Il mistero dell’Epifania

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Il Mistero dell'Epifania
Dopo l’antifona d’introito della Messa della Notte di Natale (Dóminus dixit ad me), eccone un’altra molte breve, posta ad introitare in una delle solennità maggiori dell’intero anno liturgico: l’Epifania.

Il Mistero dell’Epifania

Ecco, viene il Signore dominatore:

nella sua mano il regno, la potenza e l’impero.

  1. O Dio, dà al re il tuo giudizio e la tua giustizia al figlio del re.
  2. I Re di Tarsis e delle isole offriranno tributi, i re degli Arabi e di Saba porteranno doni.
  3. Lo adoreranno tutti i re della terra: tutte le genti lo serviranno.

(nostra traduzione)

Dopo l’antifona d’introito della Messa della Notte di Natale (Dóminus dixit ad me), eccone un’altra molte breve, posta ad introitare in una delle solennità maggiori dell’intero anno liturgico: l’Epifania.

La liturgia della manifestazione del Signore ci propone di contemplare tre segni – anche cronologicamente lontani – che la esplicitano: i magi condotti dalla stella al presepe, l’acqua trasformata in vino alle nozze di Cana e Cristo che si fa battezzare da Giovanni nel Giordano per salvarci (ut salvaret nos: così termina l’antifona al Magnificat dei Secondi Vespri). Di tutto questo nel nostro introito neppure un accenno, eccezion fatta per il secondo e il terzo versetto, tratti dal Sal 71 (peraltro aggiunti solo recentemente). L’antifona, infatti, sembra essere monotematica. Essa si fonda sulla teoria della regalità: il Signore è colui che domina tutto e detiene il regno, la potenza e il governo di ogni cosa. Verrebbe spontaneo, allora, concludere che la vera identità di Gesù, che nella festa odierna si manifesta, è quella di un re onnipotente; eppure, sarà necessario lasciarsi interpellare da ulteriori elementi, alcuni dei quali già citati, per capire che quella che ci viene posta innanzi non è una regalità ordinaria, né tantomeno una onnipotenza dispotica e coercitiva.

Dal punto di vista compositivo la nostra antifona è plagale. Tutto è stranamente “fermo” melodicamente: il brano, infatti, ruota attorno alla finalis e alla repercussio, che distano di una sola terz. Inoltre, non ci sono particolari melismi. Anche nel repertorio dell’Ufficio abbiamo l’esempio di un’altra antifona sullo stesso testo, già presente sull’antifonario di Hartker del X secolo (cf. H53): anche questa, pur appartenendo al diverso modo Tetrardus, è plagale. Plagalis deriva dal greco πλάγιος [plaghios]: sghembo, obliquo; per estensione potremmo arrivare al dorico πλάγα [plaga]: colpo, ferita e al verbo πλήσσω [plesso]: colpire, percuotere: sembra che il re di cui si canta non riesca a star dritto, ma che sia curvo, piegato, percosso fino alle ferite, privo di ogni trionfalismo (troviamo già i segni della passione e della morte in croce).

Ad avvalorare questa tesi è anche il secondo segno che contempliamo: il battesimo al Giordano (cf. Mt 3,13-17). La narrazione di questo evento è costellata di verbi di discesa e, in ebraico, il nome stesso del Giordano racchiude in sé la radice del verbo scendere. Come Naamàn su richiesta di Eliseo (cf. 2Re 5) si immerse 7 volte nel Giordano per sanare il suo orgoglio e la sua lebbra, come il Verbo eterno del Padre discese dall’alto dei Cieli incarnandosi in Maria, così Gesù all’inizio della sua vita pubblica si manifesta come colui che si umilia e obbedisce alla Legge: è Re d’umiltà e d’obbedienza.

A questo punto sarebbe lecito chiedersi: su cosa esercita il dominio un siffatto sovrano? Quali sono il suo regno, la sua potenza e il suo impero, decantati nella seconda parte delle antifone? Per quali cose tanto mirabili verrà adorato da tutti i re della terra? Troviamo qualche risposta negli altri due segni. Anzitutto nei doni che i re portano in dono al bambino Gesù: l’oro, l’incenso e la mirra (cf. Mt 2,11) rappresentano la regalità, la divinità e la prefigurazione della morte e trovano un inaspettato parallelo con i nostri tre termini (regnum, potestas, imperium). Dunque, il re che governa con umiltà e obbedienza ha un regno [regnum-oro] che gli è dato dalla sua potenza divina [potestas-incenso], grazie alla quale è riuscito a trionfare sulla morte [imperium-mirra]: il suo regno è un regno di vita, che abbraccia ogni cosa creata e la redime con gli strumenti della sua onnipotenza.

Infine, il terzo segno: il vino ottenuto dall’acqua alle nozze di Cana. Questo segno ci esorta a percorrere anche noi la via della sequela di Cristo e ci rimanda fortemente alla risurrezione! Quando tutto sembrava perduto l’acqua è diventata vino. La potenza divina del Padre accoglie e sigilla la bontà di quanto Gesù ha insegnato e vissuto: è la stessa potenza divina [potestas-incenso] che, albergando in Gesù stesso, gli ha permesso di por- tare a compimento la sua missione salvifica. Curvandosi [plagalis] sotto il peso dei nostri peccati e il pesante giogo del compito affidatogli, Egli viene ora innalzato al rango di padrone della morte, la quale tutto aveva sottomesso ai suoi piedi (cf. 1Cor 15,27).

Ancora una volta con Leone Magno, riconosciamo la nostra dignità di cristiani! Contempliamo il nostro Re umile e obbediente, Signore della vita! Egli oggi si manifesta a noi affinché, imitandolo, gli corriamo incontro verso il Regno di misericordia che ci ha preparato, dove potremo gioire con lui dell’incontro con il Padre.

Ufficio Liturgico Nazionale

 


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