Quali sono le sfide che quotidianamente si trova ad affrontare il Volontariato? A questa domanda ha cercato di dare una risposta il prof. Giovanni Carrosio, sociologo, Direttore del Master in Diritto e Management del Terzo Settore, Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Trieste. L’incontro si è tenuto il 4 novembre alle ore 17.30 nella sede del Seminario di via Besenghi ed è stato organizzato da “Tessere la rete ODV” (www.tesserelarete.it), una associazione di Volontariato di secondo livello formata da 17 Associazioni, presenti e operative sul territorio di Trieste. L’iniziativa, come ha precisato Nives Degrassi, fa parte di una proposta di approfondimento in vista della Giornata internazionale del Volontariato del 5 dicembre 2025. Il progetto, denominato “GIV2025”, approvato e co-finanziato dalla Regione Friuli Venezia Giulia, vede la co-progettazione dei Comuni di Trieste e di Duino Aurisina.
Nel suo saluto introduttivo, il Vescovo di Trieste, monsignor Enrico Trevisi, ha ricordato che il volontariato “è scelta di una prossimità gratuita”, da intendersi come “aperta a tutte le fasce d’età” e non solo a pensionati. Al riguardo ha citato la proposta di Jennifer Nedelsky, studiosa canadese, di diminuire il tempo di lavoro retribuito per chiedere a tutti di impegnarsi in una relazione di cura continuativa. Quando si incontra una persona, ha continuato, sarebbe bello chiedere: “Di chi ti prendi cura?” e non semplicemente “che lavoro fai?”. Citando la lettera pastorale “Ha cura di voi”, ha poi richiamato che anzitutto ciascuno di noi è stato il destinatario di una cura (quella di Dio che è passato attraverso le braccia dei nostri genitori che ci hanno sfamato e coccolato).
“Quando incontriamo una persona fragile e bisognosa – nella più ampia gamma delle fragilità – dovremmo sempre ricordarci che anche noi siamo stati destinatari di una cura e dunque con riconoscenza disporci ad essere segno di Dio che ancora vuole prendersi cura dei piccoli, dei vulnerabili, dei bisognosi”.
Giovanni Carrosio ha iniziato il suo intervento portando l’attenzione sui cambiamenti in atto nella nostra società, che anno dopo anno sta diventando sempre più violenta, portando come esempio l’insofferenza dei guidatori di auto quando l’autobus si ferma per far scendere i bambini che vanno a scuola. Spesso nell’auto c’ è una sola persona. E proprio qui si innesta una delle sfide più profonde che il volontariato deve affrontare oggi: quella di una società che si frantuma nell’isolamento. Siamo tutti sempre più connessi tecnologicamente, ma sempre più ci separiamo umanamente.
Nella nostra società crescono, inoltre, le disuguaglianze: economiche, sociali, territoriali, di genere: da un lato ci sono persone che dipendono totalmente dai servizi pubblici, dall’altro lato chi provvede privatamente ai propri bisogni. Il risultato è che i servizi pubblici si svuotano del loro carattere interclassista, diventando luoghi frequentati solo da chi non ha alternative.

La sfida del volontariato, allora, è ricostruire il senso dell‘incontro con l’altro, incontro non eccezionale ma quotidiano, non forzato ma naturale, anche in modo leggero, come le persone che vediamo tutte le mattine sull’autobus, delle quali non conosciamo il nome, ma con le quali si instaura per qualche momento della nostra giornata qualche forma di solidarietà. Servono luoghi, tempi, occasioni in cui la vita di ciascuno possa intrecciarsi con quella dell’altro.
Quello che accade nella nostra società, ha continuato il professor Carrosio, è profondamente intrecciato con le trasformazioni interne che sta vivendo il volontariato. I giovani, in particolare, preferiscono forme di impegno più fluide, legate a progetti specifici, campagne temporanee, iniziative tematiche. Un altro mutamento fondamentale è legato alla crisi dello Stato sociale. Il Terzo Settore ha assunto compiti sempre più rilevanti nella risposta ai bisogni sociali. Ma si rischia di trasformarlo in un tappabuchi strutturale, un surrogato di politiche pubbliche insufficienti.
Oggi il volontariato non si misura solo con le forme di marginalità, ma con problemi globali e sistemici: la crisi climatica, le disuguaglianze, i conflitti e le guerre, le migrazioni, con le loro sfide di accoglienza, integrazione e convivenza, la povertà educativa, la salute mentale. Di fronte a queste sfide, il volontariato inteso come servizio, risposta immediata al bisogno — non basta più. Serve un volontariato capace di leggere i fenomeni in profondità, di collegarli tra loro, di proporre visioni alternative.
Il professor Carrosio ha richiamato i rischi di cui un’organizzazione del Terzo settore deve avere consapevolezza: anzitutto il rischio di diventare troppo simile a un’impresa sociale, di mettere l’efficienza come unico criterio. Dall’altro lato, se le persone partecipano in modo più episodico, più fluido, come conciliare la libertà dei nuovi volontari con la stabilità di cui le organizzazioni hanno bisogno? Un centro di ascolto, un doposcuola, un servizio di trasporto per anziani, una comunità per persone con disabilità: tutto questo richiede presenza stabile, prevedibilità, affidabilità. È questa una domanda aperta.
Nella sua conclusione, il professor Carrosio ha indicato i nuovi sentieri del volontariato, precisando che il volontario che dona tempo non deve essere sfruttato, non deve sostituire un lavoratore, in quanto il dono è un’eccedenza, non una copertura per il dumping sociale. Serve un volontariato capace di fare rete, valorizzare diversità, connettersi con movimenti sociali, cittadini singoli e gruppi informali. Un volontariato che non si chiude nelle proprie strutture ma si apre al territorio, che non difende posizioni di rendita ma si mette in discussione.
Raffaello Maggian
FOTO: Luca Tedeschi



