MOF: “contenitori” e catalizzatori da Nobel

A Kitagawa, Robson e Yaghi il Nobel per la Chimica 2025: le applicazioni concrete di questi materiali estremamente porosi e capaci

La Chimica è una scienza estremamente collegata a finalità pratiche e applicazioni concrete e le scoperte di nuovi processi, nuovi composti e nuovi materiali hanno accompagnato lo sviluppo della storia umana dalla più remota antichità a oggi. Gli esempi possibili sarebbero infiniti, dalle prime tecniche metallurgiche a quelle dei materiali ceramici, dalle materie plastiche alla progettazione di farmaci sempre più efficaci e selettivi, ai sensori per il controllo della qualità di alimenti e acque, alle batterie più evolute ed ai combustibili più innovativi. Anche lo sviluppo teorico della Chimica, in gran parte compiuto tra il XIX secolo e gli ultimi decenni del XX, è sempre stato collegato immediatamente al miglioramento dei processi chimici grazie alla miglior conoscenza della reattività.

Davanti alle notizie che riguardano l’assegnazione di un premio Nobel per la Chimica è, quindi, più che lecito chiedersi a cosa serve la scoperta premiata. Quest’anno il premio è andato a Susumu Kitagawa, Richard Robson e Omar Yaghi per il loro lavoro sui MOF, Metal Organic Frameworks, materiali che in italiano potrebbero essere chiamati reticoli metallorganici. Il loro nome evidenzia la presenza di metalli, di varia natura e sotto forma di singoli ioni o di piccoli aggregati di atomi, collegati e organizzati in una struttura perfettamente ordinata da piccole molecole organiche, cioè costituite da carbonio assieme a ossigeno e idrogeno. Una notevole caratteristica di questi materiali è di essere estremamente porosi, contenendo al loro interno cavità di grandi dimensioni. La superficie interna di questi materiali può arrivare a 7000 m2 per grammo. Questo fatto li rende particolarmente interessanti per catturare ed immagazzinare gas come l’idrogeno (ad esempio per veicoli a idrogeno) o anidride carbonica. Per un chimico, comunque, “metallo” vuol dire soprattutto “catalisi”, perché moltissimi processi di sintesi sono basati sull’utilizzo di metalli per poter ottenere le reazioni desiderate. In questo senso i MOF sono proposti anche come catalizzatori, potenzialmente molto efficienti, sempre grazie alla loro grande superficie interna. In particolare vengono studiati nel campo delle reazioni che implicano anche l’utilizzo della luce per farle avvenire.

Non mancano anche studi che considerano il loro impiego come veicoli di farmaci – che possono essere accumulati al loro interno per poi essere rilasciati in maniera graduale – e studi che li considerano come semiconduttori e per altre applicazioni in elettronica.

Rimangono comunque grandi sfide da affrontare per poter impiegare questi materiali su vasta scala, in particolare, la scalabilità industriale della loro sintesi presenta più di un problema di costi e diverse strutture dovranno essere migliorate per quanto riguarda la loro stabilità, la loro fragilità meccanica e la loro riusabilità.

Federico Berti

professore associato di Chimica organica

dell’Università degli Studi di Trieste

 

Foto in evidenza: immagini tratte singolarmente dal sito Nobel Prize

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