I “NO” necessari per crescere

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L'incontro promosso dall'UCIIM di Trieste su come educare i bambini e i ragazzi a una libertà costruttiva.

Mangiare un pasto in famiglia in santa pace, mettere a dormire i bambini senza che l’ora della nanna diventi un incubo, azioni quotidiane un tempo scontate, che oggi, al contrario, sembrano trasformate in un miraggio.

Ma che cosa sta accadendo ai nostri bambini e ragazzi? Lo si capisce molto bene dal semplice titolo di un libro, Facciamola finita, scritto da un pediatra esasperato da bambini estremamente prevaricatori e da mamme altrettanto esasperatamente accondiscendenti: pericoloso squilibrio foriero di problemi ben più gravi in futuro.

Altri genitori ancora si ritrovano a ripetere all’infinito sempre le stesse regole, puntualmente a vuoto: la sensazione di fallimento è terribile, la tentazione di lasciar perdere è altrettanto forte. Invece non bisogna mollare e continuare a ripetere, magari per anni, pur sapendo che nel presente non si verrà ascoltati; i risultati ci saranno, dopo tanto tempo, quando i ragazzi ormai giovani adulti, se lo vorranno, avranno una base a cui guardare. E guai a non fornirgliela.

Così lunedì 4 novembre nella sede UCIIM di via Diaz 4 la maestra Vittoria Cocever introduce nel vivo la stimolante e costruttiva relazione della prof. Margherita Canale su come educare i bambini e i ragazzi a una libertà costruttiva. “Se mi vuoi bene, dimmi di no” recita il titolo di un libro della dott.ssa Giuliana Ukmar, psichiatra ed esperta di gestione di dinamiche famigliari: un bambino senza quei sani paletti costituiti dalle regole si trova pervaso da un’angosciante sensazione di ansia fino alla patologia, come se si svegliasse in una stanza buia senza trovarne le pareti. D’accordo, ma i bambini e i ragazzi sfidano, provocano, facendo di tutto proprio per infrangere quei paletti: ebbene i genitori devono essere quelle pareti che delimitano l’area, all’interno della quale il minore si può muovere in sicurezza. Le vere domande da porsi sono: “di che cosa ha veramente bisogno mio figlio?”

E io come lo posso aiutare? A questo punto entrano in scena i concetti di autonomia, auto dominio, autostima: parole sentite spesso, ma non semplici da rendere effettive. L’acquisizione dell’autonomia oggi è minata da esagerate misure di accudimento, protezione, difesa: la prevalenza di madri-matriarche e la latitanza della figura paterna autorevole fanno mancare al bambino e al ragazzo il confronto col mondo esterno e le sue regole, per cui il piccolino, invece di crescere, tende costantemente a rientrare nella dimensione del nido materno. Crescendo in tale contesto, un bambino non viene preparato a gestire i no e le inevitabili frustrazioni, finché, da adulto, andrà in crisi completa di fronte a un capo che gli urla addosso o, molto semplicemente, per un test, un esame, un concorso superati non brillantemente. Quanto meglio sarebbe imparare fin da piccoli, quando si vive ancora in un contesto protetto e rimediare agli errori è molto più semplice! “Stai seduto a tavola”, “Non interrompere chi sta parlando” … pane quotidiano per chi di noi non è più giovane, obiettivi irraggiungibili per molti bambini. Perché? Manca l’auto dominio, ossia quell’autocontrollo che permette di relazionarsi con gli altri in modo equilibrato e sereno. Oggi prevale il bambino narcisista, totalmente incapace di comprendere il punto di vista degli altri. Ma pochi genitori si rendono conto che un bambino che si sa autocontrollare è più felice, al contrario del bambino capriccioso, reso ancora più instabile proprio quando capisce che il capriccio funziona: assecondandolo, i genitori non capiscono che lo stanno privando di una grande opportunità di crescita.

