A pochi giorni dalla ripresa delle attività pastorali, abbiamo intervistato don Francesco Pesce, responsabile della Pastorale Giovanile diocesana, sull’esperienza giubilare dei giovani triestini con Papa Leone.  Don Francesco condivide i momenti più belli e getta anche uno sguardo prospettico sulle nuove proposte per la pastorale giovanile.

Dopo il tuo rientro a Trieste, che bilancio faresti del Giubileo dei giovani?

Il bilancio è estremamente positivo: sono state delle giornate intense, umanamente anche difficili perché abbiamo dormito sempre per terra, facendo la doccia con l’acqua fredda e con temperature inusuali per Roma soprattutto di notte. Però anche queste piccole scomodità non sono state nulla: forse ci hanno addirittura aiutati a vivere meglio e in maniera forte l’esperienza di fede, di unità, di chiesa viva, giovane, universale a Roma. A conclusione di questo Giubileo mi sento di dire che i giovani ci sono, sono tanti. Non è vero che la fede sta scomparendo ed è qualcosa per vecchi. La fede è viva: ci sono tanti giovani disposti non solo a professare la fede quotidianamente, ma ci sono anche giovani che in questa società non si vergognano di professare la fede anche sui social. Con coraggio, testimoniano l’appartenenza alla Chiesa. E questa è una grande speranza. Anche se per tanti aspetti la generazione dei giovani è ferita, nonostante questo – o forse grazie a questo – sono molto più aperti all’incontro col Signore, accogliendo la parola di verità e di vita.

Ci puoi fare una panoramica sui gruppi di giovani triestini che hanno vissuto l’esperienza a Roma?

I giovani triestini presenti sono stati più di cinquecento. Un gruppo diocesano di cinquanta ragazzi, accompagnati dal Vescovo, hanno vissuto l’intera settimana del Giubileo a Roma. Un ulteriore gruppo diocesano di cinquanta ragazzi si è aggiunto venerdì: alcuni hanno fatto un cammino diverso nei primi giorni e poi si sono ricongiunti agli altri; altri hanno scelto invece di partecipare ai soli giorni conclusivi. Ci sono stati poi quasi trecento giovani appartenenti al Cammino Neocatecumenale provenienti da varie parrocchie di Trieste. Infine sessanta giovani degli Scout d’Europa e una ventina di giovani delle parrocchie di Sant’Antonio e dei Salesiani che hanno vissuto l’esperienza seguendo degli itinerari paralleli.

Quali sono stati i momenti più toccanti?

Sicuramente la veglia e la Messa a Tor Vergata che sono stati anche il culmine della settimana. Io sono alla mia nona giornata dei giovani, ma è stata la prima volta in cui c’è stata una carica e una gioia nel rincorrere e voler salutare il Papa. Al suo arrivo Papa Leone ha voluto percorrere tutte le strade di Tor Vergata! Mi ha molto colpito l’amore per la figura di Pietro, per questo nuovo Papa, che ci ha donato parole bellissime, ci ha chiesto di vivere l’amicizia per portare l’amore nel mondo. Sempre impressionante vedere come giovani di tanti luoghi e nazioni possano convivere senza discriminazioni, senza lotte, senza guerre, ma in un clima gioioso e festoso, di pace e amicizia. C’è stato il forte invito ad essere sale e luce di questa terra! E l’invito è rivolto ai giovani che soffrono: io sono a contatto quotidiano con i giovani, li ascolto quotidianamente. Poter portare questa luce nella vita dei loro amici, fratelli e sorelle, dei colleghi. Si tratta di essere “sentinelle del mattino”, come ci fu detto al Giubileo del 2000 da San Giovanni Paolo II.

Tu da cosa sei rimasto colpito in modo particolare?

Personalmente mi hanno colpito diverse cose: prima di tutto lo sguardo dei ragazzi che ho accompagnato. Ho vissuto a strettissimo contatto con i cinquanta ragazzi della Diocesi: vedere come è cambiato il loro sguardo è stato stupendo. Sono arrivati a Roma forse con sguardi tristi, ma poi, grazie al passaggio delle Porte Sante, ai momenti di preghiera vissuti con il nostro Vescovo, alle esperienze forti di volontariato i loro occhi si sono accesi. Vedere questi occhi che cambiano, che si riempiono di luce, che alla domenica vivono con felicità e gioia la Messa con Papa Leone! Occhi accesi e luminosi: questo mi ha toccato. Vedere poi la fede dei giovani: penso alla veglia e al momento in cui tutti noi, un milione di persone, ci siamo messi in ginocchio davanti all’Eucaristia. Ogni volta vivo tutto questo e ogni volta lo vivo intensamente.

Tengo a sottolineare un’ultima cosa che mi ha colpito fino alla commozione: l’ospitalità. Siamo stati ospitati dalla parrocchia di Santa Maria di Loreto, una parrocchia situata a Roma est. Ci hanno accolto come se fossimo i loro figli. Ci hanno messo a disposizione una trentina di volontari: hanno cucinato per noi dolci, più volte le cene, abbiamo festeggiato con loro, hanno condiviso le loro vite con noi, momenti di commozione reciproca. Vedere come questi volontari hanno vissuto con gioia il servizio è stato molto bello. L’ultima mattina, quando siamo andati via, eravamo tutti profondamente commossi: abbiamo ricevuto molto da queste persone che con umiltà e passione hanno fatto sentire la parrocchia come una casa, come casa nostra. E anche l’accoglienza dei romani, il ristoratore che, ad esempio, ha pulito velocemente qualche tavolo per farci sedere un attimo per riposare. C’era chi per strada ci salutava e ci abbracciava. Roma ci ha accolto con un cuore grande.

Secondo te, cosa si portano a casa i giovani da questa esperienza?

I giovani portano a casa principalmente due cose. La prima è che non sono soli! L’esperienza che fanno spesso è come sentirsi chiusi in un piccolo recinto. Respirare l’aria internazionale e vedere una quantità di giovani che camminano per la città senza paura di essere giudicati, senza vergognarsi della propria fede, senza doversi nascondere: è un grande dono che i ragazzi si portano a casa! Sapere che non sono soli. E poi l’esperienza di riscoprire che il dono di sé è la cosa più bella che si possa fare. L’esperienza della parrocchia che ci ha accolto, ma anche l’esperienza di volontariato fatta hanno trasformato i cuori dei giovani.

Con quali proposte la Pastorale Giovanile potrà portare avanti nell’ordinario questa esperienza straordinaria?

In primo luogo già inizieremo a organizzarci per andare in Corea fra due anni. Vogliamo andare a visitare le parrocchie di Trieste portando la testimonianza di ciò che abbiamo vissuto e umilmente chiedendo anche un aiuto economico, perché andare a Seul sarà costoso. E poi vorremmo aiutare le parrocchie a far rete, sperimentare la comunione nell’essere insieme, per conoscersi e fare esperienza di comunità.

A cura di don Lorenzo Magarelli

Foto in evidenza: Luca Tedeschi

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