“Ti va di cantare per una messa natalizia in carcere?” ci fa la nostra amica dall’altra parte del telefono. In un gruppetto di sei ragazze e ragazzi accogliamo questo invito, dare una piccola testimonianza con la nostra presenza e le nostre voci. Ed è così che domenica 14 dicembre, nella giornata del Giubileo dei detenuti, si celebrano due messe, una per la sezione maschile e una per quella femminile del carcere di Trieste. A presiederle il Vescovo Enrico, con la presenza di padre Silvio Alaimo e di padre Giovanni La Manna.
Fa freddo. Il sole è sorto, ma scalda ancora poco. Di fronte all’entrata del carcere, due chitarre, un albero di Natale in compensato e due luci di Betlemme: aspettiamo di poter varcare l’ingresso e i controlli che ci separano dal nostro appuntamento. Consegniamo i nostri documenti. Entrare in questo posto ci provoca un’emozione insolita. Superati i controlli, in mano solo lo stretto necessario, cominciamo a salire le scale. Una, due, tre, “enne” rampe ci portano finalmente in una piccola stanza all’ultimo piano. La sala è luminosa, preparata con delle sedie di legno chiaro, un altare decorato e sistemato per celebrare la messa ospita un piccolo presepe. Distribuiamo i foglietti, posizioniamo l’albero, le penne e i post-it sono pronti all’uso. Entrano poco dopo i detenuti. Prendiamo tutti posto e iniziamo.
A cambiare totalmente l’atmosfera di attesa e bisbiglio è la musica: le chitarre suonano energiche, le voci riempiono la stanza. Ecco la magia: il canto diventa condivisione che ci avvicina gli uni agli altri, non importa quale sia la nostra storia. Durante la celebrazione l’ascolto della Parola di Dio, i silenzi, gli sguardi che si incrociano, le mani che si stringono: il Signore si fa vivo in mezzo a noi. Nelle difficoltà e nella sofferenza, nella vita di ciascuno di noi, Lui è lì accanto a noi, a sostenerci e prendere un po’ del nostro peso. E ci invita, ti invita, a percorrere nuove strade di speranza, oggi, qui dove sei. Ce lo ricorda il Vescovo Enrico nella sua omelia: ci guarda intensamente, fa una pausa e sottolinea «a cominciare da oggi». Da oggi, da adesso, in questo momento difficile per l’umanità, in questo mondo di fatica di via Coroneo, in qualsiasi punto della vita ci troviamo, possiamo scegliere di seguire con speranza e accogliere la proposta che Gesù ci fa: di farsi accompagnare da Lui.
Subito dopo il Vangelo è il momento dell’albero di Natale. Ciascuno riceve un post-it colorato, una penna e un’indicazione: scrivere una parola di Speranza. L’albero comincia a riempirsi, sorrisi e chiacchiere sommesse percorrono la stanza, ci facciamo coinvolgere nella spontaneità di un “grazie“. Gli scambi di penne e la collaborazione per questo piccolo laboratorio ci aiutano a entrare in relazione con le persone presenti nell’assemblea, rompendo il nostro ruolo di coristi. Il Vescovo riprende parola, ci disponiamo per pregare, in silenzio, ascoltando chi desidera condividere ad alta voce la propria preghiera. E dopo questo tempo sospeso, i nostri polmoni si riempiono, torniamo a cantare e l’assemblea tutta si unisce. Nel canto alla Comunione “Resto con te” ci affidiamo con fiducia e speranza con semplici parole.
“Io lo so che Tu sfidi la mia morte io
lo so che Tu abiti il mio buio
nell’attesa del giorno che verrà
Resto con Te“.
La celebrazione è finita, ci si saluta tutti e tutte con calore. Scendendo le scale verso l’uscita salutiamo e auguriamo buone feste ai detenuti, che rientrano nei loro spazi, e alla polizia penitenziaria in turno. Una strana elettricità ci attraversa mentre aspettiamo di recuperare le nostre cose. Usciamo. La giornata è splendida, il sole brilla alto, il fresco invernale accarezza le nostre facce. Una foto e via, ci salutiamo. Cos’è successo quella mattina? Niente di visibile agli occhi, se non un largo sorriso. Raccontabile con l’entusiasmo e la cura di chi sa di aver vissuto qualcosa di prezioso. E ci sentiamo di fare un appello alla comunità diocesana: pregare e ricordare nelle preghiere a Natale anche loro, le persone che vivono in via del Coroneo n. 26.
Sara Ioan



