Un pellegrinaggio speciale ha condotto 150 sacerdoti e seminaristi dei seminari diocesani delle Diocesi del Triveneto a Roma. Oggi, dopo la sosta compiuta ieri a Siena per rivivere la testimonianza di Santa Caterina, la mattinata è stata interamente dedicata ad un parroco della Chiesa di Roma martirizzato in Turchia, terra di antichi Concili e crocevia di fedi: è don Andrea Santoro, sacerdote romano ucciso a Trabzon nel 2006 mentre pregava nella sua chiesa, seduto su uno degli ultimi banchi e con la sua Bibbia in mano.
Due le chiese visitate dai pellegrini triveneti: la parrocchia di Gesù di Nazareth, fondata da don Santoro stesso, che vi arrivo nel 1981. Poi la chiesa dei Santi Fortunato e Venanzio, dove riposano le sue spoglie. Don Andrea Santoro era mosso da una passione ardente per il Medio Oriente, culla della fede cristiana. Aveva il desiderio profondo di “essere Gesù dove Gesù non c’è, essere Chiesa dove la Chiesa non c’è”. Per questo, partì per la Turchia all’età di cinquant’anni, dopo anni di ministero pastorale nelle periferie romane, spinto dal desiderio di vivere una presenza semplice e silenziosa, “contemplativa e sulla porta”, come amava dire.
La chiesa fu costruita nel 1988, pensata come un luogo che parlasse di dialogo: le pietre dell’altare provenivano da Nazareth, e in un primo momento si era ipotizzato di dedicarla ad Abramo o ai Patriarchi e Profeti. Nella canonica, progettata da un architetto francescano, si respirava uno stile sobrio e accogliente, quasi “francescano”.
Don Giuseppe, parroco attuale, conserva ancora una Bibbia trafitta da un proiettile: era quella che don Andrea teneva con sé quando fu ucciso. Simbolo di una vita offerta, e della convinzione che “si diventa capaci di salvezza solo donando la propria carne”.
Il diacono permanente Marcello, che conobbe don Andrea fin da giovane, racconta: “Celebravamo nella casetta per i rifiuti del quartiere, prima che questa chiesa di Gesù di Nazareth venisse edificata: don Andrea è stato il nostro primo parroco. Quando compivamo un pellegrinaggio con lui, in Egitto o Palestina chiedeva di essere essenziali: ci bastava un bagno e un pavimento su cui dormire. Lui era severo, con se stesso e con noi, ma trasmetteva la grandezza di ciò che cercavamo”. I ricordi comuni parlano di un uomo che aveva sempre con sé la Bibbia — letta, sottolineata, amata — e che desiderava pregare in turco, per entrare in punta di piedi nel cuore di quella terra.
Nella parrocchia dei Santi Fabiano e Venanzio, don Andrea arrivò nel 1993. Don Marco Vianello, allora suo collaboratore poi sui successore nell’incarico, che arrivò nella stessa parrocchia poco dopo don Andrea, ricorda una realtà difficile, “quasi deserta, da ricostruire”. Ma don Andrea aveva fame di inclusione. Scriveva lettere a tutto il territorio parrocchiale, invitava tutti, senza distinzioni, a partecipare. Durante la “missione cittadina” del 1996, durata ben tre anni, volle che ogni realtà parrocchiale si prendesse cura di una parte del territorio. “Con lui — racconta don Marco — sono stato più in strada che in chiesa: messe nei condomini, visite, incontri. La parrocchia, per lui, non era un luogo fisico, ma l’intero territorio umano e spirituale”.
Eppure don Andrea alternava l’attività pastorale più intensa a momenti lunghi di preghiera, solo con la sua Bibbia, evidenziata versetto per versetto. Il desiderio di essere presenza della Chiesa di Roma in Turchia lo portò a vivere quasi da solo, in un contesto dove la fede cristiana non poteva essere manifestata apertamente. Lì, fondò l’associazione “Finestra”, per “guardare e lasciarsi guardare”, imparando ad ascoltare in un mondo spesso segnato da muri.
Giunto in Turchia dopo una profonda crisi ministeriale don Andrea visse fino in fondo il dono della sua vita. Volle essere appresentante della Chiesa in un territorio grande come il Lazio, don Andrea visse anche momenti delicati, come la crisi internazionale scatenata dalle vignette su Maometto in Danimarca. Ma non rinunciò mai alla sua testimonianza semplice, fatta di dialogo e di presenza.
Quando il suo corpo fu riportato a Roma, fiumi di persone si raccolsero attorno alla camera ardente nella sua vecchia parrocchia. Il corteo verso San Giovanni in Laterano fu una silenziosa processione di volti, storie, vite toccate dalla sua.
