Nel metodo, non nel merito

Arturo Pucillo, presidente dell'AC di Trieste e delegato diocesano all'assemblea sinodale, racconta "dal di dentro" gli sviluppi dell’assemblea appena conclusa

La seconda assemblea sinodale ha mediaticamente fatto centro: fiumi di parole sono sgorgati da penne che, negli ultimi quattro anni del Sinodo, avevano altre priorità rispetto al racconto del cammino sinodale delle Chiese in Italia. Non aggiungerò altro, quindi, a ciò che è già stato detto, ma essendo delegato all’assemblea per la diocesi di Trieste credo sia giusto portare semplicemente un punto di vista interno.

Intanto, per sgombrare il campo da ogni equivoco, è necessario dimenticarsi dei titoli “acchiappa clic” comparsi subito su testate nazionali e su blog più o meno dissidenti. Dimentichiamoci quindi delle interpretazioni che assegnano sbrigativamente l’essenza di ciò che è capitato in Sala Nervi al contrasto sui temi scottanti del cammino (gay, donne nella Chiesa, trasparenza).

È accaduto ben altro, mi permetto di dire: molto di più. In modo del tutto inedito, un’assemblea composta da tutte le componenti del popolo di Dio – lì rappresentato da 1000 tra vescovi, preti, religiosi, religiose, consacrati, consacrate, laici e laiche – ha quasi unanimemente chiesto con forza che il documento di lavoro, ricevuto dalla presidenza del sinodo, non essendo ritenuto rispondente al lavoro compiuto nei 4 anni di cammino percorso, venisse “rimandato a settembre” (o meglio a ottobre, in particolare al 25).

Dove sta la novità? Sicuramente, a differenza del passato, le modalità codificate per i sinodi, cui anche quello delle Chiese in Italia si attiene, sono state superate quando le circostanze lo hanno suggerito. Con un guizzo di fantasia e di reale sinodalità, viste le numerose spinte dai delegati in tal senso, i Vescovi hanno proposto, per mano del presidente Cardinale Zuppi, e ottenuto, in voto assembleare, la convocazione straordinaria di una terza assemblea sinodale che ha a sua volta comportato lo slittamento a novembre dell’assemblea generale dei Vescovi, tradizionalmente convocata a maggio. Pochi altri eventi, tra cui il Covid, avevano determinato tale spostamento.

Ciò significa che ci siamo tutti presi sul serio: l’occasione di preservare il lavoro sinodale di ascolto e discernimento paziente dei problemi che affliggono la Chiesa italiana, proponendo al contempo le strade pastorali da intraprendere, è stata il risultato più prezioso e più importante. I temi, tra cui quelli più spinosi che interpellano non solo la pastorale ma anche la dottrina e il diritto canonico, erano comunque sul tavolo, emersi da 4 anni di cammino: nessuno vi si è sottratto e la discussione c’è stata; questa seconda assemblea e il suo esito hanno però principalmente sancito la necessità e l’opportunità di darci più tempo. Sicuramente il testo originario del documento da votare, articolato in proposizioni, è stato considerato debole e deludente nella sua forma, criticabile e quindi fraternamente criticato. Ma l’esito di questo infortunio è stata una grazia sovrabbondante per la Chiesa: non abbiamo gettato al vento questi anni, le fatiche, le passioni, lo studio, la preghiera e quindi la capacità di condividere e radunare consenso nella lettura del vissuto e nella proposta per il futuro. Ora il cammino sinodale ha superato la prima vera prova di senso. Mi sembra la cosa di gran lunga più importante da sottolineare.

Arturo Pucillo

Azione Cattolica

Delegato diocesano all’assemblea sinodale

(in evidenza Foto Siciliani-Gennari/SIR)

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