“La Chiesa è sotto la croce con gli occhi pieni di lacrime e il cuore ferito per tanta enorme sofferenza, insopportabile per una madre come deve esserlo sempre per l’umanità tutta”,
ha detto il card. Zuppi per stigmatizzare le croci “costruite follemente dagli uomini che fabbricano armi per uccidere e distruggono quello che fa vivere”. “Oggi il nostro mondo è segnato dalla guerra, quella che Papa Benedetto XV condannò con grande coraggio e sapienza perché era solo un’inutile strage”, il grido d’allarme del presidente della Cei: “Oggi si combattono tante inutili stragi, tante guerre. Sono tutte nostre guerre”, come ha detto papa Leone, chiedendo “una pace disarmata e per questo disarmante”.
“Non possiamo mai abituarci a una sofferenza infinita”, il monito rivolto ad “un mondo che accetta di nuovo come normale pensarsi l’uno contro l’altro o l’uno senza l’altro, che in modo dissennato non ha paura della forza inimmaginabile degli ordigni nucleari”. “Nel nostro mondo diventa normale l’uno sopra l’altro, gli uni contro gli altri, gli uni senza gli altri, e non crediamo più che siamo sulla stessa barca e che
l’umanità deve porre fine alla guerra o la guerra porrà fine all’umanità”,
ha proseguito Zuppi. “Quante notti avvolgono interi Paesi e sono scese nei cuori!”, ha esclamato.
“Essere discepoli di Gesù, operatori di pace in un mondo come questo, per difendere la vita sempre dal suo inizio alla fine, di tutti, senza distinzioni, rivestendo la persona sempre di dignità e cura”,
la consegna del cardinale alla piazza: “C’è troppa sofferenza, chi la consolerà? C’è troppo odio, chi lo vincerà? C’è troppa malevolenza, chi insegnerà a guardare e capire il bene nascosto in ognuno? Ci sono troppe armi nelle mani, nei cuori e nella testa delle persone, troppi interessi enormi per venderle e acquistarle, chi li toglierà? C’è troppa vendetta che acceca il cuore, chi la spegnerà? C’è un bambino in mezzo al mare o perduto nel deserto, chi lo salverà? C’è tanta amarissima e atroce solitudine, chi si farà compagnia, visita, protezione? C’è tanta rassegnazione, chi accenderà il cuore di speranza e aiuterà a costruire il futuro? C’è tanta confusione nella mente, chi donerà la sicurezza di un amore che capisce e non possiede?”.

“Le nostre comunità diventino case di pace, piccole ma mai mediocri, grandi perché umili, libere perché legate dall’amore, capaci di lavorare gli uni per gli altri e di pensarsi insieme”,
l’auspicio finale. “Confessiamo la nostra fede e farlo individualmente e insieme – ha spiegato il presidente della Cei – ci aiuta a sostenerci a vicenda, a nutrici con la forza della fraternità, cioè dell’amicizia e del volerci bene tra noi, diversi come siamo, perché crediamo che si può amare e si può amare per sempre perché l’amore ripara, ripara tutto, sempre, molto più di quello che crediamo, perché l’amore che dona il Signore vince ogni divisione e ci rende gli uni per gli altri, come siamo fatti. Volerci bene è la cosa più grande che c’è”. “Siamo noi stessi quando ci pensiamo per gli altri”, ha concluso il cardinale: “Noi siamo pietre vive, l’attore è sempre il Signore, ma noi con il Signore diventiamo attori della vita vera”, perché “la risposta che ci dà tutte le risposte è Lui. Speranza, pazienza, pace. Grazie Gesù!”.
M. Michela Nicolais (SIR)
Foto in evidenza: Calvarese/SIR