Un luminoso esempio di presenza e fedeltà al Vangelo

Proseguono le ricerche e le indagini sul martirio del Beato don Francesco Bonifacio. Intervista a Mario Ravalico, autore di un nuovo libro sul tema

Lo scorso 19 settembre, presso la sede dell’Istituto Regionale per la Cultura Giuliano-Dalmata (Irci), nonché sede del Museo della Civiltà Istriana, Fiumana e Dalmata, sito a Trieste in via Torino, si è tenuta la presentazione dell’ultimo volume curato da Mario Ravalico sulla figura del Beato don Francesco Bonifacio: “Francesco Bonifacio, vita e martirio di un uomo di Dio” (edizioni Ares). A margine di quella giornata abbiamo sentito l’autore per farci raccontare alcuni dettagli sull’opera, ma anche per avere da lui una testimonianza su questo sacerdote, Beato e martire in odium fidei, che ha molto da trasmettere alla comunità diocesana (sacerdoti e laici) anche a distanza di quasi 80 anni dal suo martirio.

Mario, parliamo del tuo nuovo libro “Francesco Bonifacio. Vita e martirio di un uomo di Dio”: il tuo lavoro di indagine sulla vita e sul martirio di don Francesco Bonifacio ti offre continue scoperte…

Nel libro troviamo una prefazione del nostro Vescovo, monsignor Enrico Trevisi, e un’introduzione dello storico Roberto Spazzali, che ha seguito la vicenda del Beato, collaborando con il Tribunale Diocesano per la beatificazione. Spazzali ha curato la parte storica e il contesto nel quale il martirio avvenne. Il volume si articola in cinque parti. La prima tratta la vita e la spiritualità del Beato Francesco Bonifacio: dalla sua famiglia e infanzia nel paese natale, alla vocazione, gli studi nei seminari di Capodistria e Gorizia, la sua ordinazione presbiterale e infine i suoi primi servizi a Cittanova dal 1937 al 1939, e poi a Crassiza, sperduta località all’interno dell’Istria, dal luglio del 1939 fino al 1946. La seconda parte affronta il ministero svolto in quel contesto di persecuzione religiosa. La sua breve vita, non dimentichiamo, attraversa stagioni cruciali che hanno caratterizzato fortemente il secolo scorso: la guerra, il fascismo, l’armistizio, l’occupazione delle terre giuliane da parte del Terzo Reich, la lotta partigiana, la fine del nazifascismo, la presa del potere da parte degli organismi jugoslavi.

Quindi le ha viste tutte!

Si, esattamente. Il secondo capitolo del libro segue la sua vicenda, soprattutto negli ultimi anni trascorsi a Villa Gardossi, oggi Crassiza. E quindi anche le difficoltà: come il suo andare dal Vescovo a Trieste nel luglio del 1946 per chiedere consigli sul da farsi. Poi gli ultimi saluti con alcuni sacerdoti, quasi fossero degli addii: don Libero Colomban, don Guido Bortuzzo (zio di don Antonio Bortuzzo) e soprattutto don Giuseppe Rocco. Fino al tragico incontro dell’11 settembre a Grisignana, dove fu arrestato e ucciso.

Poi c’è il capitolo intitolato “Dall’oblio al ricordo”…

Sì, qui racconto perché per molto tempo non si è parlato di questa vicenda. Non dimentichiamoci che era un periodo storico difficilissimo: i rapporti diplomatici tra la Santa Sede e la Jugoslavia cominciavano a cedere, poi s’interruppero del tutto. Nella nostra diocesi si iniziò a parlare di don Francesco solo nel 1956, con un articolo sul giornale Vita Nuova, a firma del direttore. Prima di allora, silenzio per un decennio.

E la questione del corpo di don Francesco?

Ho voluto mettere qui la domanda su dove sia il suo corpo e ho riportato le varie ipotesi che si sono fatte. Alcuni sostenevano che fosse nella foiba di Martinesi, altri nel piccolo cimitero di San Vito fuori Grisignana o altrove. Ho poi descritto la beatificazione del 4 ottobre 2008, con la grande festa che poi continuò con le Messe di ringraziamento nelle due diocesi vicine, a Pirano e a Grisignana.

