Desiderio di famiglia e di figli

Presentato a Roma il report “Cambiare Paese o cambiare il Paese. Dossier 2025: dai numeri alla realtà” di Fondazione per la natalità in collaborazione con Istat

In Italia si fanno sempre meno figli, ma non perché manchi il desiderio di averne. Nel 2024 le nascite sono scese a 370.000, toccando il minimo storico dall’Unità d’Italia. Eppure, “il 74,5% dei ragazzi –tra i 11 e i 19 anni – si immagina in coppia. Il 72,5% sogna il matrimonio. Il 69,4% dichiara di volere figli e tra questi l’80% ne desidera due o più”. È “la prova di un divario crescente tra ciò che le persone desiderano e ciò che riescono a realizzare”, secondo il report “Cambiare Paese o cambiare il Paese. Dossier 2025: dai numeri alla realtà”, presentato il 3 giugno a Roma e realizzato dalla Fondazione per la natalità in collaborazione con l’Istat. Il report fotografa “una crisi demografica sempre più profonda”: tuttavia, “questo crollo non riflette un disinteresse verso la genitorialità”. Anzi, i dati mostrano che “la volontà di avere figli resta forte”: a fronte di un desiderio diffuso di costruire una famiglia, “solo una donna su tre riesce ad avere tutti i figli che vorrebbe”, ma “la fecondità reale è ferma a 1,18 figli, ben al di sotto della soglia di sostituzione”. Il “divario” tra progetti familiari e realtà, si legge nel report, “è spiegato da ostacoli concreti e sistemici: motivi economici, precarietà lavorativa, carenza di servizi per l’infanzia e difficoltà abitative costringono molte coppie a rimandare o addirittura rinunciare. Non si tratta di una semplice evoluzione culturale, ma di una scelta spesso obbligata, dettata dall’instabilità occupazionale e dall’assenza di condizioni favorevoli per conciliare famiglia e lavoro”. Ma, allora, la denatalità è una questione culturale o sociale ed economica? Per la Fondazione per la natalità, come ci spiega il suo presidente Gigi De Palo, la risposta è “entrambe”.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Cosa ci dicono i dati che avete presentato nel Dossier?

Purtroppo, c’è un dato indiscutibile: in Italia sta crollando la natalità. Nel nostro Paese c’è tutta una narrazione su siti Internet, pagine Facebook e altre piattaforme, che dice che di fatto in Italia i giovani e le donne non vogliono figli, una narrazione totalmente fuorviante.

I dati Istat dicono che c’è un desiderio di famiglia e di figli.

Noi dovremmo gioire di questi dati, perché siamo in una situazione diversa rispetto a quella del Giappone, che è un Paese finito per un motivo molto chiaro: a loro manca il desiderio di stare insieme e di avere figli, devono ricreare tutto questo. In Italia questo ce l’abbiamo, allora il tema è cercare di lavorare, come dico sempre, tutti insieme, maggioranza, opposizione, società civile, per un nuovo patto per i giovani, per permettere ai giovani di realizzare i loro sogni. Solo così avremo automaticamente più famiglie e più natalità. Occorre, perciò, lavorare affinché i giovani abbiano un lavoro il prima possibile e agevolmente accesso alla casa e affinché siano pagati come i loro coetanei francesi o tedeschi. Se succederà tutto questo, avremo più figli: i dati dicono questo.

Non è corretto dire, quindi, che in Italia i giovani non vogliono figli?

I dati ci dicono che culturalmente il desiderio c’è, ma poi quando si arriva a 20 anni ci sono delle mancanze strutturali nel Sistema Paese che fanno abbassare il livello dei sogni dei giovani, che fanno desiderare altro, ma quel desiderio di una famiglia e dei figli in partenza c’era. Se un Paese non mette i propri giovani nelle condizioni di realizzare questo, allora è finita, è game over, è triste perché è una sconfitta di tutti.

