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Al via i lavori del nuovo Consiglio Pastorale diocesano con la prima seduta.

«La carità non è delegabile!». Con questa frase S.E. mons. Enrico Trevisi – Vescovo di Trieste – ha aperto ufficialmente la prima seduta del nuovo Consiglio Pastorale diocesano, alle ore 19:30 di venerdì 18 ottobre u.s., presso la sede del seminario vescovile, non prima di aver recitato una preghiera corale introduttiva. La carità è segno di chi si ritrova insieme, di chi si ferma a riflettere. Oggigiorno, molti argomenti, che sono fonte di dibattito aperto come la carità o l’accoglienza, hanno spesso una connotazione politicizzante; eppure, sebbene questi temi siano difficili o scomodi da affrontare – evidenzia il Vescovo – devono comunque essere presi in carico.

Padre Giovanni La Manna, Superiore della Comunità dei gesuiti di Trieste e parroco del Sacro Cuore, nominato direttore della Caritas diocesana di Trieste il 30 settembre 2023, prende la parola, dicendo: «Per ogni cristiano, incontrare il Vangelo significa mettersi in crisi […] il Vangelo ci spinge a mettersi in gioco, ci spinge a farci domande»; bisognerebbe, infatti chiedersi “chi è il credente?”. Colui il quale appartiene ad una comunità – com’è quella dei fedeli in Cristo – significa far parte integrante di una vita insieme. Padre Giovanni La Manna, ha sottolineato che la Caritas è espressione viva di tutta la comunità e coinvolge intensamente, proprio per la semplicità della sua finalità cristiana. Per sua natura, amorevole e di aiuto al prossimo, la Caritas non vuol dire “delegare”, ma piuttosto “essere insieme” a vivere le esperienze di carità. «Carità è incontro!» – sostiene La Manna – e aggiunge che ognuno di noi dovrebbe farsi una domanda, apparentemente semplice ma impegnativa, e cioè: «Io, cosa posso fare?»; questa domanda non è solo del singolo, ma è rivolta a tutti, perché ogni persona dovrebbe chiedersi in che modo si possono condividere anche gesti quotidiani, come lo stare insieme. Noi tutti, spesso, ci accorgiamo che ogni nostra azione svolta è inevitabilmente “un incontro con Dio”; recuperare questa relazione con il Signore – suggerisce La Manna -, in modo da comprendere in quale modo noi possiamo intervenire nella condivisione dell’amore per il prossimo, significa offrire a tutti sempre nuove opportunità, diverse e stimolanti, vive e concrete esperienze di fede. «Non è più tempo di attesa!» – egli dice – e ci si aspetta di vedere gente che concretamente pensa, riflette e agisce in direzione di una logica caritatevole, in virtù dell’insegnamento di Cristo. È chiaro che ciascuno di noi non può essere la soluzione per tutti i problemi; tuttavia, quel segno di carità è fondamentale! «Rivedere negli altri la presenza del Signore Gesù è fondamentale!» e si traduce nell’incontro concreto con gli altri, accalorati dalla presenza d’una comunità che tiene vivo l’esempio semplice dell’amore cristiano. La Caritas diocesana è al servizio delle parrocchie – è vero ! -, ma tutto va diviso secondo i bisogni di ciascuno; è, altresì, necessario fare rete! A Trieste, come in tutte le altre città, i numerosi bisogni che ci sono devono poter confluire verso una matrice comune, in modo da essere affrontati da ciascuna realtà diocesana. Non bisogna illudersi che l’aiuto – visto come atto d’amore – sia facile, ma la domanda è sempre la stessa; ovvero: «Io, cosa posso fare?». Questa domanda è legata alla condivisione e alla capacità umana di saper disporsi uno per l’altro, in modo da persuadersi che la Provvidenza esiste. Un’ultima sfida è quella di sensibilizzare sempre più tutti gli abitanti di Trieste al valore cristiano della carità e, per farlo, è necessario che noi tutti offriamo la nostra testimonianza di vita; ecco perché – dice padre La Manna: «la Caritas richiede concretezza, e ci chiede di vivere come comunità questa sfida continua».

