Ogni Benedetta domenica
Cari fratelli e sorelle, la parola chiave del Vangelo di questa XXIII settimana del tempo ordinario è “Apriti!”.
Il Vangelo di questa domenica è ambientato nel territorio della decapoli, ovvero, una zona che, come suggerisce il nome, è composta da dieci città, e si estendeva a sud est del Mare di Galilea. La caratteristica principale di questa regione consiste nel fatto che era abitata da pagani, ovvero da popoli che non credevano nel Dio di Israele.
Proprio in questo luogo Gesù incontra un sordomuto e compie il miracolo della guarigione.
Nella dinamica della Storia di Salvezza i miracoli di Gesù non sono fine a sé stessi, ma sono dei segni: qualcosa che avviene con lo scopo di manifestare un significato più profondo, sia ai discepoli presenti che assistono alla scena, sia a noi cristiani che leggiamo questo vangelo a secoli di distanza.
Ecco che allora, la figura del sordomuto, non è più l’immagine di un uomo malato fisicamente, ma rappresenta un male esistenziale, una difficoltà comunicativa, non solo verbale, ma profondamente umana.
Essere sordomuti, vuol dire aver interrotto il canale comunicativo della parola, vuol dire non poter accogliere le parole degli altri, farle proprie, e poi poter comunicare le proprie. In questo genere di malattia il mutismo deriva da un’impossibilità ad ascoltare. Tutti noi impariamo a parlare perché prima ascoltiamo le parole di altri.
Nella lettera i romani, San Paolo dice che la «fede viene dall’ascolto» (RM 10,17): il punto di partenza del nostro canale comunicativo con Dio, ma anche con gli altri, deriva dall’ascolto della Parola di Cristo.
Noi, come il sordomuto del vangelo, siamo pagani, a differenza del popolo di Israele, facciamo fatica ad entrare in una dinamica di ascolto. Il Signore parla con i fatti concreti della nostra vita e li illumina, illumina la sua presenza attraverso la sua Parola. Questa sordità, questa difficoltà ad ascoltare la Parola di Dio ci rende incapaci di esprimerci, di esprimere la nostra fede, di esprimere la nostra relazione con il Signore, ma anche di esprimerci con chi abbiamo accanto.
Quante parole diciamo a sproposito, quante offese escono dalle nostre bocche, quante mormorazioni, quanti giudizi, quante menzogne… Ma anche quanti silenzi osserviamo per interrompere la nostra relazione con gli altri, silenzi che sono accusatori, molesti. Tutto ciò perché i nostri orecchi non ascoltano le parole giuste, perché le nostre bocche non imparano a parlare ascoltando la voce di Dio!
Per questo Gesù porta il sordomuto in disparte, lo conduce lontano dalla folla, perché possa accogliere solo la sua parola. Abbiamo bisogno di ritagliarci momenti di ascolto, abbiamo bisogno di udire la voce di Dio, di imparare da lui ad ascoltare veramente.
I riti che Gesù compie: toccare l’orecchio, mettere la saliva nella bocca del sordomuto e pronunciare la parola “Effatà”, sono conservati nel rito del battesimo dei bambini. Tutti noi che siamo stati battezzati da piccoli abbiamo ricevuto questo segno profetico. È fondamentale ricorrere alla grazia del battesimo per rinnovare in noi questo segno sacramentale.
Il Signore ci attende, spesso è molto più vicino di quanto possiamo pensare, apriamo i nostri orecchi e accogliamo la parola che ha preparato per noi. È una parola di amore, di perdono, di misericordia e di salvezza. Solo quando i nostri orecchi impareranno a udirla, allora anche la nostra bocca potrà annunciare la lingua dell’Amore!