Nella serata di lunedì 22 aprile, il Vescovo mons. Enrico Trevisi ha presieduto una Santa Messa in suffragio del Santo Padre Francesco, celebrata nella chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo colma di fedeli.
Riportiamo qui di seguito il testo integrale dell’omelia e alcune immagini della celebrazione.
Santa Messa per Papa Francesco
✠ Enrico Trevisi
Sant’Antonio Taumaturgo, 22 aprile 2025
Cari fratelli e sorelle,
Amati fratelli e sorelle: Ljubljeni bratje in sestre
Maria Maddalena è al sepolcro e piange. C’è un mistero di morte che ci affligge e ci coinvolge. “Perché piangi?” è la domanda rivolta alla Maddalena. Eppure, lei è a cercare la slama, il cadavere di Gesù. La sua ricerca è assai compromessa dalla pesantezza della morte: la sua speranza è una piccola speranza: avere una salma da venerare… E invece Gesù è vivo. Gesù pronuncia il suo nome. Anche stasera Gesù Risorto pronuncia il tuo nome. E vuole renderti discepolo missionario. Ed ecco la conclusione: “Maria di Magdala andò ad annunciare ai discepoli: Ho visto il Signore!”.
Di papa Francesco ognuno esalta un qualche aspetto parziale: la Chiesa in uscita, ospedale da campo; il clericalismo; la sinodalità; la Misericordia verso tutti e proprio tutti; la salvaguardia del creato, la pace e la guerra, l’economia che uccide, la tragedia dei migranti, i carcerati, il dramma dell’aborto… Ma il rischio è che perdiamo di vista la fonte, la sorgente da cui veniva la sua forza e il suo coraggio di essere voce forte di speranza e di un Vangelo concreto, attuale, affascinante anche per l’oggi, anche se scomodo e pertanto spesso disatteso.
Dalla Evangelii gaudium scelgo queste espressioni.
267. Uniti a Gesù, cerchiamo quello che Lui cerca, amiamo quello che Lui ama. In definitiva, quello che cerchiamo è la gloria del Padre, viviamo e agiamo «a lode dello splendore della sua grazia» (Ef 1,6).
268. …Per essere evangelizzatori autentici occorre anche sviluppare il gusto spirituale di rimanere vicini alla vita della gente, fino al punto di scoprire che ciò diventa fonte di una gioia superiore. La missione è una passione per Gesù ma, al tempo stesso, è una passione per il suo popolo. Quando sostiamo davanti a Gesù crocifisso, riconosciamo tutto il suo amore che ci dà dignità e ci sostiene, però, in quello stesso momento, se non siamo ciechi, incominciamo a percepire che quello sguardo di Gesù si allarga e si rivolge pieno di affetto e di ardore verso tutto il suo popolo. Così riscopriamo che Lui vuole servirsi di noi per arrivare sempre più vicino al suo popolo amato. Ci prende in mezzo al popolo e ci invia al popolo, in modo che la nostra identità non si comprende senza questa appartenenza.
269. Gesù stesso è il modello di questa scelta evangelizzatrice che ci introduce nel cuore del popolo. Quanto bene ci fa vederlo vicino a tutti! Se parlava con qualcuno, guardava i suoi occhi con una profonda attenzione piena d’amore: «Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò» (Mc 10, 21). Lo vediamo aperto all’incontro quando si avvicina al cieco lungo la strada (cfr Mc 10,46-52) e quando mangia e beve con i peccatori (cfr Mc 2,16), senza curarsi che lo trattino da mangione e beone (cfr Mt 11,19). Lo vediamo disponibile quando lascia che una prostituta unga i suoi piedi (cfr Lc 7,36-50) o quando riceve di notte Nicodemo (cfr Gv 3,1-15). Il donarsi di Gesù sulla croce non è altro che il culmine di questo stile che ha contrassegnato tutta la sua esistenza.
Affascinati da tale modello, vogliamo inserirci a fondo nella società, condividiamo la vita con tutti, ascoltiamo le loro preoccupazioni, collaboriamo materialmente e spiritualmente nelle loro necessità, ci rallegriamo con coloro che sono nella gioia, piangiamo con quelli che piangono e ci impegniamo nella costruzione di un mondo nuovo, gomito a gomito con gli altri. Ma non come un obbligo, non come un peso che ci esaurisce, ma come una scelta personale che ci riempie di gioia e ci conferisce identità.
270. A volte sentiamo la tentazione di essere cristiani mantenendo una prudente distanza dalle piaghe del Signore. Ma Gesù vuole che tocchiamo la miseria umana, che tocchiamo la carne sofferente degli altri. Aspetta che rinunciamo a cercare quei ripari personali o comunitari che ci permettono di mantenerci a distanza dal nodo del dramma umano, affinché accettiamo veramente di entrare in contatto con l’esistenza concreta degli altri e conosciamo la forza della tenerezza. Quando lo facciamo, la vita ci si complica sempre meravigliosamente e viviamo l’intensa esperienza di essere popolo, l’esperienza di appartenere a un popolo.