A questo punto, il Vescovo Enrico, consapevole che queste osservazioni hanno inevitabilmente toccato le corde del nostro cuore, ci suggerisce di rimanere in silenzio per qualche istante, allo scopo di meditare e riflettere sul “cosa io posso fare, come singolo e poi come comunità di fedeli”. Mons. Trevisi spiega alcune novità che hanno riguardato il nuovo sito istituzionale e mediatico della Caritas triestina, grazie alle quali sono presentati alcuni atti concreti di vita sociale, come se essi fossero un palcoscenico sul quale stimolare sollecitazioni di coscienza cristiana, circa lo stato sociale che Trieste vive in tema di bisogni e povertà, sui quali noi tutti dobbiamo riflettere. «Tante persone – aggiunge il Vescovo – stasera dormiranno all’aperto, perché non hanno una casa né un letto in cui dormire […] e se c’è freddo, o piove, e se essi hanno fame o soffrono in silenzio». Bisogna riflettere e sapere che c’è una concreta situazione di bisogno vero. Gli occhi del nostro Vescovo Enrico si fanno lucidi ed emanano una luce particolare, mentre dice così: «Certamente, è bello poter avere un consiglio pastorale grazie al quale poterci affidare, per concertare idee e condividere segni di effettivo aiuto. È veramente bello poter collaborare tra le parrocchie e tutte le realtà diocesane, nella speranza che possano convogliarsi idee piene di concreto aiuto nei riguardi dei sofferenti e dei bisognosi».

Il Vescovo ha comunque ribadito che non è percorribile la strada che preveda la costruzione o l’individuazione di nuovi dormitori, nei quali accogliere i bisognosi; tuttavia, è pur vero che si rende necessaria la presenza di molti e nuovi volontari, i quali sono una presenza indispensabile, oltreché un valore aggiunto per la carità in generale. Nei riguardi degli stranieri, si nota una sempre viva ed attiva collaborazione da parte delle realtà coinvolte in ambito sociale, politico e religioso; tuttavia, le forme di carità – afferma il Vescovo – devono sempre poter andare di pari passo con il rispetto di un certo “stile” comportamentale nei riguardi di chi chiede aiuto, poiché il valore di ogni misura d’azione si traduce direttamente nel rispetto delle altrui culture e delle diversità socio-antropologiche e politiche. Come ha evidenziato il presidente della Caritas, molte persone straniere, in attesa di asilo politico, rimangono come immobili in una posizione di “accoglienza”, fintanto che essi non chiedano il trasferimento in altre città o luoghi ben precisi. «La nostra guida non è il mercato e neanche la veicolazione del potere dei media, ma è il Vangelo», afferma La Manna; così, come disse Gesù: “Riceverete in questo tempo cento volte tanto insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà” (Mc 10, 28-31). Mons. Enrico sottolinea: «Noi tutti ci mettiamo in gioco e siamo sempre alla ricerca di nuove alternative sui temi della carità e dell’accoglienza umana […]  per me è importante collaborare con le istituzioni politiche, perché ritengo che ci sia sempre bisogno di lavorare insieme e in armonia di fronte a problematiche di questo genere, in modo da stabilire un clima relazionale di serenità e condivisione».

A questo punto, si ritiene giunto il momento di dare la parola ai singoli rappresentati del consiglio pastorale. Un rappresentante dice: «A mio avviso, sul tema della carità, si ritiene necessaria una maggiore informazione e una più capillare collaborazione tra gli appartenenti alle parrocchie». Il presidente La Manna risponde: «Esistono chiaramente i “rapporti Caritas” che parlano di volontariato, di povertà, e che raccontano le molteplici realtà». Lo statuto della Caritas – sottolinea il Vescovo – è finalizzato a stimolare l’animo cristiano della carità e dell’aiuto; con la carità si permette l’animazione dei rapporti umani, valorizzando tutta l’evangelizzazione cristiana. Molte persone giungono a Trieste, provenendo da varie realtà e differenti luoghi, per donare il proprio aiuto, la propria energia d’amore, spesso guidati dall’esempio di Cristo. «Noi tutti – aggiunge il Vescovo –  abbiamo la responsabilità di stimolare tutti i cuori, orientandoli verso il significato vero dell’amore, oltre ad accogliere tutte le possibili occasioni che ci possano portare all’evangelizzazione». Egli ci vuole dire che, forti di fronte a questi imperativi d’amore, noi tutti abbiamo la possibilità di fare concretamente sempre più “cose belle”. Paolo Pesce, rappresentante delle aggregazioni laicali, sottolinea: «Bisogna tendere alla “creazione di valore” nei confronti dei migranti, cercando di trovare per loro occupazione; in questo modo, costoro avrebbero la possibilità di integrarsi nel tessuto sociale e vivo della città di Trieste, e diventare parte della società attiva: solo così essi possono vedersi riconosciuta la propria dignità umana». A Trieste, l’ospitalità è un segno grande di amore cristiano, e poi, siccome: «il bello è contagioso», si potrebbero organizzare le “giornate missionarie della carità”, come strumento di condivisione fra le parrocchie.

Emerge vivo fra tutti i rappresentanti il desiderio di essere “cellule di carità”, capaci cioè di creare reti di collegamento interindividuali, affinché riemerga continuamente fra gli uomini la grandezza di valori come quello della carità, dell’amore reciproco, della dolcezza e dell’umiltà.

Giuseppe Di Chiara

 

 

 


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