Cosa vuol dire essere un sacerdote impegnato con la musica nella pastorale?
Nella mia vita sacerdotale, giunta ormai a più di 42 anni di ministero, alcune esperienze mi hanno segnato profondamente e hanno indirizzato decisamente i miei comportamenti e le mie azioni. Per me essere musicista compositore fu il desiderio che fin dall’infanzia rapiva la mia fantasia. Ascoltare la musica dei grandi autori del passato mi immergeva nelle emozioni molteplici che solo la grande musica può dare e accresceva in me il desiderio di voler a mia volta esprimere i miei sogni e le mie fantasie per comunicarle. La musica in realtà è un’esperienza contemplativa, genera immagini interiori che sembrano concretizzare le idee e i sentimenti. Essa può comunicare molte più informazioni di quanto può farlo un discorso verbale, perché sa agire sulle sensazioni, i ricordi, l’inconscio che conserva gioie e dolori e può far emergere tutto questo permettendoci di riconciliarci con noi stessi. Possiamo così trasformare tutta la nostra interiorità in una melodia che commuove o esalta, in una musica che rasserena o fa sorridere. Spesso la musica è come un farmaco che cura le ferite dell’anima e consola i cuori afflitti, sa scacciare la malinconia oppure la trasforma togliendole la cupezza e la tragicità, relativizzando il dolore e facendoci comprendere che anch’esso fa parte della vita e può essere accettato e trasformato, come fanno le dissonanze in una partitura. Esse sono parte fondamentale della bellezza musicale in quanto preparano le consonanze che, senza quelle apparenti stonature, non produrrebbero l’effetto di serenità e pace che le caratterizza.
La Chiesa e la musica?
La Chiesa ha sempre utilizzato la musica come linguaggio universale, capace di unire ed elevare il Popolo di Dio. Soprattutto nella Liturgia, lì dove il dialogo tra l’uomo e Dio si fa esperienza contemplativa e mistica, dove il battezzato trova la sua collocazione nel corpo vivo della Chiesa: il Corpo del Risorto. Nella preghiera liturgica impariamo a cantare la lode di Dio, a divenire noi stessi lode vivente, così come i salmi ci insegnano, trasformando ogni esperienza della nostra vita in un’occasione di preghiera e di canto. Il canto della Liturgia delle Ore, che consacra il tempo con la preghiera, ci esorta a trasformare la nostra vita quotidiana in canto. Seguendo il ritmo dei salmi, che sono alla base della Liturgia, noi diveniamo salmi viventi, poesia di Dio, canto del mondo.
Il Giubileo, la Bibbia e la musica?
La parola Giubileo, che stiamo per celebrare, ci suggerisce già un legame forte tra fede e musica. Lo yobel era lo strumento musicale del tempio che nella Bibbia annunciava le grandi celebrazioni e le grandi feste di Israele. Inoltre, il termine latino iubilum si riferisce alla preghiera interiore che diviene esultanza e letizia, un canto gioioso che dentro di noi si innalza al Signore e Redentore della nostra vita. La causa di questa esultanza è la misericordia di Dio che in quest’anno speciale si effonde con larghezza e abbondanza su ognuno che si rivolge a lei. Il giubilo è un canto tutto interiore e spirituale, una melodia delicata che dal cuore sale direttamente a Dio con quelle ali stupende che solo l’amore può dare. Perché, in realtà, si canta solo per amore, per quella pienezza di sentimenti del cuore che non può essere trattenuta ma si deve esprimere ed espandere. Questo giubilo crea subito condivisione e partecipazione, per la forza intrinseca che la musica possiede di parlare a tutti e di farsi comprendere perfettamente e immediatamente. La gioia del canto ha la capacità di comunicarsi facilmente, si propaga in una sorta di “epidemia positiva” in cui l’anima di ciascuno si risveglia e scopre di poter vivere in sintonia con gli altri cantando insieme. È come rendersi consapevoli di poter cambiare la propria vita rendendola partecipe di un’armonia universale nuova, di poter colmare le distanze e annullare le differenze per poter cantare insieme lo stesso inno al Creatore dell’universo.
La musica, lo spazio e il tempo: quali dinamiche?
Una delle caratteristiche della musica è infatti la sua capacità di abbattere i muri che spesso si innalzano tra gli uomini e che vengono innalzati dalla paura, dalla diffidenza, dal rancore e dell’inimicizia. Davanti alla musica questi muri si sgretolano, perché gli uomini comprendono di essere semplicemente uomini, con gli stessi sentimenti e le medesime emozioni, inoltre, si accorgono che la poesia, e tutto ciò che è grande, alto e bello, fa parte delle cose dell’anima, appartiene a tutti e quindi può divenire la base di una comunione splendida tra uomo e uomo, tra nazione e nazione. La musica unifica ciò che è diviso e colma gli abissi che spesso gli uomini scavano dividendosi tra loro e minando la pacifica convivenza e quindi la loro felicità. Nello stesso tempo attraverso la musica si sperimenta la facilità con cui è possibile raggiungere la pace e ritrovare l’amicizia, perché la musica si fa sempre insieme, in collaborazione. Solo così si può far crollare i muri che abbiamo innalzato, aprire le porte che abbiamo serrato e far scomparire le inimicizie, e con loro dissolvere le paure e i rancori.
Qual è il rapporto tra la musica e la bellezza?
Iniziando quest’anno giubilare lasciamoci catturare dalla bellezza di cui la musica si fa ancella, e innalziamo il nostro cuore verso Dio, con l’aiuto della sua grazia: così contempleremo il suo volto, causa di ogni bellezza e di ogni canto, e godremo della gioia della fraternità. La comunità diocesana può nel Giubileo scoprirsi ancora più famiglia di Dio e con l’aiuto del canto e della preghiera cantata unificarsi divenendo un autentico coro che innalza a Dio la sua lode. Il mondo può salvarsi solo se ciascuno di noi da spazio alla sua anima e si adopera a che i fratelli a loro volta ritrovino nella loro anima tutto lo splendore dell’immagine di Dio che in essa è celata. Il mondo è avvolto dalle tenebre dell’egoismo e della tristezza, giace nel buio del peccato che nasce sempre dalla lontananza da Dio. La musica e il canto possono svelare l’immagine di Dio che si nasconde nel profondo e far sì che la sua luce possa nuovamente illuminare il loro cuore e quello del mondo intero.
Intervista a cura di don Marco Eugenio Brusutti