Conflitto e bellezza: essere con e per gli altri

Nell’intervento iniziale del ciclo “Tracciare le rotte del volontariato”, del 21 ottobre, interessante riflessione di Erica Mastrociani sul tema della relazione

Come tenere assieme la bellezza ed il conflitto? Che differenza c’è tra l’“essere con” e l’“essere per”? Come teniamo insieme le ambivalenze? Che persone vogliamo essere con gli altri?

Questioni che ci interrogano profondamente sul nostro modo di stare nel mondo. Interrogativi da cui è importante lasciarci abitare quando andiamo a definire o, meglio, a cercare di definire, cos’è una relazione di cura, in qualsiasi forma questa si realizzi.

Ma cos’è una relazione?La Bibbia, nella Genesi, ci offre alcune possibili risposte. All’inizio della creazione Dio si presenta come un turbine che trascina con sé le acque primordiali. Poi, Dio comincia a trattenersi e dal contenimento della sua potenza si apre uno spazio per la creazione e poi per le creature. Dio si fa respiro, poi voce, parola e alla fine luce. Primo elemento di riflessione: la relazione nasce dal contenimento della propria forza per lasciare spazio agli altri, in questo modo si passa dalla violenza alla generatività.

A seguire le vicende di Adamo ed Eva che raccontano la storia del primo conflitto e della separazione tra gli uomini e Dio. Poi incontriamo Caino che, trascinato dall’istinto, ammazza suo fratello Abele. Un fratricidio che ci ricorda la seconda separazione: quella tra fratelli. Altri due elementi di riflessione: una relazione generativa necessita di un governo della forza e della violenza e, ancora, non è sufficiente essere in due (io e tu) ma abbiamo bisogno di almeno tre elementi affinché la relazione realizzi pienamente la sua forza generativa e creativa, (io e tu che genera un noi). È quindi un vero paradosso pensare ad un io senza un noi: noi siamo noi!

Studi recenti hanno osservato e comprovato che il nostro corpo contiene una dotazione fisiologica empatica che ci permette di stare in relazione con gli altri sin dal concepimento. È quindi compito e responsabilità nostra decidere come vogliamo utilizzare un bagaglio che già possediamo. Dipende da noi la scelta di comprenderci, amarci, cooperare ma anche di offenderci e farci del male: una responsabilità che dobbiamo assumerci. Del resto, siamo anche l’unica specie che è capace di dire di no. Noi non eseguiamo catene di routine animalesche, ma abbiamo la capacità di istituire discontinuità e di obiettare a ciò che accade.

Diventare umani non è una passeggiata, ma piuttosto un cammino che richiede forza, coraggio ed energia. Dobbiamo essere consapevoli che ogni nostra scelta ha delle ricadute in noi e negli altri e che attraverso la qualità delle nostre relazioni ci definiamo e impariamo.Chi si prende cura sa che una trasformazione è sempre necessaria. Se scelgo di farlo so che dovrò lasciarmi toccare dall’altro: dovrò creare in me uno spazio per l’altro lasciando che qualcosa in me muoia per far germogliare il nuovo.

Oggi più che mai abbiamo bisogno di ritrovare in noi l’umanità, in un tempo in cui le relazioni si sono sfilacciate e l’individualismo sembra aver preso il sopravvento sullo spirito del bene comune, che è di tutti e per tutti.

Abbiamo bisogno di ritornare a dirci che la relazionalità umana è il nostro bene superiore, qualcosa di irrinunciabile; che non possiamo vivere pienamente se coltiviamo la noncuranza o l’indifferenza. L’unico modo per rimanere umani è coltivare uno spazio d’amore per l’altro. Abbiamo bisogno di persone, in ogni ambito del vivere, che vogliono impegnarsi per costruire un mondo migliore fatto di gesti aperti alle richieste di giustizia, alla difesa dei poveri, alla premura verso il creato, lavorando con la gente e non per la gente (come diceva papa Francesco).

Dobbiamo ritrovare e ridar forza in noi alla ricerca del bene verso cui siamo costitutivamente orientati facendo spazio, con le parole e con i gesti, all’incontro con l’altro che implica sempre la scelta di uscire, di entrare in dialogo e di ridire parole.

Eccola qui la bellezza che non può più essere relegata alla sua dimensione estetica, ma piuttosto a quella etica: la bellezza come bontà relazionale il cui esito è una risonanza particolarmente riuscita con il mondo e con gli altri. A noi la scelta!

a cura della redazione

FOTO: Luca Tedeschi

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