Il quarto capitolo riporta le novità maggiori, ce ne parli?

Si, qui ci sono le novità delle mie ricerche iniziate nel 2012, grazie al supporto di diversi sacerdoti dell’Istria (voglio ricordare il parroco di Buie e il parroco di Crassiza e di Cittanova). Questi sacerdoti mi hanno permesso di entrare in contatto con alcuni fedeli laici originari di quel luogo, viventi là o a Trieste. Grazie a loro, vi è stato un lavoro preziosissimo di ricostruzione di percorsi, immagini, aneddoti, storie, testimonianze, luoghi preziosi per questa ricerca. Importante è stato l’accesso agli archivi di Stato: con una delega del fratello di don Francesco ho potuto accedere agli archivi croati (Zagabria, Fiume, Pisino) e a quelli sloveni (Capodistria e Lubiana). Purtroppo non c’è stata la possibilità di accedere all’archivio forse più importante, quello di Belgrado.

E siamo al quinto capitolo.

Intitolato “Dal ricordo alla riconciliazione”, mette in luce come il mancato ritrovamento del corpo abbia avviato tanti contatti. E poi i pellegrinaggi, le amicizie che sono nate. Tutto questo ha permesso di creare delle reti di vicinanza prima e di amicizia poi con tante persone della zona di Crassiza e dei paesi attorno, cosa che non si sarebbe mai potuta realizzare nel caso fosse stato trovato il suo corpo. Ho riportato soprattutto i tanti pellegrinaggi fatti, i gruppi di giovani e adulti venuti da fuori Trieste e hanno camminato sul “Sentiero Beato Bonifacio”. Ne è nato un grande interesse e un rinnovato impegno per non dimenticare questa storia e, anzi, per valorizzarla.

Cosa si può fare oggi in Diocesi per far conoscere don Francesco Bonifacio?

La priorità è mantenere viva la memoria attraverso momenti d’incontro e di preghiera. Il gruppo “Amici di Don Francesco” si riunisce da ben 14 anni ogni secondo giovedì del mese nella chiesa di San Gerolamo a Chiarbola, dove si trova un mosaico molto bello che racconta la sua storia. Solo attraverso la pietà e la religiosità popolare può trasmettere ciò che questo sacerdote è stato. Voglio dire molto serenamente che forse il nostro Beato non è ancora entrato nella mentalità dei fedeli e dei presbiteri. Don Francesco parla ancora oggi a questa nostra Chiesa e in particolare ai nostri giovani. Ci sono due elementi chiave della sua vita che valgono tutt’ora: la sua grande fedeltà a Dio e la sua grande fiducia in Lui fino al martirio. Senza voler fare paragoni o emettere giudizi, alcuni preti non se la sono sentita di affrontare le difficoltà e sono venuti a Trieste. Lui invece rimane al suo posto, anche incoraggiato dal suo Vescovo. Rimane, con un grande senso di responsabilità, consapevole del rischio che correva: ma non ha voluto abbandonare il suo gregge. E il secondo elemento: ci sono bellissime testimonianze che ci raccontano che don Francesco era sempre presente.

Ci racconti qualche episodio?

Ce ne sarebbero tantissimi: ad esempio quando i tedeschi volevano incendiare una casa nella quale si nascondeva un partigiano in una piccola frazione di Crassiza. Don Francesco intervenne con il tenente e riuscì a salvare la casa. Oppure il giorno in cui ci fu un bombardamento che distrusse alcune case, lui scavò con le sue mani e mise in salvo una neonata. Erano atti di coraggio, un coraggio che veniva dalla fede.

Tu che ben conosci la sua storia, cosa insegna don Francesco ai preti di oggi?

La sua grande fedeltà a Dio e al popolo resta un prezioso esempio. La situazione oggi è sicuramente diversa rispetto ai suoi anni, ma per certi versi simile. Allora si combatteva Dio e quindi lui voleva che la fede non venisse messa da parte: “Dio al primo posto”. Oggi non c’è più una persecuzione così evidente, ma c’è un pensiero diffuso un po’ subdolo: si vive la vita senza la presenza di Dio perché non si ha bisogno di lui, soprattutto quando si sta bene. Va quindi ripreso l’insegnamento di don Francesco: è importante che i preti ne parlino ai fedeli oggi.

