La Bibbia è, prima di tutto, la storia di un Dio che si prende cura dell’essere umano. La “cura spirituale” non viene presentata come una tecnica, ma come una relazione viva e trasformante. Dall’Antico al Nuovo Testamento, l’iniziativa parte sempre da Dio, che si fa vicino, ascolta, consola, corregge e guida. L’uomo, nella sua fragilità, è invitato a lasciarsi incontrare.
Nell’Antico Testamento la cura spirituale è spesso associata alla figura del pastore. Il Salmo 23 esprime con immagini semplici e profonde la fiducia in un Dio che conduce, nutre e protegge: “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla”. Qui la cura non è soltanto materiale: è un accompagnamento interiore che dà pace nelle “valli oscure” dell’esistenza. I profeti approfondiscono questa dinamica: Dio parla al cuore del suo popolo, lo richiama quando si smarrisce, lo consola dopo le cadute. Il profeta Isaia, ad esempio, annuncia un Dio che “fascia le piaghe” e “cura le ferite”, indicando che la guarigione riguarda la totalità della persona, non solo il corpo.
Un’altra dimensione centrale è l’ascolto. La cura spirituale biblica non è mai unidirezionale. L’uomo è chiamato a rispondere, a mettersi in dialogo: “Ascolta, Israele” è il cuore della fede di Israel. L’ascolto è la porta attraverso la quale la cura di Dio può entrare nella vita dell’uomo e trasformarla. La legge, i salmi di supplica, la saggezza di Proverbi e Giobbe mostrano che la cura avviene nel confronto sincero tra l’uomo e il suo Creatore, anche quando questo confronto prende la forma del dubbio o della protesta.
Nel Nuovo Testamento la cura spirituale assume il volto concreto di Gesù. Egli incontra le persone nelle loro ferite più profonde: non solo fisiche, ma morali, affettive e interiori. Le guarigioni di Gesù non sono semplici miracoli spettacolari; sono segni di un modo nuovo di prendersi cura. Gesù guarda, ascolta, chiama per nome. Riconosce la dignità di chi è scartato, restituisce fiducia a chi è spezzato. La sua cura è integrale: tocca il corpo, la mente, lo spirito. Nel perdono dei peccati offre la guarigione più radicale, quella che ricostruisce il rapporto con Dio e con se stessi.
Un tratto decisivo della cura spirituale esercitata da Gesù è la compassione: una partecipazione profonda, concreta, che muove all’azione. La parabola del Buon Samaritano diventa così un modello per ogni forma di cura: vedere l’altro, farsi prossimo, fermarsi, fasciare le ferite, accompagnare nel tempo. Non è un gesto improvvisato, ma una responsabilità che nasce da uno sguardo trasformato.
Dopo la risurrezione, la cura spirituale continua nella comunità cristiana. Le prime comunità, descritte negli Atti degli Apostoli e nelle lettere paoline, vivono la cura come mutua edificazione: sostenersi nella fede, condividere i beni, pregare insieme, portare i pesi gli uni degli altri. La cura spirituale diventa allora una forma concreta di comunione, dove ogni persona è chiamata a essere strumento di consolazione e di incoraggiamento.
In definitiva, la Bibbia mostra che la cura spirituale non è un compito riservato a pochi, ma una vocazione condivisa: accogliere la cura di Dio per poi offrirla agli altri. È un percorso che coinvolge la parola, il silenzio, la preghiera, la relazione, la responsabilità. Un cammino in cui la fragilità non è un limite, ma il luogo in cui Dio sceglie di incontrare e di trasformare l’essere umano.
A cura della redazione
Foto in evidenza: Calvarese/SIR
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