Sulla scia della 62esima Giornata mondiale di preghiera per le Vocazioni che ha per tema “in qualunque genere di vita, non si vive senza queste tre propensioni dell’anima: credere, sperare, amare” tratto dalla Bolla di indizione del Giubileo Spes non confundit, prosegue la serie di interviste a sacerdoti diocesani, religiose e religiosi che operano in Diocesi e che, quest’anno, celebrano degli anniversari importanti di ordinazione sacerdotale o di professione religiosa.
Incontriamo oggi don Lorenzo Maria Vatti, milanese di origine, 59 anni, ordinato sacerdote a Roma in piazza SAn Pietro il 14 maggio del 2000 per l’imposizione delle mani di Papa Giovanni Paolo II. È attualmente parroco della Parrocchia di San Pasquale Baylon e, tra i vari incarichi, anche assistente spirituale dell’Unitalsi. Quest’anno anche per lui ricorre il 25° dell’ordinazione ordinazione sacerdotale.
Andiamo all’origine di tutto. C’è un momento che porta nel cuore e di cui ha ricordo nel quale ha vissuto concretamente la chiamata al sacerdozio? A quando risale?
Io sono nato una domenica e mia mamma stava per morire. Mio padre è stato chiamato in sala parto e gli hanno detto di andare a dare l’ultimo saluto a mia mamma. Mio padre andò a fare un voto alla Madonna e mi offrì alla Madonna e io porto come ex voto il nome Lorenzo Maria. Già questa fu una chiamata, nella quale io ero ancora “assente”. Mia mamma, poi, è rimasta viva. E questo è il primo momento che, però, mi è stato raccontato. Poi a cinque anni dicevo la messa in casa: mi mettevo un foulard davanti e uno dietro per fare la casula. A otto anni parlavo con mia cugina di Gesù e lei mi disse “secondo me ti farai prete” e io le dicevo di sì. A tredici anni dico a mia mamma che volevo entrare in Seminario ma lei mi dice che fino alla maturità non se ne parlava. E alla fine, quando lavoravo nell’esercito, ho avuto tre incontri in un mese abbastanza particolari. Stavo facendo un incidente e quello che ha scampato l’incidente mi venne incontro dicendomi di tutto e mi disse che le donne mi avrebbero aspettato per dire la messa. Ed ero vestito in modo molto laico. Dopo qualche giorno ero a Zafferana, entro in chiesa e mentre il sacerdote stava per entrare dalla sagrestia continuava a chiamarmi per salire sull’altare e io non capivo. Inizia la messa e mi viene incontro e mi dice “perché non sei venuto a dire la Messa?” e gli risposi che non ero un prete. Tornando da Zafferana e andando verso la Toscana per partecipare a un incontro con un vecchio amico mio, c’era un sacco di gente che mi parlava, lui ha lasciato tutto e è venuto da me e mi ha detto “Lo sai che il Signore ti chiama?”. E a quel punto ho deciso.
Tante chiamate quindi…
Sì, tante chiamate… Poi la decisione definitiva la presi durante una catechesi sull’ordine sacro. Uscii dalla catechesi dicendo: “Mi faccio prete”.
La sua storia non inizia a Trieste, però…
No, io sono di Milano. Sono diventato prete a Roma, tra l’altro, perché a Milano non volevo fare questo percorso. Da Roma, poi, mi hanno mandato come fidei donum a Trieste e poi a Trieste ho chiesto di fermarmi e monsignor Ravignani mi ha accolto.
Lei è stato da subito un sacerdote diocesano o prima apparteneva a una congregazione?
Facevo parte di un’associazione pubblica clericale. Eravamo preti di Roma associati fra di noi: gli Oblati figli della Madonna del Divino Amore.
Lei è stato ordinato sacerdote nel 2000…
Il 14 maggio del 2000 in piazza San Pietro da Giovanni Paolo II. Arrivato a Roma per frequentare il Seminario ho saputo ben presto che i preti di Roma venivano ordinati dal Papa. Il giorno dell’ordinazione era un giorno bellissimo, caldissimo, ero molto sereno e l’unica cosa che ho fatto un po’ fuori dal normale è stata mettermi la brillantina in testa per fermare i capelli che mi andavano da tutte le parti. Quel giorno siamo stati ordinati in ventisei: io ero uno dei due che sono stati messi all’altare per concelebrare col Papa. Ho tutta una serie di ricordi bellissimi.
Si sente di condividerne qualcuno?