Parole simili le troviamo le troviamo disperse in tutto il suo magistero; per es. anche nell’ultima enciclica Dilexit nos, da cui scelgo queste espressioni:
209. La missione, intesa nella prospettiva di irradiare l’amore del Cuore di Cristo, richiede missionari innamorati, che si lascino ancora conquistare da Cristo e che non possano fare a meno di trasmettere questo amore che ha cambiato la loro vita.
210. Parlare di Cristo, con la testimonianza o la parola, in modo tale che gli altri non debbano fare un grande sforzo per amarlo, questo è il desiderio più grande di un missionario dell’anima.
211. Cristo ti chiede, senza venir meno alla prudenza e al rispetto, di non vergognarti di riconoscere la tua amicizia con Lui. Ti chiede di avere il coraggio di raccontare agli altri che è un bene per te averlo incontrato.
Se noi perdiamo di vista questa sua fede, riduciamo papa Francesco a un grande moralista che si interessa dei vari problemi delle persone e non capiamo invece la sua motivazione profonda. Quella che lo ha portato fino all’ultimo a spendersi in mezzo ai carcerati per ridare loro speranza e l’essere in mezzo alla gente per portare la benedizione di Dio. Provo ancora a dare voce a lui:
EG 78. La fede significa anche credere in Lui, credere che veramente ci ama, che è vivo, che è capace di intervenire misteriosamente, che non ci abbandona, che trae il bene dal male con la sua potenza e con la sua infinita creatività. Significa credere che Egli avanza vittorioso nella storia insieme con «quelli che stanno con lui … i chiamati, gli eletti, i fedeli» (Ap 17,14). Crediamo al Vangelo che dice che il Regno di Dio è già presente nel mondo, e si sta sviluppando qui e là, in diversi modi: come il piccolo seme che può arrivare a trasformarsi in una grande pianta (cfr Mt 13,31-32), come una manciata di lievito, che fermenta una grande massa (cfr Mt 13,33) e come il buon seme che cresce in mezzo alla zizzania (cfr Mt 13,24-30), e ci può sempre sorprendere in modo gradito. È presente, viene di nuovo, combatte per fiorire nuovamente. La risurrezione di Cristo produce in ogni luogo germi di questo mondo nuovo; e anche se vengono tagliati, ritornano a spuntare, perché la risurrezione del Signore ha già penetrato la trama nascosta di questa storia, perché Gesù non è risuscitato invano. Non rimaniamo al margine di questo cammino della speranza viva!
Per questo Giubileo ci ha invitati ad avere una fede gioiosa, una speranza abbondante, una carità entusiasta (Spes non confundit 18). Mi piacciono gli aggettivi che Francesco ha messo accanto alle tre virtù teologali. Si tratta di declinare i doni di Dio dentro questo tempo. Lui in questo cambio d’epoca ci ha sollecitato a iniziare processi coraggiosi di cambiamento. Ma con autorevolezza ci ha anche accompagnati e incoraggiati. Qui a Trieste, il 7 luglio 2024, nell’Angelus ci ha detto:
Trieste è una di quelle città che hanno la vocazione di far incontrare genti diverse: anzitutto perché è un porto, è un porto importante, e poi perché si trova all’incrocio tra l’Italia, l’Europa centrale e i Balcani. In queste situazioni, la sfida per la comunità ecclesiale e per quella civile è di saper coniugare l’apertura e la stabilità, l’accoglienza e l’identità. E allora mi viene da dire: avete le “carte in regola”. Grazie! Avete le “carte in regola” per affrontare questa sfida! Come cristiani abbiamo il Vangelo, che dà senso e speranza alla nostra vita; e come cittadini avete la Costituzione, “bussola” affidabile per il cammino della democrazia.
E allora, avanti! Avanti. Senza paura, aperti e saldi nei valori umani e cristiani, accoglienti ma senza compromessi sulla dignità umana. Su questo non si gioca.
Le sue parole ci restano come un orientamento decisivo, come un programma di testimonianza concreta su cui impegnarci. Grazie papa Francesco. Da Lassù veglia su di noi. E dopo queste parole, hai ricordato le tragedie di guerre che ancora inorridiscono. Ci ricordasti la martoriata Ucraina, Palestina e Israele, il Sudan, il Myanmar e ogni popolo che soffre per la guerra. E chiedesti l’intercessione di Maria venerata sul Monte Grisa come Madre e Regina. Ma ora per Trieste e per questo mondo piagato chiediamo anche la tua intercessione.

























































