Il 12 maggio l’Università degli Studi di Trieste ha conferito la laurea honoris causa in Psicologia a Julio Velasco, personaggio noto per i tanti successi raccolti ma conosciuto pure per il suo approccio originale verso il mondo dello sport. Alla manifestazione, che ha visto l’aula magna gremita di persone dell’Ateneo, giovani e meno giovani e non solo dei corsi di Studio in Psicologia, hanno partecipato anche sportivi e cittadini richiamati dalla presenza di un personaggio così importante. Un’altra bella occasione per l’Ateneo per interagire con la città, data anche dalla partecipazione all’evento del quotidiano locale Il Piccolo, e per offrire una testimonianza profonda, così come recita la motivazione formale della Laurea, letta dal Rettore, prof Di Lenarda: “Per il contributo eccezionale e pionieristico fornito all’applicazione dei principi della psicologia motivazionale, relazionale e della leadership nel contesto sportivo e organizzativo e per aver sviluppato un modello comunicativo e gestionale capace di valorizzare il potenziale individuale e collettivo, contribuendo in modo determinante alla formazione di una cultura della prestazione sportiva consapevole, etica e sostenibile.”
La carriera e il trionfo olimpico
Tornato alla ribalta qualche mese fa con la splendida vittoria con la nazionale femminile di pallavolo alle Olimpiadi di Parigi, l’allenatore argentino vanta un palmares di grande prestigio (non si può non ricordare la nazionale italiana maschile con cui ha collezionato, tra l’89 e il ’96, 3 ori europei, 2 mondiali e 5 vittorie nella World League), palmares frutto di un lavoro intelligente nel cercare di fare squadra, di valorizzare il singolo all’interno di un gruppo.
Allenare la mente, generare comunità
“Allenare la mente”, questo il titolo scelto per la sua presentazione. Partendo dal concetto di mens sana in corpore sano, Velasco afferma che questo concetto può essere superato, “perché quel concetto si basava sul fatto che la cosa importante era l’intelletto e che per l’intelletto era meglio avere un corpo sano, come due cose separate e una più prioritaria dell’altra. In realtà oggi si sa che l’essere umano impara con il movimento e dopo concettualizza”. Dopo aver raccontato brevemente il suo percorso di studi universitari, tragicamente interrotti a causa del golpe dei militari del ’76, Velasco ha parlato della sua esperienza di allenatore, sottolineando aspetti importanti che possono permettere a tante individualità di diventare una squadra. Lo sport può essere uno stimolo per fare squadra anche in tante altre situazioni: “C’è una questione della mentalità, che è quel contesto generale di un Paese, di una cultura, di una comunità o anche di un piccolo microcosmo, come può essere una squadra. E quello che io cerco di fare è prima di combattere gli alibi generali della comunità o della cultura in cui viviamo, ma dopo di creare un piccolo microcosmo di mentalità che sia produttiva, che sia efficace, che aiuti i singoli a dare il meglio. Il punto per costruire una squadra è che i diversi funzionino meglio insieme, non che perdano l’identità dell’io”. Lo sport quindi come occasione per crescere insieme, nel rispetto e nella valorizzazione di ciascuno: in una squadra le caratteristiche e i compiti di ogni giocatore sono diversi ed è proprio da queste diversità che è possibile costruire qualcosa di diverso che tenga conto delle singole specificità. Non una semplice somma dei diversi ruoli. Grazie a Julio Velasco per averci ricordato quanto amava ripetere Papa Francesco, e cioè che lo sport può essere un generatore di comunità, soprattutto per i giovani perché crea socialità, fa nascere amicizie, crea condivisione, partecipazione e senso di appartenenza. Lo sport può essere simbolo di unità per una società, un’esperienza di integrazione, un esempio di coesione e un messaggio di concordia e di pace.
Lucio Torelli
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti al nostro canale Whatsapp cliccando qui






