La speranza della conversione per ricomprendere il Giubileo

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giubileo segoloni
Il senso di un anno giubilare? Non una parentesi folkloristica che lascia tutto come prima, ma una soglia irrimediabilmente varcata verso il Dio della vita e il dono che viene da lui.

Il Giubileo è un evento vistoso e ingombrante, quanto distante dalla mentalità e dalla comprensione immediata degli uomini e delle donne di oggi. Non è facile dunque parlarne, ma soprattutto non è facile viverlo adeguatamente: è davvero così centrale per la vita della chiesa come l’impegno organizzativo e mediatico sembrerebbe indicare? E se è così, perché resta periferico nei vissuti quotidiani dei credenti (per non parlare di tutti gli altri)?

Il Giubileo ha anche una pesante eredità storica. Innegabile, infatti, che Bonifacio VIII lo indisse per la prima volta più per dare centralità alla sede romana che per prendersi cura della vita spirituale dei cristiani, inoltre proprio la possibilità di lucrare le indulgenze (con tutto l’indotto relativo a queste) è stata l’occasione prossima dello scisma protestante. Infine, alcune delle categorie teologiche che stanno alla base del Giubileo sembrano davvero aver fatto il loro tempo e chiedono una importante risignificazione. Come vivere dunque un evento di queta portata perché sia spiritualmente significativo oggi?

Credo che si potrebbe cominciare con il cogliere l’anno giubilare come un’occasione per fermare tutti quei percorsi violenti e distruttivi che l’umanità vive: la guerra, la devastazione dell’ambiente, l’ingiustizia, l’oppressione dei più poveri. Certo, la chiesa non ha il potere di fermare tutto questo, può solo dire che è necessario farlo, che sarebbe un bene per tutti. La chiesa può però – e questo è un altro fondamentale significato del Giubileo – pentirsi della propria parte di responsabilità in ordine a tutto ciò che distrugge e umilia la vita. Il pentimento poi deve essere seguito da una conversione, cioè dalla decisione di vivere diversamente da prima, iniziando con il rimediare, se possibile e per quanto possibile, al male fatto. Per indicare dunque quanto è urgente per il bene di tutti rimettere i debiti, liberare chi è prigioniero, fare grazia a chi teme la violenza, fermare ogni forma di distruzione, per indicare l’urgenza di tutto questo si può cominciare solo da se stessi e così la chiesa indice un Giubileo dichiarando le proprie responsabilità e avviando un percorso di penitenza.

Il cuore del Giubileo non è rimettersi in pari con Dio per poi continuare come prima o ritoccare qua e là il proprio modo di agire, il cuore del Giubileo è piuttosto mettersi in cammino per entrare in un’altra vita (che si vada a Roma oppure no cambia poco: per questo ogni diocesi ha le sue chiese giubilari) che non abbia più alcun compromesso con la violenza e l’ingiustizia che opprimono l’umanità e la Terra. Tutto questo è compreso dai credenti come un dono di Dio, il quale di fronte alla nostra ingiustizia non castiga, non smette di amare, ma offre una nuova possibilità perché indirizziamo la nostra vita secondo la logica del Vangelo portando frutti di vita anche là dove noi non pensavamo fosse più possibile.

In tutto questo, il mettersi in cammino (che si vada a Roma, in un altro luogo di pellegrinaggio o semplicemente nella chiesa più vicina) e l’atto di varcare la porta santa sono segni visibili e concreti del dono che lo Spirito ci sta facendo se sentiamo nel cuore il bisogno di una vita nuova, di rimediare al male fatto, di scoprire come essere lievito di pace e di giustizia per il mondo intero. Se tutte le migliaia di persone che già hanno varcato le porte sante avesse questa profonda convinzione interiore, il mondo non potrebbe essere più lo stesso, già oggi. Se fosse così, il Giubileo sarebbe al centro dell’attenzione ecclesiale e mondiale non per gli eventi organizzati o per il movimento economico o turistico che inevitabilmente lo circonda, sarebbe al centro dell’attenzione invece perché ovunque si vedrebbero vite trasformate, prassi nuove, tentativi di coinvolgere quante più persone possibili in una logica nuova di giustizia e pace.

E allora dobbiamo sperare che sarà proprio così. La speranza posta dal papa al centro del Giubileo è esattamente questa: la speranza di poter vivere il Vangelo e moltiplicare la vita intorno a noi, la speranza che il regno di Dio venga in fretta a cominciare dai nostri gesti più quotidiani, la speranza che tutti possano sentire i loro pesi alleggeriti grazie alla vicinanza di Dio resa tangibile da coloro che lo conoscono e che lo servono.

Dio ha questa speranza. Non guarda ai nostri fallimenti disperando, ma offrendo nuove opportunità: un pellegrinaggio, una porta, una parola. Realtà semplici quanto efficaci perché in esse i cuori possono aprirsi allo Spirito e rendere il mondo quel luogo di pace e di condivisione che Dio vuole. È questo il senso di un anno giubilare: non una parentesi (folkloristica) che lascia tutto come prima, ma una soglia irrimediabilmente varcata verso il Dio della vita e il dono che viene da lui. Solo se sarà questo, qualcuno lo ricorderà e se ne nutrirà.

Simona Segoloni Ruta

Foto Vatican Media/SIR


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