«Che la loro memoria sia di benedizione». Questo augurio descrive bene lo spirito con cui l’Istituto Superiore di Scienze Religiose Santi Ermagora e Fortunato di Gorizia, Trieste e Udine ha pensato la giornata di studio in memoria di mons. Rinaldo Fabris, nel decimo anniversario della sua morte, associandogli don Giorgio Giordani, mancato nella primavera dello scorso anno.
Don Rinaldo e don Giorgio hanno vissuto la loro formazione in una stagione ecclesiale complessa, durante un passaggio appassionante ma non privo di difficoltà che p. Balducci non esitò a definire «esodo». Si trattava per la Chiesa di traghettare se stessa dal pre al post concilio Vaticano II, assumendo, oltre a nuovi parametri biblico-teologici di approccio alla Scrittura e al dogma, un nuovo stile, un atteggiamento mutato nei confronti dell’umano e del divino. Prima che come docenti, Fabris e Giordani hanno dovuto fare i conti da studenti con tutto ciò, il primo a Roma, già prete e indirizzato agli studi specialistici, il secondo nella sua formazione di base in seminario. Non bastava più inquadrare letterariamente e storicamente un testo biblico, occorreva entrarci dentro per comprenderlo nelle sue fibre più profonde, assaporandone la perenne attualità. Si può dire che il nuovo compito non era più quello di parlare del testo, ma di farlo parlare, attraverso uno studio esegetico rigoroso e una lettura avvertita e coinvolgente, autenticamente spirituale perché animata dallo Spirito, il vero e originario Ermeneuta. L’ermeneutica biblica credente non può prescindervi, neanche a scuola.
Inoltre, in quel periodo, la Chiesa si rivolse in modo nuovo a una sua componente fino a quel momento tenuta un po’ in ombra: i laici. La riflessione ecclesiologica conciliare, che ha riproposto per l’autocomprensione della Chiesa le icone bibliche di popolo di Dio in cammino e di corpo di Cristo vivificato dalla comunione con lui e tra le varie membra, ha permesso di ripensare il rapporto tra clero e laicato, rivalorizzando il sacerdozio comune, la chiamata universale alla santità e il diritto/dovere di ogni battezzato di vivere e testimoniare la propria fede in modo attivo e corresponsabile. Da qui la necessità di irrobustire la formazione biblica e teologica dei laici, oltre che di rinnovare quella dei futuri presbiteri. Alcuni progetti erano iniziati in verità già prima del concilio, con l’istituzione delle gloriose scuole di teologia, ma dopo il Vaticano II si avvertì più intensamente la necessità di coinvolgere i laici in un progetto formativo capace di fornire loro gli strumenti idonei per leggere il testo biblico e per approfondire in modo vivo e riflettuto i contenuti della fede. Questa urgenza di formazione non si è mossa solo dai pastori verso il laicato, ma anche nell’altro senso, cioè a partire da una forte domanda del laicato stesso. L’obiettivo era duplice, di una duplicità profondamente interconnessa: da un lato la crescita sul versante personale in termini di spiritualità e consapevolezza ecclesiale, dall’altro la risposta al bisogno delle comunità cristiane di forze nuove e incisive per l’evangelizzazione, che non poteva più essere pensata come un’esclusiva del clero.
In tutta questa intensa e appassionante dinamica Fabris e Giordani si giocarono con entusiasmo e competenza, impegnandosi per mettere a disposizione di questo progetto ecclesiale la loro profonda e amorosa conoscenza della Scrittura. Lo hanno fatto come docenti in Seminario e in seguito anche all’Istituto di Scienze religiose, ma soprattutto in una capillare e inesausta presenza sul territorio, dentro e fuori i confini delle nostre Chiese locali. Non c’è parrocchia o decanato in cui non abbiano tenuto incontri di formazione, non c’è gruppo che non abbiano accompagnato e la loro risposta agli inviti era sempre generosa e disponibile. Chi ha avuto la fortuna di conoscerli e di apprezzare la loro chiarezza e profondità, ne conserva un ricordo bellissimo. Per di più, oltre che splendidi preti e biblisti brillanti, don Rinaldo e don Giorgio erano due signori d’altri tempi, eleganti nel tratto, dotati di intelligente e bonaria ironia, cortesi, cordiali senza fare gli amiconi e signorili senza essere snob, capaci di mettere tutti a proprio agio perché loro per primi erano a loro agio dovunque e con chiunque.
La memoria di don Rinaldo e di don Giorgio è allora veramente «di benedizione». La teologa e storica delle religioni Karma Ben Johanan, esperta mondiale di dialogo ebraico-cristiano, spiega così questa bella espressione: «Nella tradizione ebraica, dire “che la sua memoria sia di benedizione” non significa soltanto esprimere il dolore [per il lutto], ma assumere un impegno: rendere la memoria operante, trasformare il ricordo in azione, facendo vivere ciò che il defunto ha seminato nel mondo». Grazie veramente di cuore don Rinaldo e don Giorgio. Che la vostra memoria sia ricordo operoso e responsabilizzante per ciascuno di noi e per le nostre Chiese.
don Federico Grosso
direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose
Foto: Arcidiocesi di Udine