Antiphona ad introitum (Is 9,6)
Puer natus est nobis, et filius datus est nobis, cuius imperium super humerum eius,
et vocabitur nomen eius magni consilii Angelus.
Antifona d’ingresso (Is 9,5)
Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere
e il suo nome sarà: Consigliere mirabile.
La Messa del giorno di Natale si apre con la splendida antifona gregoriana, tratta da Isaia 9, 5 (questa è infatti la citazione esatta). L’oracolo va posto nell’orizzonte della prima lettura della liturgia eucaristica notturna: “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si esulta quando si divide la preda” (Is 9,1-2).
La profezia è molto nota ed esprime l’attesa di un’azione divina e l’invio di un re che cambierà radicalmente i rapporti politici nel mondo, ridonando sempre la libertà al popolo oppresso. Questo oracolo esprime chiaramente una fortissima aspettativa di giustizia, novità, cambiamento e liberazione. Tanto è forte questa aspettativa che il profeta addi- rittura la vede già in atto.
La “grande luce” non per nulla è una, se non “la” forte tematica della liturgia natalizia. Si conosce l’importanza del significato della luce nel cristianesimo: Cristo è il vero sole di giustizia, la vera luce che illumina ogni uomo. Simbolismo a cui erano particolarmente sensibili i cristiani del IV secolo. Il Natale originario contemplava verosimilmente la mani- festazione, l’apparizione di Cristo nella carne. Insieme alla luce, la gioia costituisce come l’ambientazione e la conseguenza più naturale dell’azione divina, irrompente nella storia.
Non il dramma tragico, la violenza, ma la felicità della liberazione, che prorompe come si gioisce quando si miete. Il canto dell’antifona si staglia quindi su questo orizzonte. Nel testo profetico di Isaia le azioni compiute da Dio si rivelano attraverso espressioni di carattere bellico: allora si capisce pienamente perché “un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio”.
Due sono le caratterizzazioni del protagonista di questo evento: l’essere anzitutto un bambino, in quanto questo, nell’ambiente di Gesù, fa parte della categoria dei “poveri”, di quelli che non contano, perché non hanno poteri e diritti. Sicché, diventare come i bambini vuol dire diventare “mite e umile di cuore” come il messia povero, esaltato da Dio.
Inoltre figlio, perché il bambino che nasce a Betlemme è il figlio di Dio. La conferma verrà nel giorno del battesimo (cfr. Mc 1,9-11), allorché questa identità di “figlio” verrà pro- clamata dalla voce dal cielo e assumerà una grande rilevanza all’interno del vangelo di Marco, per capire non solo la sua identità, ma anche la sua missione in relazione con Dio e in favore degli uomini.
L’antifona egregiamente convalida questo insegnamento, nella solenne apertura della liturgia natalizia.
Nel prosieguo della profezia di Isaia si testimonia che “sulle sue spalle è il potere”. È evidente che il dettato va riferito al contesto originario, che esige appunto che l’atteso prenda in mano le sorti del suo popolo, l’imperium, il comando nel senso stretto del ter- mine. Comando, però, che Gesù adulto precisa nettamente: “Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore” (Mt 20, 25-26).
Il nuovo criterio di autorità stabilito da Gesù è il rovesciamento di quello del potere e del controllo di un uomo su un altro. In forma paradossale Gesù propone la stessa logica che ispira i criteri di grandezza nel regno dei cieli: il più grande è colui che diventa come un bambino. Tutto collima. Anche nell’ingresso di Gesù a Gerusalemme, cavalcando un asinello, animale pacifico, la folla acclama, richiamando il messaggio natalizio: “Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli” (Lc 19, 38).
Re/principe di pace, come nella profezia di Isaia, allorché appare nella gloria della risurrezione, afferma perentoriamente: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra” (Mt 28, 18). Finché, alla fine della storia, sarà acclamato: “Salvezza, gloria e potenza sono del nostro Dio, perché veri e giusti sono i suoi giudizi” (Ap 19, 1-2).
L’antifona si conclude: “Il suo nome sarà: Consigliere mirabile”. In verità, il testo preso alla lettera suonerebbe così: “Il suo nome sarà chiamato Angelo del grande consiglio”. È evidente, in ogni caso, che si tratta di attribuire al nascituro la capacità di essere il messaggero (angelo) del grande/mirabile Consiglio, cioè colui che svela e porta, nella sua saggezza, le decisioni del Padre, in quanto, secondo il celebre passo evangelico, “tutto è stato dato a me dal Padre mio” (Mt 11, 27).
In altri termini, il Figlio è colui che rivela in modo definitivo e autorevole il Padre: per questo, fin dalla nascita, può essere cantato come suo “Consigliere ammirabile”. Tra i quattro epiteti con cui viene caratterizzato nell’oracolo di Isaia, solo questo compare nell’antifona, che connota così in senso sapienziale la missione del Figlio.
Aprire così, con l’antifona del Puer natus, la celebrazione solenne del Natale del Signore è senz’altro una indicazione sicura per il cammino della Chiesa, fino alla sua definitività.
Ufficio Liturgico Nazionale