Giovedì 17 aprile, il Vescovo mons. Enrico Trevisi ha presieduto la Santa Messa in Coena Domini, celebrata nella cattedrale di San Giusto, che apre le Celebrazioni del Triduo Pasquale.
Riportiamo qui di seguito il testo integrale dell’omelia e alcune immagini della celebrazione.
Santa Messa in Coena Domini
✠ Enrico Trevisi
Cattedrale di San Giusto, 17 aprile 2025
Cari fratelli e sorelle,
amati fratelli e sorelle: Ljubljeni bratje in sestre
L’uccisione dei primogeniti nella terra d’Egitto, uomini e animali, come anche quel sangue sulle case degli Ebrei, mi hanno sempre impressionato. Il linguaggio è duro, come il sangue di tanti innocenti che muoiono nelle miriadi di guerre o per lo scandalo e l’orrore dei femminicidi. Tragedie che ci lasciano sgomenti.
Ma Dio può essere compromesso con tale versamento di sangue? Sì. E lo vediamo nella Passione e morte di Gesù, il Figlio amato. L’incarnazione di Dio è per un amore che arriva a non risparmiare nulla per salvare questa umanità dall’abisso del peccato: Dio si dona a noi in modo impensabile, eccessivo, sconvolgente. Guardiamo ammirati.
Abbiamo sentito nel Vangelo: “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Gv 13,1) cioè fino a dare la vita, a sprecarla per uomini e donne infedeli e peccatori.
Come Dio aveva fermato la mano di Abramo prima che colpisse Isacco, così vuole che siano fermate tutte le mani assassine che tolgono la vita. Ma non ferma la mano di chi colpisce suo Figlio, l’amato, perché si compisse il mistero di un amore insuperabile: l’amore divino.
Gesù accetta l’umiliazione estrema, fino alla Croce, all’essere annoverato tra i malfattori. L’eucarestia è contemplazione del Cristo Gesù ma anche nostra partecipazione a questo suo sacrificio, rivelazione dell’amore senza limiti. Ogni volta che partecipiamo alla Messa noi siamo chiamati ad inserirci in questo amore divino, trafitto sulla croce, che si esprime nell’umiliazione orribile della via crucis ma che ci risolleva dall’essere complici di mani assassine e per lo Spirito Santo ci fa divenire partecipi di questo amore divino nella cura dei fratelli. Una cura che puzza di umiliazione, di un servizio obbligato (come quello degli schiavi, che lavoravano senza paga; come quello di Simone di Cirene) e che non ha nulla di incantevole, di attraente. Ci vuole un bel coraggio a scegliere di restare sottoposti a un tale umiliante servizio.
Mi fermo sul gesto della lavanda dei piedi.
Qualche giorno fa telefono ad una persona affetta da tanti anni a una malattia fortemente inabilitante. E mi sono sentito dire: smettetela con questa sceneggiata della lavanda dei piedi. Lavate e baciate dei piedi che sono appena stati lavati e profumati. E ha ragione. Talvolta il nostro servizio è ben calcolato e protetto e retribuito. Questa persona con la fatica del suo parlare e respirare mi sussurra: la vera umiliazione non è di chi viene a lavarmi e fa questo dietro un equo pagamento; la vera umiliazione è del malato che perde la sua intimità – ogni sua intimità e autonomia – e che da anni deve lasciarsi lavare e toccare e vestire e denudare e pulire.
Mi ha fatto molto pensare. Gesù che lava i piedi come uno schiavo, è il Figlio di Dio che accetta il tradimento di Giuda (che lui aveva scelto), e poi l’abbandono dei suoi apostoli, e anche il rinnegamento di Pietro. È l’umiliazione più profonda. Quel Padre che lo aveva confermato al Giordano, nel momento del Battesimo, con quella voce «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (Lc 3,22) ora invece tace. Quel Padre che sul Tabor dalla nube aveva ripetuto: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!» (Lc 9,35) ora invece tace.
C’è un mistero dentro questo silenzio del Padre mentre il Figlio è umiliato sulla Croce.
In certi momenti Dio ci ha parlato e ci ha incoraggiato a rendere la nostra testimonianza. Ma in altri momenti tace e restiamo come nelle tenebre. Nella notte del tradimento, nell’ora della prova. Soli. Abbandonati. E invece lì Dio si fa presente: la sua Parola si è fatta carne e in quella lavanda dei piedi, in quell’eucarestia ci sta la sua Presenza che non ha bisogno di altre parole, di altre voci. In quel silenzio c’è Dio che si dona.
Contempliamo Gesù. Nel momento supremo della prova e dell’umiliazione lo vediamo procedere semplicemente per fede e nell’amore, fino alla fine. Fino allo scandalo dell’umiliazione: la Croce. Questo è il vero servizio che siamo chiamati a rendere.
Non si tratta solo di fare lavori umili per la tua famiglia o per la tua comunità. Si tratta di accettare il rifiuto da parte di chi ami, la calunnia da parte del tuo fratello, l’umiliazione del perdere la tua dignità e intimità… e addirittura il silenzio di Dio, il tormento della desolazione e dell’aridità spirituale… e anche lì dentro restare fermi nel dare la propria testimonianza di amore, di speranza. Credere e amare comunque.
È difficile. Sì! Per questo ogni volta che siamo davanti all’Eucarestia siamo chiamati a contemplare Gesù e a invocare lo Spirito perché la nostra sequela sia vera, e la nostra testimonianza sia anche lieta.





