A 4 anni un bambino inizia a essere in grado di vestirsi da solo, a 6 di rifarsi il letto, più avanti di collaborare in casa … I migliori manager sono proprio quelli che da piccoli hanno aiutato in casa, ricavandone la soddisfazione di essere stati in grado di portare a termine i compiti assegnati. L’autostima inizia così: capire di essere capaci di fare qualcosa, di concludere ciò che si è iniziato, di rispondere a determinate richieste. Ed ecco l’altra grande parola, oggi quasi temuta: l’autorità. Ma come la si potrebbe definire? Qualcuno l’ha interpretata come la capacità di prendere decisioni emotivamente difficili per il vero bene dei figli, resistendo a pressioni psicologiche sia interne sia esterne. La società è maestra nell’instillare nei genitori sensi di colpa e di inadeguatezza, inducendoli a mollare rifugiandosi dietro frasi-schermo come “son ragazzi”. Eh no, non è una buona scusa quando oltrepassano certi limiti: assecondarli significa non capire quale sia il loro vero bene.

Molti vedono nell’autorità una serie di ordini ripetuti fino allo sfinimento: ma l’obbedienza come cedimento non porta a una vera educazione; bisogna invece guidare il figlio a “volere” il proprio bene lui stesso, interiorizzando i valori appresi. Come? Con paziente autorevolezza, il che vuol dire ascoltare e conoscere i figli, avere fiducia nelle proprie capacità di genitori, confrontarsi con altre figure educative, che possono essere nonni, zii, amici, insegnanti, allenatori … A rovinare i ragazzi non sono gli errori – inevitabili per chiunque – ma la rinuncia educativa: l’errore è l’occasione per mettersi in discussione, dialogare, chiedere scusa, crescere.

Già, ma come si fa a parlare con un bambino nella piena crisi di un capriccio o con un adolescente arrabbiato? Nel momento della crisi ogni canale comunicativo si chiude: bisogna aspettare che le acque si siano clamate, lasciar decantare il momento della crisi e riprendere il dialogo spiegando, motivando, ascoltando, senza etichette preconcette e senza voler vincere la partita, ma con il solo desiderio di ricostruire una relazione. Molte crisi con bambini e ragazzi nascono da richieste mal poste: le situazioni vanno preparate, senza pretendere che un proprio ordine venga eseguito immediatamente (se serve, va preventivato molto prima); le richieste devono essere chiare e comprensibili, senza contraddizioni. E, se proprio scoppia la crisi, mentre essa è in atto è inutile qualsiasi tipo di comunicazione verbale, in quanto i canali sono interrotti: bisognerà lasciar decantare, attendere che il bambino o l’adolescente siano più calmi e poi si potrà rielaborare insieme l’accaduto.

E la vecchia cara obbedienza? È vero che essa è stata messa in discussione in molti contesti (es. crimini contro l’umanità in zone di guerra), tuttavia pochi comprendono il suo vero significato: accettare con prontezza e interesse la decisione di colui a cui riconosco autorità. Il legame di fiducia e credibilità tra educatore ed educando faciliterà l’interiorizzazione di quanto ordinato.

A un bambino di 5 anni si può iniziare a spiegare e da lui si deve pretendere sincerità, dando noi stessi l’esempio (senza mentire sull’età per pagare di meno un ingresso a un parco …). A un preadolescente si può chiedere “tu come faresti in questo caso?”, proponendogli una pista di pensiero costruttivo al posto della contestazione sterile. Va superata, come si diceva prima, la paura dell’errore, che invece va capito e affrontato. A questo proposito è molto istruttivo un esperimento messo in atto a Stanford: 24 bambini sono stati divisi in 2 gruppi, chiedendo loro di eseguire dei disegni. Alla fine, il primo gruppo ha ricevuto una lode generica e complessiva (“siete stati tutti molto bravi”), mentre con il secondo gruppo i ricercatori hanno lavorato in modo più mirato, lodando le caratteristiche del disegno (es. “ben fatte le orecchie di quel coniglio”). In una seconda fase ai 2 gruppi sono state date volutamente delle indicazioni volte a farli sbagliare: il gruppo che era stato lodato genericamente, messo di fronte all’errore, ha mollato l’attività; l’altro gruppo, invece, si è subito dato da fare per correggere l’errore (es. aggiungere un orecchio al coniglio dove mancava). Che cosa si può evincere da questo esperimento? Che le critiche devono essere mirate e circostanziate e non generalizzate all’intera persona: “qui hai sbagliato” e non “sei sempre il solito”. Anche la lode deve essere realistica, se non vogliamo avere tanti aspiranti Superman pronti a cadere alla prima difficoltà: si dice “sei bravo col pallone, devi ancora fare pratica con le costruzioni” e non “sei eccezionale, non c’è nessuno come te”.

