Santi, morti, reliquie e gusci di semi di grano

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L'editoriale di questa settimana di don Marco Eugenio Brusutti

Mi ha sempre colpito la lezione del chicco di grano. Perché deve morire per sprigionare tutta la sua forza, la sua bellezza, la sua importanza? Perché dobbiamo morire per vedere Gesù?

Sono domande dell’anima, di un uomo inquieto, in ricerca, che ho sentite mie in questi giorni, tra una visita al cimitero, preparando un’omelia o aiutando ad allestire l’altare. Perché si deve morire per vedere Gesù? Come sarebbe bello vederlo in terra, da viventi! … E ritorniamo sempre con gli Apostoli che, attraverso Filippo che era di Betsaida di Galilea, chiedono: “Signore, vogliamo vedere Gesù”. E Gesù risponde loro: “È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico; se il chicco di grano, caduto in terra, non muore rimane solo, se invece muore, produce molto frutto […]” Gv 12, 24.

È una risposta che Gesù dà anche a noi oggi e che ci obbliga ad avere occhi limpidi che scrutano l’infinito, proprio quelli di un amico, che ho perso in questi giorni e che mi aiutava come catechista e che soleva dire: “Se osservi, vedi “bene” le cose”. Questa considerazione, così difficile tra le più inquietanti del Vangelo. Questo morire ci fa paura, ci riempie il cuore di tristezza, proprio come quando, in occasione della ricorrenza dei nostri cari defunti, facciamo visita al cimitero e subito piomba su di noi la tristezza; come quando vediamo un altare che conserva il corpo si un santo o le sue reliquie esposte.

Le reliquie dei santi sono state preziosissime per la diffusione della Fede, in particolare quelle dei primi cristiani, custodite e rinvenute nelle catacombe. La grande imperatrice Elena, madre dell’imperatore Costantino, trasportò resti della croce, reliquie le più importanti della storia, quelle di Nostro Signore.

La parola reliquia deriva dal latino reliquiae, che significa resti: un piccolo “resto” di un Santo. Possono essere anche corpi interi, a volte sono anche solo indumenti o ornamenti.

Esistono reliquie di ogni genere: il dente di Santa Apollonia, il corpo incorrotto di Santa Caterina, la lingua di Sant’Antonio… Potremmo dire che le reliquie sono solamente “un guscio” che rimane in questa terra. Tutti siamo destinati alla risurrezione, ma restano qui sulla terra queste “tracce”, reliquie insigni dei corpi, cosiddetti “gusci” dei Beati e dei Santi.

Il culto delle reliquie, nella Chiesa, è studiato tra i “sacramentali”.

Il Concilio Vaticano II afferma: “La Chiesa, secondo la sua tradizione, venera i Santi e tiene in onore le loro reliquie autentiche e le loro immagini. Le feste dei Santi infatti, proclamano le meraviglie di Cristo nei suoi servi e propongono ai fedeli opportuni esempi da imitare”.

Sono rimasto affascinato ad ammirare, in questi giorni, le tombe dei nostri cari defunti: alcune vistosamente omaggiate ed altre tristemente abbandonate. Ho contemplato, in una piccola cappella delle reliquie esposte e ho pensato ai Santi a cui appartengono e alle loro vite, così umane, ma che improvvisamente sono diventate speciali. Hanno abbandonato il nucleo, il centro, il germe pulsante, l’animazione e ne è rimasto il forziere, la cassaforte, il “guscio”, per parlare in termini di grano. Non muore nulla in questa terra: nella terra continua un lavorio ininterrotto, stupefacente; resta tutta l’efficacia di una vita, di quella vita, di tante vite, tutte affamate di vita, tutte però protese e unite a Cristo, nate, morte e risorte con Lui in quanto la loro vita, la nostra vita non ci è tolta, ma trasformata. Hanno lasciato questa vita i nostri cari defunti. Così i santi. Così la lasceremo noi. Gloria di Dio non è il morire, ma la capacità di continuare a generarne molte attraverso l’esempio, il ricordo. Tutti, passati dalla croce, dalla sofferenza oltre quella stretta porta, che separa i viventi dai dormienti in eterno. Ma Dio entra nella morte e, come nelle icone antiche, Gesù ci prende per il polso e ci “tira fuori”, ci porta in alto con sé.

Ecco allora che in questi due giorni, tra santità e morte, la croce non diviene la fine, non diviene la pietra posta sopra la nostra tomba. Non la possiamo capire, possiamo viverla, ed aggrappandoci ad essa, camminare con Lui, con il Signore, in eterno, con i Santi. Sulla croce, nella croce, con la croce noi possiamo comprendere il grande mistero della morte, della santità, anche grazie a dei piccoli “gusci,” come di seme che sono le reliquie.

don Marco Eugenio Brusutti

Foto di Kira da Pixabay


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