Altri Paesi cercano di contrastare il calo demografico…

Basti pensare al Giappone, alla Corea, oggi al Vietnam, dove prima c’era il limite imposto di due figli per donna, che ora è stato abolito. Altri Paesi hanno capito che la questione della natalità tocca tanti altri aspetti. Se noi non troviamo una risposta a questi giovani, questi giovani emigreranno e noi saremo costretti a fare un discorso ampio e massiccio di immigrazione. Quindi, l’immigrazione non sarà più un tema su cui ragionare, sarà qualcosa da accettare passivamente. Per questo proponiamo di uscire dalla logica ideologica dell’immigrazione, favorendo lo ius familiae: coinvolgiamo famiglie di immigrati, in modo tale da tranquillizzare anche tutti quelli che sono preoccupati della questione della sicurezza, perché quando emigrano le famiglie c’è un controllo maggiore e soprattutto in questo modo andiamo a fare un ragionamento di lungo periodo, non solamente previdenziale, ma che tocca tutti gli aspetti.

Non dimentichiamo che le stime dicono che crolleremo di 7 punti del Pil se non riparte la natalità.

Incide il fattore culturale sul calo demografico o è solo una questione economica?

Cultura ed economia sono collegate.

Fino a quando la nascita di un figlio sarà la seconda causa di povertà, inevitabilmente i giovani anche culturalmente saranno condizionati da questo. L’analisi che viene dai dati è estremamente chiara, il problema è che anche i numeri sembrano non essere condivisi, se mettiamo in discussione anche i dati Istat, perché ciascuna realtà, ciascuna azienda, ciascuna fondazione si fa il suo studio specifico per far dire ai numeri quello che vuole, non andiamo da nessuna parte, quindi prima di tutto occorre condividere l’analisi, sono dati incontrovertibili.

Cosa proponete come Fondazione per la natalità per invertire il trend negativo dell’inverno demografico?

Serve prima di tutto una fiscalità a dimensione familiare,

perché oggi se tu fai un figlio paghi le stesse tasse di chi non ha figli e questo non è equo, non è culturalmente edificante, non è culturalmente percepito come un’attenzione nei confronti dei giovani e delle famiglie da parte delle persone che sono nell’età in cui devono mettere al mondo un figlio. Se a livello fiscale vieni abbandonato dai l’idea che il figlio sia un impegno privato e non un bene pubblico. Secondo aspetto, salari adeguati dei giovani e lavori a tempo indeterminato in modo tale che i ragazzi possano fare famiglia quando desiderano farla, non a 35 anni dopo che hanno avuto per anni contratti precari, mentre colleghi francesi o tedeschi guadagnano il triplo, il quadruplo. Terzo, accesso alla prima casa con delle garanzie che non devono essere per forza garanzie date dai genitori, ma che ci sia un investimento anche su questi ragazzi. Queste sono le fondamenta, poi dopo c’è tutto il resto, asili nido, congedi parentali. Da tempo chiediamo, infine,

un’Agenzia per la natalità, un luogo dove si mettono a fattore comune le idee, le proposte.

Avete un feedback con i ragazzi?

Stiamo portando l’opuscolo con i dati della Fondazione per la natalità e dell’Istat nelle scuole, la sfida è di parlare di natalità ai giovani con un linguaggio diverso, di fare capire loro cosa sta accadendo. Quando ci confrontiamo con loro mostrano con interesse e confermano quanto ci dicono i dati del report. Questo dossier che abbiamo presentato è un progetto culturale, perché di fatto stiamo cercando di far arrivare queste tematiche anche dove non è facile, stiamo cercando di trasformare il tema natalità in una questione non solamente per addetti ai lavori.

Che appello vuole lanciare?

Partendo dal dato positivo mostrato dall’Istat che tra i ragazzi c’è ancora voglia di fare famiglia e avere figli, dobbiamo lavorare per trasformare questo desiderio in effettiva possibilità. Non rassegniamoci a una narrazione negativa. Ne parleremo, il 28 e il 29 novembre a Roma, anche ai prossimi Stati generali della natalità, che avranno per titolo “Cambiare Paese o cambiare il Paese?”. Il titolo è provocatorio, ma ci vogliamo chiedere: proviamo a giocare la partita oppure dobbiamo dire ai nostri figli di andare all’estero? Io credo che sia importante voler giocare la partita.

Per “cambiare il Paese e non cambiare Paese” ci vogliono le alleanze, c’è bisogno del contributo di tutti. Ci vuole il fare squadra, capire che questa è la finale mondiale, non è una delle partite del campionato. E la finale mondiale si gioca con la nazionale, non con le squadre di club.

Gigliola Alfaro (SIR)

Foto in evidenza Calvarese/SIR

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