Anche le sorelle, Maddalena e Imelda Santoro, presero la parola per ricordarlo. I pellegrini dei Seminari del Triveneto hanno celebrato l’Eucarestia presieduta dal Vescovo di Chioggia Giampaolo Dianin nella chiesa dei Santi Fortunato e Venanzio.
Martedì 24 è stata la volta del grande ingresso giubilare in San Pietro e l’udienza con il Santo Padre Leone. Il vescovo di Chioggia Dianin ha aperto e condotto la processione dei seminaristi del Triveneto, con lui il Patriarca Francesco. I pellegrini del Triveneto hanno compiuto i gesti propri dell’anno giubilare: pregare, rinnovare la fede, invocare la misericordia.
Una esultanza gioiosa e travolgente ha animato la più grande basilica della Cristianità. Nonostante non fossero previsti canti o gesti di accoglienza i seminaristi hanno spontaneamente reso omaggio al Papa con il cantando insieme, spontaneamente, i canti della tradizione della Chiesa in latino.
Ai seminaristi il Papa ha rivolto una catechesi tutta centrata sull’esigenza di conoscere il proprio cuore attraverso una profonda vita interiore così da curare le proprie ferite e rinnovare tutta la vita: «Senza la vita interiore non è possibile neanche la vita spirituale, perché Dio ci parla proprio lì, nel cuore. Dios nos habla en el corazón, tenemos que saber escucharlo. [Dio ci parla nel cuore, dobbiamo saperlo ascoltare]. Di questo lavoro interiore fa parte anche l’allenamento per imparare a riconoscere i movimenti del cuore: non solo le emozioni rapide e immediate che caratterizzano l’animo dei giovani, ma soprattutto i vostri sentimenti, che vi aiutano a scoprire la direzione della vostra vita. Se imparerete a conoscere il vostro cuore, sarete sempre più autentici e non avrete bisogno di mettervi delle maschere. E la strada privilegiata che ci conduce nell’interiorità è la preghiera: in un’epoca in cui siamo iperconnessi, diventa sempre più difficile fare l’esperienza del silenzio e della solitudine. Senza l’incontro con Lui, non riusciamo neanche a conoscere veramente noi stessi».
Forte l’esortazione del Santo Padre ad una formazione integrale: «Vi invito a invocare frequentemente lo Spirito Santo, perché plasmi in voi un cuore docile, capace di cogliere la presenza di Dio, anche ascoltando le voci della natura e dell’arte, della poesia, della letteratura e della musica, come delle scienze umane. Nell’impegno rigoroso dello studio teologico, sappiate altresì ascoltare con mente e cuore aperti le voci della cultura, come le recenti sfide dell’intelligenza artificiale e quelle dei social media. Soprattutto, come faceva Gesù, sappiate ascoltare il grido spesso silenzioso dei piccoli, dei poveri e degli oppressi e di tanti, soprattutto giovani, che cercano un senso per la loro vita».
Nel pomeriggio di martedì la visita a Chiesa Nuova e la preghiera sulla tomba di San Filippo Neri: i seminaristi sono stati accolti da una catechesi di Padre Simone Raponi della Congregazione dell’Oratorio, poi il Patriarca Francesco Moraglia ha presieduto l’Eucarestia alla quale hanno concelebrato l’arcivescovo di Udine Riccardo Lamba, il vescovo di Chioggia Giampaolo Dianin, l’arcivescovo di Gorizia Carlo Roberto Maria Redaelli, e il vescovo di Trieste Enrico Trevisi. «La vita del presbitero non si improvvisa – ha ricordato il Patriarca – si approfondisce nel rapporto con il Signore. Il presbitero si santifica facendo il presbitero, ancor più essendo presbitero».
Cuore del pellegrinaggio il grande momento dell’incontro privato e più intimo con Papa Leone mercoledì 25 al primo mattino, poco prima dell’Udienza generale. Un momento con il Santo Padre riservato solo ai Seminari del Triveneto.
Dopo aver ricordato la grande storia di fede che lega le Diocesi del Triveneto dalla comune origine dal Patriarcato di Aquileia e la storia di santità che accomuna le Chiese di queste terre ha ringraziato i seminaristi per la disponibilità a seguire il Signore e li ha esortati a non aver paura di impegnarsi nella formazione e ad essere disponibili alla missione e al servizio, senza rifiutare il sacrificio. Al termine della breve udienza, il seminarista veneziano Niccolò Bellini ha consegnato il gonfalone di San Marco al Santo Padre. I pellegrini sono poi passati nella basilica di San Pietro dove hanno salutato brevemente il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin per poi avviarsi al ritorno. Una breve sosta a Orvieto è stata caratterizzata dalla celebrazione della Santa Messa presieduta da mons. Gualtiero Sigismondi.
Marco Zane
Foto: Vatican Media





