L’appello alla pace delle Chiese italiana, slovena e croata

A 80 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, le Chiese in Italia, Slovenia e Croazia lanciano da Gorizia un appello congiunto per la pace

“Non possiamo restare in silenzio di fronte alla drammatica escalation di violenza, al moltiplicarsi di atti di disumanità, all’annientamento di città e di popoli”. A 80 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, in un tempo sempre più dilaniato da conflitti violenti, da Gorizia si è alzato con voce unanime il grido e l’Appello per la pace delle Chiese in Italia, Slovenia e Croazia, affinché “ogni comunità cristiana sia protagonista di speranza, vigile e attiva nel promuovere e sostenere cammini di riconciliazione”. Insieme ai giovani  dei rispettivi Paesi le tre chiese, al termine della seconda giornata del Consiglio permanente della Cei, hanno trasformato un luogo,  piazza Transalpina – raggiunta a piedi dai partecipanti dopo la Veglia, che si è trasferita nella adiacente chiesa di Maria Santissima Regina, causa maltempo –  un tempo avvelenato da fili spinati e muri, in un simbolo di incontro e di fraternità. A partire dalla “fratellanza” di Gorizia e Nova Gorica, proclamate insieme Capitale della Cultura 2025. “Una piazza divisa da un confine, fino a non molto tempo fa di separazione e di divisione, e ora di fraternità e di pace”, l’ha descritta il padrone di casa, mons. Carlo Roberto Maria Redaelli, arcivescovo di Gorizia e ideatore dell’iniziativa poi accolta dalla Cei. “Una piazza che è il simbolo di due città, insieme capitale europea della cultura 2025, che vogliono essere con molta umiltà, ma anche con grande determinazione esempio per i tanti conflitti, le tante divisioni, le tante tensioni che tuttora contrappongono e dividono popoli, famiglie e persone”.

“Il grido che sale da molte parti del Pianeta è straziante e non può restare inascoltato”,

la denuncia dei presidenti delle tre rispettive Conferenze episcopali che hanno letto e sottoscritto l’appello: “Dio vuole la pace e noi siamo i suoi artigiani. Esprimiamo e incarniamo nel quotidiano questo anelito per superare frontiere e barriere, troviamo insieme la forza, il coraggio, la determinazione per spezzare ogni spirale di risentimento e di violenza”. “Guardando oltre i confini nazionali – non più linee di separazione, ma luoghi di amicizia e incontro fra i popoli – comprendiamo che le identità culturali e spirituali nazionali si fondono oggi in un più alto e condiviso patrimonio identitario europeo”, il riferimento al nostro Continente: “Questo richiama ed esige coraggiose e feconde esperienze di riconciliazione, per perdonare e chiedere perdono, dalle quali può sorgere il bene assoluto della pace, secondo le intuizioni dei padri fondatori” dell’Europa comunitaria. Un’Europa di pace, aperta al mondo, capace di ispirare fratellanza e universalismo ben al di là della sua geografia”.

“Noi, Chiese in Italia, Slovenia e Croazia, ci impegniamo a essere case della pace e a promuovere – nei nostri territori, con i giovani, le famiglie, le scuole – proposte di educazione alla nonviolenza, iniziative di accoglienza che aiutino a trasformare la paura dell’altro in occasioni di scambio, momenti di preghiera e attività che favoriscano la cultura dell’incontro, del dialogo ecumenico e interreligioso, del disarmo e della solidarietà”, recita l’appello: “Noi, Chiese in Italia, Slovenia e Croazia  ci impegniamo per il rispetto dell’inalienabile dignità di ogni persona, dal concepimento alla morte naturale; per la vicinanza ai poveri, ai malati e agli anziani; per la verità e la giustizia come cardini della vita comune; per la libertà religiosa, diritto umano fondamentale; per la riconciliazione e la guarigione delle ferite storiche; per la cura del Creato, che siamo chiamati a custodire e a consegnare alle nuove generazioni migliore di come lo abbiamo ricevuto”.

“Unite dall’unico anelito di pace, riaffermiamo la nonviolenza, il dialogo, l’ascolto e l’incontro come metodo e stile di fraternità, coinvolgendo tutti, a partire dai responsabili dei popoli e delle nazioni, perché favoriscano soluzioni capaci di garantire sicurezza e dignità per tutti”,

l’assunzione di impegno finale: “Per questo, offriamo la nostra testimonianza e la nostra azione”. “La nostra preghiera parte da questo territorio, si estende a tutti i Balcani e si allarga fino ad unire, in un unico abbraccio, Terra Santa, Ucraina e tutte le altre zone insanguinate dalla guerra”, l’abbraccio delle tre chiese.

“Sentiamo questa sera la voce dei morti caduti nelle tremende guerre passate sognando la concordia e la pace del mondo, sentiamo le vittime il cui sangue oggi viene sparso dalla follia delle inutili stragi”,

ha fatto loro eco il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, nell’omelia: “Sentiamo l’invocazione di chi è colpito dalla violenza cieca e sempre fratricida della guerra, il grido delle sofferenze terribili che questa provoca e che durano per sempre nei cuori e nel corpo delle persone colpite”.

“Chiediamo pace per la striscia di Gaza, pace per l’Ucraina, pace per tutti i conflitti pezzi tutti di quell’unica guerra mondiale, pace per coloro di cui non conosciamo neanche i nomi”,

l’appello finale: “Disarmarsi significa semplicemente  amare e non possedere, liberarsi dal seme dell’odio e della vendetta, che rende arido il cuore e finisce per giustificare la violenza, fosse pure solo nelle parole, nella freddezza, nell’imbarazzo, nel pregiudizio. Da Gorizia, con le sue ferite ma anche con la sua storia e l’esperienza che ha respo le frontiere delle cerniere, i muri dei ponti invochiamo la pace. Pensando ai confini che non ci sono vogliamo dire a chi è nella disperazione e nell’angoscia: la pace è possibile”.

M.Michela Nicolais (SIR)

Foto pagina Facebook Cei 

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