Mercoledì 11 dicembre, dalle ore 18.00, presso l’Ex Ospedale Militare di via Fabio Severo, si è svolta l’edizione 2024 di “HOMECOMING – Storie di successo UniTs”, l’evento annuale promosso dall’Università degli Studi di Trieste durante il quale gli Alumni (ex studenti e studentesse, ora professionisti) raccontano il percorso che dagli studi universitari li ha portati al successo lavorativo, come fonte di ispirazione per i giovani.
Nella suggestiva Sala Cappella, dopo l’introduzione del Magnifico Rettore, prof. Roberto Di Lenarda, hanno condiviso le loro storie di successo cinque Alumni UniTS: Corrado Ĉok (Laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche, ora Visiting Fellow presso l’ECFR e Programme Manager per Fondazione AVSI di Nairobi); Chiara Corsato (PhD in Environmental and Industrial Fluid Mechanics, ora docente di matematica e scienze alla Scuola secondaria di primo grado “Divisione Julia” di Trieste); Stefano Felician Beccari (Laurea in Giurisprudenza, PhD in Scienze dell’Uomo, del Territorio e della Società, ora Legal & Policy Advisor presso il Parlamento Europeo a Bruxelles); Marco Girardo (Laurea in Filosofia, ora Direttore di Avvenire a Milano); Eleonora Presani (Laurea in Fisica, ora Senior Program Manager, Generative AI, di Meta a New York).
Gli interventi hanno toccato vari ambiti (istituzioni internazionali, giornalismo, scuola, scienza) e sono stati moderati dall’Alumna Micol Brusaferro (Laurea in Scienze della Comunicazione, ora giornalista).
Nello specifico, gli interventi del Direttore del quotidiano Avvenire, dott. Marco Girardo, sono stati i seguenti, in risposta ai quesiti postigli.
Qual è stato il tuo percorso dalla laurea in filosofia, al giornalismo e poi al ruolo di direttore?
Il mio percorso è stato semplice, nel senso che due propensioni mi accompagnano fin da giovane e hanno al centro l’interesse per le persone, per l’umanità in senso lato, a due livelli: quello delle grandi domande esistenziali (da cui il desiderio di studiare filosofia a Trieste) e un interesse per la vita concreta dell’uomo (da cui la spinta a scrivere sui giornali locali). Finita l’università, ho presentato domanda sia per un dottorato all’estero sia per il master di giornalismo alla Cattolica di Milano, che ha risposto per primo; mi sono trasferito e ho seguito il corso per tre anni. Ho svolto le prime esperienze lavorative nelle redazioni dei giornali negli anni in cui stava nascendo internet. Sono gli incontri che cambiano la vita e una persona mi chiese di andare in prova al quotidiano Avvenire, dove poi ho sostituito una collega in maternità. Da quel momento è iniziata la professione in senso stretto. Non mi ha mai abbandonato il desiderio dell’altra dimensione, più speculativa, che ho coltivato parallelamente alla carriera giornalistica. In questo modo sono cresciuto negli ultimi 25 anni. Diventando direttore è cambiata la dimensione lavorativa.
Come stai affrontando l’evoluzione costante del giornalismo, che ora corre velocemente sui social e sul web?
Se chiedessi quanti di voi hanno comprato il giornale di carta non troverei una mano alzata. Il mondo è cambiato notevolmente. Le caratteristiche dell’informazione adesso sono:
1) è troppa e non riusciamo a processarla. In un giorno riceviamo informazioni che un uomo mille anni fa aveva in un anno; di questa, tratteniamo il 20%, riuscendo ad utilizzarne il 2%.
2) è troppo confusa, spuria, ombelicale. Da quando ci sono i social otteniamo un’informazione personalizzata su di noi, che a volte è decisa da altri attraverso le ricerche che noi facciamo abitualmente frequentando la rete.
3) è molto polarizzata. La conflittualità funziona meglio della compassione e, in genere, l’aggressività premia.
Al giornale stiamo tentando di cambiare alcune di queste cose (alcuni piccoli risultati li abbiamo ottenuti):
1) sostituire il sensazionale con il fondamentale;
2) sostituire il recente con il rilevante;
3) raccontare solo cose che vediamo direttamente.
Oggi il giornale ha il compito di dare una visione panoramica, non polarizzata, non fondata sull’ombelico delle persone, ma cercando di parlare alla loro testa.
Quando hai capito che quello che stavi facendo era realmente la tua passione e che il giornalismo sarebbe stato la tua vita?
Continuo a chiedermi se sia la strada giusta. Quando mi è stato chiesto di fare il direttore del giornale stavo bene al mio posto e avevo appena firmato un progetto editoriale. Grande soddisfazione è stata vedere quel progetto cresciuto, portato avanti da altri. L’unità di lavoro minima nell’epoca digitale è la squadra. Quindi, un consiglio che darei ai ragazzi è: senza lavorare in team adesso non si fa niente.
Al termine dell’incontro pubblico, abbiamo avuto occasione di fare ancora qualche domanda a Marco Girardo per il Domenicale.
Che ricordi hai da studente a Trieste?
Alcuni dei ricordi più belli sono legati all’esperienza a Trieste per le relazioni con le persone che stavano insieme a me ed erano i compagni di strada; per alcuni professori che poi ho ritrovato nelle vesti di giornalista come intervistandi; per la città perché, non essendo triestino – vengo da Ronchi dei Legionari – per me Trieste è stata la prima esperienza di città e, quindi, non posso che avere un ricordo bellissimo.
Ha ancora senso raccontare la città, il mondo, fare il giornalista? Quale prospettiva intravedi nel futuro per il mondo dell’informazione?
Sì, ha forse più senso farlo adesso per le cose che ricordavo prima; siamo in un periodo di entropia, di inflazione informativa e, quindi, c’è necessità di recuperare il metodo giornalistico che è fatto di verifica delle notizie, selezione, gerarchia, capacità di cercare l’autenticità dell’informazione. Il futuro sarà sempre più un giornalismo capace di essere bidirezionale. Le persone non sono più adatte a ricevere da una torre che trasmette le informazioni, ma ricercano un rapporto biunivoco ed attivo con chi fa informazione. Per cui una delle prospettive per chi fa giornalismo sarà quello del giornalismo di comunità.
Si è portati a pensare che il percorso di un giovane oggi debba essere perfetto, lineare e ripetibile per tutti: scuola, università, lavoro e auspicabilmente successo. Spesso, però, ciò comporta percorsi tortuosi. Cosa diresti ad un giovane che, di fronte alla strada da percorrere, si sente fragile e non perfetto?
Per me sono stati importanti proprio i fallimenti, che mi hanno richiesto di cambiare prospettiva e, a volte, anche strada. Per cui, il primo consiglio è farne tesoro in quanto sono occasioni per cambiare e, quando si è giovani, questo è un aiuto perché si ha davanti tanto tempo per farlo. Secondo, puntare sempre su delle relazioni significative; si può fare il mestiere più bello del mondo, ma se si è soli non serve a niente.
L’aperitivo con gli Alumni ha concluso la serata: studenti, laureati e membri della comunità UniTs hanno potuto incontrare i relatori in un clima informale che ha favorito il dialogo tra i numerosi presenti, permettendo un arricchente confronto tra generazioni.
Martina Depolli