Il 18 marzo 2025 si è tenuto il secondo incontro della “Cattedra di San Giusto”, dal titolo: “Oltre la pena. Per una giustizia che ri-unisce”. Ospiti della serata sono stati padre Guido Bertagna, gesuita e mediatore, e Fausta Favotti, assistente sociale dell’istituto carcerario minorile di Treviso.
Padre Guido Bertagna ci ha accompagnati nella prima parte dell’incontro attraverso la lettura del libro del Deuteronomio, capitolo 26: Mosé narra la storia di Israele, del suo lungo peregrinare, della schiavitù in Egitto e della sua liberazione fino all’arrivo nella terra promessa. Oltre alla narrazione, nei primi undici versetti vengono indicate delle prescrizioni, azioni che Israele è tenuto a compiere davanti a Dio.
Quella che viene raccontata è una storia di liberazione: il Dio che ha conosciuto Israele è un Dio che ascolta il grido del suo popolo, interviene e libera e l’offerta che gli viene data è un’occasione per ricordare, fare memoria dell’esperienza vissuta che è caratterizzata da due elementi in particolare: il dolore e la fiducia.
Per poter donare è necessario fare esperienza della libertà: Mosé nel libro del Deuteronomio descrive dei fatti, non infierisce contro gli Egiziani, non commenta le sofferenze del popolo di Israele, ma racconta ciò che è successo sotto uno sguardo di liberazione. Se pensiamo alle nostre situazioni di ogni giorno, ai piccoli risentimenti che ci portiamo dentro, scopriremo che se non viene data parola e non viene mai visitata quella stanza nella nostra memoria, questa pian piano si indurisce, si congela. In una situazione congelata non c’è più vita. Negli ultimi anni in Italia e in altri Paesi si sta sviluppando un nuovo paradigma: quello della giustizia riparativa. Essa rappresenta una strada grazie alla quale le situazioni mortifere possono ritrovare nuova vita grazie all’incontro con l’altro e alla narrazione del dolore. L’incontro tra due sofferenze può essere la strada per il riconoscimento reciproco attraverso l’ascolto. Non possiamo cambiare i fatti di un evento che ci ha segnati, sia che siamo stati noi le vittime sia quelli che hanno agito il male; ma ciò su cui si può lavorare è il senso che noi diamo a quegli eventi, come noi li leggiamo.
Fausta Favotti ci ha aiutati ad entrare nel mondo del carcere, ci ha raccontato come questo sia un mondo nel mondo. Negli anni si sono successe diverse teorie di giustizia attorno a questo istituto totale: dalla giustizia distributiva a quella di comunità, fino alla giustizia riparativa, cioè la giustizia dell’incontro. Tuttora questi diversi paradigmi convivono e danno risposte diverse alla domanda di giustizia. Ciò che si riscontra sul campo è che il bisogno di ascolto, soprattutto da parte dei minori, è grande. Allora forse possiamo credere davvero che l’incontro sia la via che stiamo cercando nel mondo di oggi.
La dott.sa Favotti ha condiviso con noi una domanda che lei stessa si è posta e ha posto a delle sue colleghe: abbiamo ancora uno sguardo di speranza nel lavoro che ciascuno di noi svolge? La risposta che lei e le persone a cui ha fatto questa domanda è stata non solo positiva, ma ha portato ad un’ulteriore domanda: è possibile lavorare con le persone senza uno sguardo di speranza? Queste sono domande che possiamo porci tutti guardando alle nostre vite.
Essendo questo l’anno giubilare della speranza siamo invitati a fermarci e guardare a ciò che viviamo, riconoscere le stanze buie della nostra storia che forse non visitiamo da molto e fare memoria nell’ascolto reciproco e nell’incontro con speranza e libertà nell’animo.
Caterina Grandi

