Ci sono altri elementi importanti emersi dalla ricerca?

Si, ad esempio la legge croata del marzo 2011, che ha promosso la ricerca delle persone che sono state uccise e sono scomparse a causa dei crimini commessi del regime jugoslavo. Verso la fine del 2014 sono cominciate le prime timide ricerche di don Francesco e degli altri preti uccisi (in Croazia dalla fine della guerra sono stati uccisi circa 630 preti e, di questi, trecento non sono stati mai stati ritrovati). In Istria si sono concentrate le ricerche sul suo caso. Non dimentichiamo che sono quattordici i preti della nostra diocesi che sono stati uccisi. Le prime indagini da parte della polizia croata sono iniziate con alcuni colloqui con dei laici nel paese e con alcuni preti. Io venni informato in quel momento e poi le cose andarono avanti. Nel 2017 mi chiamò un sacerdote e mi chiese se fossi d’accordo di dare il mio numero telefonico alle autorità croate, perché sapeva che avevo trovato alcune testimonianze che non erano note al tempo del processo di beatificazione. Nel giugno 2019 sono stato contattato dalla polizia di Pola che mi chiese di avere un incontro. Nelle tre ore e mezza di colloquio ho raccontato tutto quello che sapevo e ho messo a disposizione le testimonianze e le fotografie fatte un anno prima. Monsignor Crepaldi mi rilasciò una procura per rappresentare l’interesse della Diocesi di Trieste per quanto riguarda le ricerche su don Bonifacio presso le autorità croate. Cominciò così una serie di iniziative e di contatti con la Procura della Repubblica croata. Nel periodo del Covid si ispezionò la foiba dei Martinesi, una foiba molto particolare per la morfologia irregolare e la profondità di 120 metri. Trovarono dei resti umani, ma non erano compatibili: erano i resti di una persona di sesso femminile, una diciottenne.

Emersero altre testimonianze importanti in quegli anni?

Riuscii ad avere una testimonianza scritta: il racconto fatto da un signore che ha spiegato come don Francesco sarebbe stato portato e nascosto nel terreno di un bosco di Levade, sotto Montona, un bosco fitto di tanti alberi e radici. Qualcuno ha visto. Poi il corpo sarebbe stato sepolto nel piccolo cimitero di San Bortolo. Si fecero dei rilievi, ma poi è intervenuta la procura sostenendo che non vi fossero elementi sufficienti per continuare le ricerche quindi le chiusero quasi senza averle cominciate. L’ultima novità è del settembre 2024: una signora anziana raccontò la sua storia. Lei abitava in una piccola frazione fuori Grisignana. Era la frazione nella quale abitava anche uno dei due uccisori materiali di don Francesco. Lei parlò dopo aver custodito la storia per 80 anni: ha voluto liberarsi da questo peso, come lei l’ha chiamato. Aveva saputo le cose dalla sorella di uno degli uccisori: un racconto con tanti dettagli. A quel punto, il documento è stato fatto arrivare al nostro vescovo, che l’ha valutato. E siccome questa signora, pur volendo rimanere nell’anonimato, ha dichiarato di voler collaborare, ha detto che poteva essere utilizzato. Ora le autorità stanno considerando il racconto di questa persona. Di più non posso dire.

La figura del Beato don Francesco è molto conosciuta anche nelle chiese sorelle, quindi.

Sì. Penso prima di tutto a Capodistria. Don Francesco visse molti anni lì, perché ha frequentato il Seminario minore e poi fu “Prefetto di disciplina” (come si diceva un tempo) per due ulteriori anni. Il parroco della Cattedrale di Koper ha commissionato all’artista iconografo Paolo Orlando – che ha realizzato anche le icone della nostra chiesa di Gretta – delle icone tra le quali vi è anche l’immagine del nostro martire. Sono state realizzate in occasione del millecinquecentesimo anniversario dell’arrivo di San Nazario a Capodistria e sono state posizionate nella Chiesa di Sant’Egidio, la cosiddetta Chiesa della rotonda, che era la vecchia cappella del Seminario.

A cura della Redazione

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