Sono stato chiamato a concelebrare col Papa perché tutti gli altri erano dietro, erano a due o tre metri dall’altare, mentre io ero proprio lì accanto al Papa. Poi l’altro particolare è che quando mi sono alzato dalla prostrazione, eravamo in piazza, ho alzato gli occhi al cielo e ho detto al Signore “Adesso sono fatti tuoi”. Ricordo anche che, prima dell’inizio della celebrazione, ancora prima che ci mettessero i camici, ho sentito gridare il mio nome da un gruppo di persone: erano i ragazzi nella mia parrocchia nel primo settore e quindi sono andato a salutarli. Poi c’erano i miei genitori che sono andati a comunicarsi dal Papa e mio fratello e mia cognata hanno presentato al Papa la loro bimba di 5 mesi che adesso ha 25 anni. Lui ha benedetto l’acqua e il vino, ha parlato a mia cognata e ha benedetto la bambina toccandole la bocca: il segno della profezia. A me, dopo l’ordinazione, quando sono andato ad abbracciarlo ha detto “Persegui la santità”.
Nel 2000 il Papa era già abbastanza provato dalla sofferenza, tanto che ci lasciò pochi anni dopo…
Lo ricordo parecchio provato quel giorno. Mentre mi avvicinavo mi guardava… ero l’ultimo della fila, essendo il più alto di tutti, e il suo sguardo mi comunicava una sorta di disperazione… poi mi sono accorto che era stanco, solo stanco.
E avrebbe mai immaginato che sarebbe stato proclamato santo in così poco tempo dopo la sua morte?
Devo dire di sì. Ero presente al suo funerale e ai tempi del funerale ero ancora prete di Roma quindi sono andato alla celebrazione. E ho visto e sentito tutta la piazza gridare “Santo, santo!”. Mi sono detto, a quel punto, “Beh, è già santo” perché i primi santi venivano fatti per acclamazione, cioè era il popolo a dire la santità della persona. Tutto il resto era soltanto formalità. È stata un’esperienza davvero impressionante. E comunque ho conosciuto quello che oggi è Papa Leone, perché studiavo l’Augustinianum e lui era Rettore generale degli Agostiniani. Ogni tanto andavo a mangiare con loro e l’ho conosciuto. Non avrei mai immaginato che un giorno lui sarebbe diventato Papa.
Ma questo temperamento che Papa Leone sta dimostrando in questi primi mesi di pontificato… il fatto di essere così pacato, posato nelle parole, preciso… era così da sempre, anche quando lei lo ha conosciuto?
Sempre, sempre. È uno che ascolta tantissimo. Parla poco, ma quando parla è come una lama di rasoio, un “bisturi”, è davvero impressionante.
Facciamo, ora, un passo indietro. Ci ha detto di questa vocazione arrivata in varie puntate … ad un certo punto ha iniziato il cammino di preparazione al sacerdozio, quindi è entrato in Seminario. Cosa può raccontarci di questo percorso?
Diciamo che la scelta del Seminario è stata un po’ strana, perché pensavo di entrare nei Barnabiti, dove c’era mio zio. Poi un giorno, il 24 dicembre del 1993, andai a confessarmi. Esce dal confessionale un prete del Divino Amore, io gli parlo e lui mi dice “Questo è il tuo vicerettore”. Allora io per obbedienza sono andato lì. Non è che abbia fatto molto discernimento, ecco. Lui era il mio padre spirituale.
Il primo anno di Seminario è stato molto bello, perché io sono laureato in giurisprudenza, lavoravo nell’esercito, avevo una vita abbastanza ricca e nel primo anno mi hanno permesso di avere qualche incontro con l’esterno. Poi dal secondo anno in avanti invece mi hanno proibito ogni tipo di uscita: è stato veramente molto duro. Durante la preparazione non è che ci fosse un insegnamento… a un certo punto ti punivano e basta. Non l’ho vissuto molto bene, ecco.
Dal punto di vista dello studio teologico sono stato fortunato, perché essendo laureato in giurisprudenza, mi hanno dato la possibilità di studiare filosofia per conto mio e poi sono entrato subito a Teologia: questo mi ha permesso di finire prima e di studiare anche Patristica, dove mi sono laureato con una tesi su Sant’Agostino. Teologia l’ho studiata alla Lateranense, mentre Patristica l’ho studiata all’Augustinianum.
