, tra leoni e antilopi, dove tutto è soffocato dal grande caldo… «Dopo tre settimane senza un letto, senza frigo, senza bagno, senza acqua – ci confida sorridente don Filippo – ho pensato tra me…”mi sono sbagliato, torno a casa, non sono come loro, non posso vivere come loro”. L’ impatto iniziale è stato per me molto difficile, sono stato catapultato in un mondo dove manca la vita, dove la domanda che ci si fa ogni giorno non è “cosa mangerò oggi?” ma “riuscirò a mangiare oggi?” Dove le uniche medicine disponibili sono la tachipirina e l’antibiotico, dove non è garantita la scuola, dove manca la pace: è finita solo l’anno scorso una lunga guerra civile che ha mietuto tantissimi morti a causa della forte instabilità politica…».
«In tutto questa realtà però ho trovato quattro cose bellissime che mi hanno dato il coraggio di rimanere», ci confida don Filippo: la loro grande accoglienza, una gioia fortissima, contagiosa; il valore della famiglia: la famiglia è intoccabile, è al centro di tutto. Poi c’è Dio, tutti suonano i tamburi, pregano e lodano Dio (in un crogiolo di realtà diverse: famiglia ortodossa, protestante da una parte, mussulmani dall’altra…). Poi c’è il coraggio (soprattutto delle donne, che portano il peso della vita): ogni giorno, nonostante la vita così dura, riescono ad essere positivi, gioiosi.
Cosa offriamo noi missionari? Aiuto umanitario, medicine, costruiamo pozzi e così via da una parte e dall’altra portiamo un cammino di fede: un versetto della Parola di Dio, quello che parla proprio a te. Se penso a un’immagine vedo che Gesù si è messo all’ultimo posto nel banchetto. «Così i missionari partecipano al banchetto non per sedersi, ma per servire e fare i camerieri», conclude don Filippo, invitando tutti a venire a vedere.
Il testimone passa quindi a mons. Tito Solari, 85 anni, missionario in Bolivia da 50 anni. «E, da quando ho lasciato il servizio episcopale – ci confida – sono andato davvero in missione!» Con questa battuta vuole farci entrare un pochino nella nuova missione che ha iniziato quattro anni fa: si trova in un posto molto isolato – ci vogliono 10 ore se va bene per arrivarci, dall’ultimo posto in cui si arriva con un mezzo. La missione nella regione del Pando che ha intrapreso è così complessa che la prima cosa che ha fatto è stata chiedere l’aiuto della preghiera a sei monasteri di clausura: come ci insegna santa Teresa, patrona delle missioni, tutto inizia con la preghiera.
Il primo grande dramma che hanno cercato di affrontare è stato quello dei bambini e ragazzi che non vivono con i loro genitori. Prima nella foresta tutti erano responsabili di tutti, il bambino viveva all’interno di una comunità. Quando esce da questo contesto si trova senza radici ed è tutto da organizzare: abbiamo trovato delle suore che si occupano di loro, abbiamo costruito delle case per accoglierli, dei campi da gioco, un centro dove insegnare arti e mestieri.
Abbiamo riscontrato come, nel cuore delle persone che incontriamo, ci sia il desiderio della fede. Ci sono adulti di 40-45 anni che ci chiedono il Battesimo, ma non c’è chi li prepari a riceverlo.
Ed ecco che anche il nostro vescovo Enrico ha una parola forte da darci, con la sua missione di Pastore.
«Non abbiamo scelto noi di nascere qui, in quella famiglia che ci ha accolto ed amato. Ma cosa significa? Che abbiamo estratto il biglietto fortunato della lotteria?
Oppure il Signore ci ha arricchiti di doni perché noi, liberamente, potessimo donarci, nell’uscire per incontrare persone con le quali condividiamo il dono della vita, per testimoniare l’amore di Dio, che è sempre molto di più di quello cha abbiamo pensato.
Il Papa ci ricorda che la Chiesa siamo noi, che tratteniamo il Signore e non lo facciamo arrivare agli altri… Tutti noi battezzati abbiamo una missione da compiere, abbiamo una possibilità di scegliere l’amore di Dio, di rispondere al Suo amore e far sì che altri uomini lo incontrino.
Il Papa insiste: TUTTI sono i destinatari dell’amore di Dio, ovunque tu sei e abiti. E tu sei chiamato a invitarlo al Banchetto, alla vita. Non c’è spazio per ripiegamenti su noi stessi.
A chiunque si incontra: compagni di classe, vicini di casa, anziani in casa di riposo…e può essere che scopra così la sua missione e magari risponda all’appello di mons Tito o di don Filippo a raggiungerli».
La veglia termina con un piccolo segno: a ognuno viene consegnato un pezzetto di pane che ci ricorda il mandato missionario che ognuno di noi ha con i fratelli che incontrerà, invocando l’aiuto del Signore con la preghiera: “Signore rendici tuoi testimoni!”
Manuela G.
P.S Sintetizzare in poche battute un momento di preghiera e di testimonianza così bello e forte non è stato davvero facile. Radio Nuova Trieste, con il prezioso servizio del tecnico Alessandro a servizio della Diocesi, ha registrato la serata. Qui si può ascoltarla: www.radionuovatrieste.it/multimedia-archive/speciale-28-ottobre-2024/