Dal buio alla luce: la comunità si accende

A San Vincenzo de' Paoli l'incontro, promosso dalla Caritas diocesana, con operatrici e operatori, volontarie e volontari insieme al Vescovo, Enrico Trevisi

Anche chi si prende cura degli altri attraverso un servizio di volontariato ha bisogno di un tempo per fermarsi, respirare e guardarsi dentro. Non solo per non restare a sua volta imbrigliato in un vortice di azioni che rischiano di svuotarsi di significato, ma anche e soprattutto per nutrire quella parte di sé dalla quale, molto probabilmente, è scaturita la chiamata al servizio. Così, proprio per offrire questo spazio di decompressione, nel tardo pomeriggio di lunedì 15 dicembre, la Caritas diocesana di Trieste ha invitato, presso la parrocchia di San Vincenzo de’ Paoli, operatrici e operatori, volontarie e volontari a un incontro dal titolo “Dal buio alla luce: la comunità si accende”, al quale ha partecipato anche il Vescovo di Trieste, monsignor Enrico Trevisi.

Grazie alla collaborazione di don Valerio Muschi, l’incontro si è snodato nei suoi vari momenti secondo la proposta di Taizé, alternando, quindi, canto e silenzio, parola e riflessione. Una cinquantina i presenti che, in un clima raccolto, hanno preso parte a questo momento di riflessione. «Natale è la festa di Dio che si prende cura delle sue creature, chinandosi accanto a noi, anche quando noi, nella profondità della notte più oscura, non siamo più in grado di scorgere la luce» è stato detto nell’introduzione «è la festa di Gesù che discende dall’alto dei cieli e non solo si incarna per vivere in mezzo a noi, ma addirittura viene a chiamarci per nome sulle sponde del lago di Tiberiade, duecento metri sotto il livello del mare. Così siamo chiamati anche noi a non restare in superficie, ma a scendere in profondità nelle relazioni, consapevoli nella luce del Vangelo che siamo immersi in una realtà salvata». Poi i canoni, la lettura del Vangelo di Matteo con la parabola del “sale della terra e della luce del mondo” e, dopo l’accensione delle candele, dieci minuti di silenzio e riflessione personale nei quali ciascuno, oltre a tornare sulla Parola, era invitato a scrivere su un foglietto verde e un foglietto rosso, consegnati all’inizio della veglia, rispettivamente un’esperienza positiva di una relazione con una persona – incontrata nel servizio o nella vita quotidiana – e un’esperienza negativa, oltre a individuare una parola che potesse riassumere ciascuna di esse.

Il momento di condivisione, per chi desiderava esprimere a parole ciò che aveva vissuto, si è rivelato particolarmente significativo. C’è stata una volontaria che ha parlato della gioia che ha visto sul volto di una famiglia «alla quale avevo appena consegnato una borsa con la spesa. La loro gioia è stata per me contagiosa perché, vedendo la loro felicità, anche io ero felice». Un’altra testimonianza ha raccontato di quando, nel servizio, si incontra (o ci si scontra) «con l’orgoglio delle persone, che per dignità rifiutano l’aiuto». Un’altra ancora dell’«indifferenza nel vivere un momento comunitario che unisce e di cui ci si riconosce fratelli e sorelle. Mi capita spesso, lo vedo anche nell’ambiente di lavoro». Ancora «la bellezza di quando le persone ricercano un saluto, un semplice saluto e quando tu rispondi e riesci a riconoscere che davanti non solo hai il fratello, ma proprio hai Gesù e lo riconosci in quegli occhi, ecco che questa esperienza ricolma il cuore». Particolarmente forte l’esperienza di chi ha ascolta

 «il silenzio delle famiglie stanche, di chi è stato a lungo al freddo e dei bambini stanchi che dormono insieme alla loro famiglia».

Ancora, la difficoltà di chi, di fronte al racconto di un migrante rispetto all’uccisione del padre, non aveva «proprio nessuna parola per consolare un dolore così grande e così difficile da comprendere», ma insieme a essa anche «la gioia di vedere la stessa persona che ci mostrava la fotografia di sua figlia e la sua gioia nel sentirsi accolto e nel poter condividere quanto di più prezioso aveva». E altre ancora.

Dopo il momento delle preghiere dei fedeli e la posa delle candele vicino al grande crocifisso disteso, il Vescovo, Enrico Trevisi, ha offerto la sua riflessione: «Noi siamo chiamati ad essere luce. Tante volte possiamo un po’ perderci di coraggio perché ci rendiamo conto delle nostre debolezze e che sì, la nostra fiammella è proprio un lucignolo fumigante, un po’ smorto, che rischia di non fare tanta luce… o addirittura di spegnersi» ha detto

«eppure Gesù ha avuto fiducia di noi e ci ha detto che siamo la luce, la luce del mondo ed è vero che quando questa luce porta ad un sorriso, ad una gioia, questa è contagiosa e arriva anche a noi. Anche se noi sappiamo che la gioia vera, la felicità vera arriva quando non è perseguita come il fine per il quale si strumentalizzano le persone, ma nella gratuità di una relazione nella quale ci si ama».

Richiamando alcuni passaggi della Lettera Pastorale “Ha cura di voi”, ha poi sottolineato: «Siamo chiamati anche a dare tempo, a dare il nostro tempo. Il tempo è qualche cosa che quando tu lo hai dato nessuno te lo darà mai indietro… il tempo lo si può perdere o invece lo possiamo donare, spargendo un po’ di scintille di luce. Una candela spenta non accende nessuna luce.

Ma se noi portiamo la luce, che è la luce del Signore, in un mondo di tenebre, lui è capace di accendere tante luci e noi a nostra volta siamo quelle luci chiamate ad accendersi per accenderne altre ancora. Nel buio bastano anche poche luci per segnare la strada, per non cadere in un fosso; perlomeno per sapere qualche passo davanti a me e non avere paura.

Talvolta ci illudiamo di dover fare programmi, di avere soluzioni definitive ai problemi… io penso che talvolta, invece, dobbiamo accettare di accendere piccole luci che in ogni caso già illuminano e ci consentono di fare qualche passo. Dove c’è il volontariato vuol dire che le istituzioni non sono riuscite a pianificare e a risolvere i problemi, ma dobbiamo arrivarci con la gratuità, la disponibilità di tempo, la generosità con il rischio dell’esporci anche alle incomprensioni e ai giudizi. Chiediamo al Signore di saperci aiutare anche tra di noi dell’umiltà. Siamo chiamati a testimoniare e a cercare di accendere altre luci perché

siamo convinti che non c’è vita più bella di questa: vivere nell’amore di Dio».

Dopo la benedizione finale, i presenti hanno vissuto un momento conviviale nei locali dell’oratorio parrocchiale.

Luisa Pozzar

Foto di Caterina Grandi e Sandro Villa

 

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