È stato tutto molto bello. La vita di seminario, invece, abbastanza angosciante. Non mi piacerebbe rifarla, assolutamente. Avrei sperato un Seminario un po’ diverso. A un certo punto ho avuto la possibilità di diventare vice-rettore, ma non so per quale motivo. Forse se fossi diventato vice-rettore avrei cercato di dare una forma diversa al Seminario…
In quale parrocchia faceva servizio mentre era in Seminario?
In quel periodo ero in servizio al Santuario della Madonna del Divino Amore. Quando ero diacono e poi anche da prete ho fatto servizio a Santa Maria della Fiducia, nella borgata Finocchio di Roma. Sono stato lì per cinque anni: uno da diacono e quattro da prete. E ho creato l’oratorio che non c’era e che è vivo ancora oggi.
C’è qualche persona, qualche insegnante che più di altri ha lasciato in lei un segno in questi anni di studio?
Il professor Vittorino Grossi, che è ancora vivo, il mio professore di patristica. Una persona squisita, amico anche del professor Cuscito, che ha veramente cambiato la mia vita. Dopo cinque anni che non lo vedevo, qualche giorno fa sono andato a trovarlo e appena entrato subito mi ha chiamato per nome “Lorenzo!” Un professore che si ricorda così di te, è qualcosa di straordinario.
In che anno è arrivato a Trieste?
Nel 2004. L’ingresso l’ho fatto il 26 settembre del 2004. Poi, sono andato a Coloncovec, Santa Maria Maddalena, poi a Borgo San Sergio, poi a Madonna del Mare, poi mi hanno dato la parrocchia di San Pasquale Baylon dove sono parroco attualmente. Quest’anno sono uscito a realizzare un centro estivo dopo 40 anni che non c’era niente a livello di oratorio. Mi definisco un “oratorista seriale”.
Una volta arrivato a Trieste, quali servizi ha preso in carico?
All’inizio facevo servizio a Borgo a San Nazario e poi seguivo i Neocatecumenali, perché non avevano molti preti che li seguissero come adesso. Vivevo a Monte Grisa, molto solo devo dire, per cui almeno due giorni a settimana mi immergevo nel contatto con la gente. Poi sono riuscito a lanciare la parrocchia di Borgo San Nazario, lì abbiamo messo in piedi la sagra parrocchiale, che è risultata una delle migliori di tutto l’Altipiano. Avevamo una frequentazione tra le 5mila e le 10mila persone a sera, tanto da non sapere come fare per dare da mangiare a tutti. Con quei soldi siamo riusciti a fare il campo scuola, il centro estivo per i bambini, tutto a un costo minimo. Mi piacerebbe tornare lì, ma non credo che sarà mai possibile. Poi nel tempo ricevetti la proposta da parte di uno dei volontari di Radio Nuova Trieste di curare una trasmissione: così iniziai a trattare i Padri della Chiesa, poi la Bibbia, poi Sant’Agostino e nel 2018 sono diventato direttore di Radio Nuova Trieste fino al momento recente nel quale è stata chiusa.
Torniamo ai temi della Giornata mondiale di preghiera per le Vocazioni. Nel Messaggio lasciatoci da Papa Francesco sono stati sottolineati tre verbi: credere, amare e sperare. Rispetto alla sua storia personale di sacerdote, come li coniugherebbe? Ce n’è uno che per lei è più importante, si è concretizzato di più rispetto ad altri?
Credere. Io non ho mai smesso di credere. Sento di avere una fede incrollabile, almeno fino ad oggi è stata così. La mia fede è il fondamento assoluto della mia vita e quindi nel credere c’è anche lo sperare assoluto. Anche nel mio impegno come Youtuber, per il quale quotidianamente faccio uno short, in una puntata ho posto la domanda: come si fa a superare ogni crisi? La risposta è: credendo. Gesù ce lo ha insegnato in tre momenti: davanti a Lazzaro perché vede un suo amico giovane morire e va in crisi, però ringrazia il Padre e uno può ringraziare solo se ha fede; nell’orto degli ulivi dicendo “sia fatta non la mia, ma la tua volontà” e uno lo può dire solo se crede; sulla croce dicendo “nelle tue mani consegno il mio spirito” e lo puoi dire solo se credi.
Nel messaggio che Papa Francesco ci ha lasciato per questa giornata delle vocazioni, ad un certo punto in un passaggio dice questo. La vocazione non è mai un tesoro che resta chiuso nel cuore, ma cresce e si rafforza nella comunità che crede, ama e spera. E poiché nessuno può rispondere da solo alla chiamata di Dio, tutti abbiamo necessità della preghiera, del sostegno dei fratelli e delle sorelle. Allora le chiedo quanto è stata importante nella storia della sua vocazione, del suo ministero, la comunità e quanto è stato importante il sostegno della preghiera sua e della comunità?
