“Preghiamo, preghiamo assai perché chi prega si salva”

Una Catechesi al mese tratta dagli scritti del beato don Francesco Bonifacio sul Padre Nostro per vivere una vera vita cristiana
[…] Anzitutto al mattino. Ogni giorno che spunta è una nuova grazia di Dio e della quale possiamo servircene per accrescere con opere buone la nostra felicità eterna. Diciamo dunque grazie a Dio che ce lo dà  e chiediamogli di potercene servire in bene. Queste preghiere del mattino diciamole possibilmente in ginocchio vicino al letto o meglio ancora in Chiesa. Non lasciamole mai e se ci dimentichiamo diciamole quando ci ricordiamo durante il giorno, anche se ci ricordiamo appena al dopopranzo.

Non dite che forse vi manca tempo perché carichi di lavoro: ricordatevi che il più grande affare è quello della vostra salvezza e che le persone che fanno bene le preghiere sono quelle che fanno meglio le faccende di casa e poi in fin dei conti si tratta di cinque minuti di preghiera. Se alle volte poi non potete dirle in ginocchio ditele anche per strada e tra le vostre faccende: fate come chi non ha tempo di fermarsi a mangiare, mangia lavorando. 

Poi pregate alla sera: per ringraziare Iddio delle grazie ricevute e domandargli perdono dei peccati della giornata e che ci custodisca nel riposo. Non dite che siete stanchi perché dopo tante fatiche per le cose materiali, che passano, è ben giusto che abbiamo anche un pensiero per Dio e facciamo qualche cosa per l’anima immortale. Se poi siete stanchi abbreviate pure le vostre preghiere, il Signore compatirà la vostra stanchezza ma fatele con fervore.

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[…] Ma si sente dire qualche volta: perché perdere il tempo nella preghiera? Chi lavora già prega.

Distinguo: Se lavorando pensa di fare il proprio dovere perché così vuole il Signore ed intanto cerca di compiere bene il proprio lavoro sopportando con pazienza il peso e pensando che il Signore gli tiene preparato un riposo eterno in Cielo, allora il lavoro è preghiera.

Ma se invece lavora e prega pensando al guadagno che potrà ricavare e non offre il suo lavoro a Dio, allora il suo lavoro diventa simile a quello delle bestie.

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[…] E nella preghiera quale orazione dobbiamo preferire?

Le preghiere approvate dalla Chiesa sono tutte buone ma fra essa la migliore è la S. Messa nella quale è Gesù stesso che prega. Dopo vengono il Padre Nostro insegnato da Gesù Cristo, i Salmi rivelati da Dio, l’Ave Maria e le altre preghiere composte dalla Chiesa e proposte ai fedeli. Finalmente tutte le preghiere che sono sui libri di pietà.

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[…] Preghiamo e preghiamo bene perché la preghiera alimenta la fede, ravviva la speranza e accende la carità; la preghiera è la scala del cielo, è l’arma contro le tentazioni, è conforto con le disgrazie e la vita del giusto.

Preghiamo, preghiamo assai perché chi prega si salva.

– Villa Gardossi.12.V.1942 –

 

Don Francesco Bonifacio con i giovani a Crassiza

Le catechesi –  che don Francesco chiamava Catechismo al popolo – gli erano molto care; le aveva iniziate su indicazione del vescovo monsignor Antonio Santin che nel 1941 raccomandava ai parroci di tenere nel mese di maggio delle vere catechesi sul Credo, il Simbolo Apostolico, per far riscoprire a tutti i fedeli i fondamenti della fede cristiana. 

Così don Francesco, cogliendo la bontà di quella proposta, aveva continuato con i Comandamenti, i Precetti della Chiesa, i Sacramenti, la Messa e poi anche con la preghiera che Gesù stesso ci ha insegnato: il Padre Nostro. Perché era convinto che solo attraverso una spiegazione didattica, ricca di esempi e di insegnamenti, poteva dare alla sua gente – gente semplice, contadina, spesso anche analfabeta – quell’istruzione che avrebbe loro permesso di vivere una vera vita cristiana, pur nella povertà e nella essenzialità del suo tempo.

Non deve meravigliare il modo semplice, appunto, quasi disadorno, con cui egli si rivolgeva ai suoi fedeli nelle omelie e nelle catechesi. Va ricordato infatti che allora tutte le celebrazioni, la Messa, i Vespri e tutte le altre celebrazioni come ad esempio i Sacramenti, si svolgevano in latino, la lingua della Chiesa di quel tempo, che quasi nessuno conosceva. Le stesse letture della messa – l’Epistola e il Vangelo – venivano proclamate in latino; solamente l’omelia era nella lingua corrente.

Era proprio per questo che don Francesco si impegnava al massimo nello studio e nella preghiera per preparare le omelie e le catechesi, perché, diceva:

La catechesi […] è come una mini teologia presentata da popolano a popolani, che deve lasciare un segno. Poco o nulla vale predicare se io non dimostro di praticare la Parola di Dio. L’attività non sempre significa apostolato santo, la predicazione richiede sacrificio, va preparata bene senza ricopiarla da testi o riviste; si è troppo miseri se si dimostra di non voler faticare. La Parola di Dio va studiata, assimilata prima di proclamarla; io sono chiamato ad essere uomo di Dio, come uomo, come cristiano, come sacerdote, sono prediletto da Dio per poter essere ostensorio della sua santità.

Queste di don Francesco, sono parole forti, impegnative, radicali, che domandano molto; infatti, tutta la vita, seppur breve, del Beato è stata veramente ostensorio della santità di Dio.

Mario Ravalico

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