Alla fine della relazione della prof. Canale gli spunti offerti erano così tanti che si è sviluppata una vivace discussione su varie situazioni quotidiane. Innanzitutto, chi ha la fortuna di avere più figli impara con l’esperienza, diventando meno ansioso e più propositivo. Rimane tuttavia il problema delle scelte delle altre famiglie: è facile oggi per un bambino o un ragazzo rispondere “ma lo fanno tutti” e purtroppo ha ragione. Pomo della discordia sono infatti le uscite alla sera: qui, più che divieti e paletti eccessivi, è importante esprimere le nostre ragioni di genitori. I pericoli e gli incidenti derivanti dall’abuso di alcool sono un dato scientifico e non un’opinione da mamma ansiosa, il sapere dove e con chi è un figlio permette al genitore di accorrere in caso di necessità, a tarda notte un adolescente potrebbe non essere preparato a emergenze prima improbabili … Una famiglia da sola difficilmente ce la fa: è importante tessere alleanze educative costruttive con altre famiglie che la pensano in modo simile, aprire le proprie case per conoscere gli amici, proporre attività insieme che, alla fine, saranno forse più divertenti del ciondolare al tavolino di un bar a parlare di nulla. Importante è poi far riflettere bambini e ragazzi sul rapporto azione-conseguenza: “se continui a parlare, devo spostare il tuo banco, e ora decidi tu” dice una maestra, offrendo al bambino l’opportunità di una scelta responsabile e non un’imposizione di obbedienza cieca. Se un figlio adolescente rispetta gli orari di rientro, godrà di maggiore libertà.

Infine, conta l’esempio: un ragazzo difficilmente smetterà i jeans strappati il giorno dopo, ma, se vede la mamma vestita elegantemente per andare a teatro, si può sperare che da adulto la imiterà, perché ha ricevuto un modello e un punto di riferimento. Se abbiamo delle riserve su di una serie TV, guardiamola insieme e poi parliamone e commentiamo, senza pregiudizi a priori.

Non va dimenticato, tuttavia, che viviamo in una società dove tutto è liquido e fluido, per cui regole, paletti e controlli si spostano in continuazione come sulla sabbia mobile: in tale contesto è fondamentale guidare bambini e ragazzi a decodificare questa nuova realtà, all’interno della quale gli smarriti siamo anche noi adulti. Dopo tanto ascoltare e riflettere, tornano prepotenti le solite domande: quando e come dire di sì oppure di no? La maestra Vittoria conclude con la simpatica filastrocca di Gianni Rodari Io so le parole più corte del mondo: una dice sì, l’altra dice no. Devi saperle bene adoperare perché da sole possono contare più di un milione di parolone. Ma non c’è orologio per segnare l’ora di dir di sì e l’ora di dir di no. Io come faccio? Ascolto il cuore, è lui il mio suggeritore: ascolto, capisco, e senza alcun timore gli ubbidisco. Due monosillabi che possono cambiare il mondo: nessun manuale ci dirà mai come e quando usarle: solo il cuore ci permettere di conoscere i nostri bambini e ragazzi, figli o studenti che siano, e capire di che cosa abbiano veramente bisogno in quel preciso momento per crescere.

E diciamole, quelle magiche parole, senza la paura di sbagliare o di essere giudicati da chi non ha a cuore il vero bene dei nostri giovani.

Iris Zocchelli

Foto di Andrew Martin da Pixabay


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