Appena ordinato sacerdote, sono andato immediatamente a San Gregorio VII dove c’è la casa generalizia delle Monache di Santa Teresa di Calcutta e lì ho chiesto che una monaca offrisse la sua vita nella preghiera per il mio sacerdozio. Tutti i preti lo possono fare. Perciò io ho suor Teresa, che non ho mai incontrato, che prega per me con la sua vita e questo credo sia stata la preghiera che più mi ha salvato nei momenti più difficili della mia vita. Sono certo che ogni giorno lei prega per me e questo mi sostiene. Poi tanta gente mi dice che prega per me e ho sentito sempre i frutti. La comunità prega e questo è importante.
Poi, certo, c’è la mia preghiera personale: io dico 4 rosari al giorno, passeggiando, e faccio Adorazione Eucaristica il più possibile. Anzi, consiglio a tutti, preti compresi, di rinforzare questa preghiera e questa pratica. Perché, quando a Monte Grisa ho cominciato a fare ogni giorno un’ora di adorazione, Borgo San Nazario si è riempito di gente e anche a Monte Grisa ho cominciato ad avere un maggior afflusso di persone.
E perché secondo lei è così importante?
Perché per primo era San Giovanni Maria Vianney a dire “io non sono capace di portare la gente in chiesa, pensaci tu” e stava davanti al Santissimo. E poi stare davanti al Santissimo è come stare in spiaggia sotto il sole: ci si abbronza. Nella Pentecoste gli apostoli vengono avvolti dalle lingue di fuoco dello Spirito Santo e quindi diventano luminosi, “radioattivi”, belli così tanto che non si riescono nemmeno a guardare senza restare abbagliati. E allora l’Adorazione è proprio questo: chiedere di essere sfolgoranti.
È bella questa immagine. E le persone le vede trasformate?
Devo dire che in generale c’è abbastanza distrazione e spesso le persone davanti al Santissimo più che pregare parlano… le persone sono come attirate, ne vengono di più, ma forse ancora poco attente. Però io amo le persone così come sono. Il Signore mi ama così come sono e le posso garantire che non sono tanto docile né tanto bravo… dico anche le cose senza fare sconti. Poi ognuno è libero e io affido tutti a Dio.
Immaginando che qualche giovane possa leggere questa intervista… se uno o una di loro fosse alle prese con una chiamata e avesse dei dubbi o avesse paura… Cosa si sentirebbe dire a loro?
Di fare come Gesù nell’orto degli olivi: sia fatta la tua volontà, senza chiedere altro. Direi loro di consegnare la propria vita al Signore e poi lui ne farà ciò che desidera. A quel punto i segnali diventano chiari e non c’è più bisogno di fare molte domande.
Il punto è non cercare di allontanare questa chiamata, ma di affidarsi al Signore: solo in questo modo il Signore potrà indicare la strada e farci vedere ciò che vuole da noi.
Quindi fare spazio?
Sì fare spazio e aspettare. Io quando sono entrato in seminario sentivo la vocazione al matrimonio e identicamente la vocazione al sacerdozio. Poi a un certo punto ho avuto chiarezza e adesso sono contento, ma ai tempi no. A un certo punto bisogna ascoltare la voce del Signore e dire “Va bene, fai tu”.
A distanza di 25 anni dalla sua ordinazione, alla luce di tutti gli incontri e le esperienze che ha potuto vivere nel suo ministero, può dire che ne è valsa la pena?
Certo! Io davvero non potrei fare altro. Veramente sono felice e spero di morire prete. Con la vocazione al sacerdozio la mia vita, la mia persona, proprio ontologicamente è cambiata. Sono un’altra persona, sono un prete. E se c’è una cosa che ho capito in tutta questa vita è che Dio è amore. Lo ha detto Giovanni nella sua Prima Lettera e lo ha rimarcato anche Benedetto XVI. Dio è amore. In questa vita io ho capito, ho toccato con mano, ho visto, ho ascoltato, ho assaporato e ho annusato questo. Condivido volentieri questa consapevolezza perché potrebbe aiutare qualcuno. E desidero che anche gli altri possano comprendere che Dio è amore.
A cura di Luisa Pozzar
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