Domani, venerdì 22 novembre, la Caritas diocesana, per celebrare l’VIII Giornata Mondiale dei Poveri, promuove un convegno che si terrà alle ore 18 nella Sala Tessitori nel palazzo del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia, in piazza Oberdan 5.
Il tema del convegno sarà “Spezzare il silenzio: partecipazione e sostegno ai più fragili” e vuole essere un’occasione per conoscere uno spaccato della nostra città, forse meno nota, per dare voce agli “invisibili” che la abitano e la attraversano: famiglie, minori, anziani, lavoratori poveri, migranti, senza dimora, persone sole.
Un momento di riflessione perché tutti possano essere solidali con gli ultimi e dare energia generativa alla nostra società, leggendo anche i segni di speranza che la nostra città lascia intravedere, attraverso il volontariato e l’animazione delle comunità.
Ne abbiamo parlato con padre Giovanni La Manna, direttore della Caritas diocesana, con il quale abbiamo fatto una riflessione partendo dalle parole di papa Francesco nell’omelia per la Messa della VIII Giornata Mondiale dei Poveri.
Padre Giovanni, il Papa, domenica scorsa, ha voluto richiamare un monito accorato del cardinale Martini: «solo servendo i poveri “la Chiesa ‘diventa’ sé stessa, cioè casa aperta a tutti, luogo della compassione di Dio per la vita di ogni uomo”». Qual è in questo senso l’impegno della Caritas?
L’impegno della Caritas è quello di “vivere” il silenzio perché solo nel silenzio si può intuire quello che Dio chiede a ciascuno di noi, ma è anche necessario poi saper uscire dal silenzio con la concretezza della compassione, vedendo i bisogni delle persone, i bisogni concreti ai quali dare risposte concrete senza troppe parole.
Sempre il Papa, nella sua omelia, osserva che: «Vediamo crescere attorno a noi l’ingiustizia che provoca il dolore dei poveri, ma ci accodiamo alla corrente rassegnata di coloro che, per comodità o per pigrizia, pensano che “il mondo va così” e “io non posso farci niente”. Allora anche la stessa fede cristiana si riduce a una devozione innocua, che non disturba le potenze di questo mondo e non genera un impegno concreto nella carità».
La tentazione è quella di fermarsi davanti a una illusoria impotenza. Invece, di fronte alle persone nel bisogno, dobbiamo far affiorare e trovare una risposta alla domanda: io cosa posso fare?
Quando si incontrano persone in difficoltà si pensa sempre a chi per “mestiere” si occupa di loro, si pensa subito a contattare un numero di emergenza, qualche Istituzione o qualche altra realtà: chiamo la Caritas per segnalare che c’è una persona in difficoltà sotto casa.
Se invece lascio spazio alla domanda io cosa posso fare?, il mondo cambia e cambia il nostro modo di pensare, con una disponibilità concreta non solo all’incontro con chi è in difficoltà, ma, in ultima analisi, con la con la concretezza del Vangelo, che ci porta a prenderci carico delle persone in difficoltà che incontriamo. È un cambio di stile di vita, che dice quanto noi crediamo veramente nel Vangelo. Pensiamoci: il buon samaritano si è fermato perché si è chiesto io cosa posso fare?
Dobbiamo, come cristiani, scegliere veramente il Vangelo, facendo ciò che è umanamente possibile, senza la presunzione di risolvere tutti i problemi. Dobbiamo dare risposta alla domanda io cosa posso fare? secondo quelle che sono le nostre possibilità ed è sorprendente scoprire che c’è sempre qualcosa che io posso fare e che posso non delegare agli altri.
Il ruolo della Caritas è soprattutto pastorale e culturale, permettendo a tutti, nella Chiesa come nella società, di conoscere la realtà degli ultimi e degli invisibili.
Si il lavoro concreto della Caritas non si realizza solo attraverso i servizi, ma, partendo dalle persone in difficoltà che noi incontriamo e che non hanno voce, abbiamo una responsabilità: quella di essere voce lì dove gli altri non hanno voce, dove incontriamo disagi che sono dovuti ad un modo di governare che non è centrato sul bene comune. Le situazioni vanno conosciute e governate, per farlo c’è la necessità di conoscere a fondo e concretamente la realtà e l’aiuto che le Caritas possono offrire sono i Rapporti che regolarmente ogni anno vengono pubblicati e condivisi, dove si fotografano quelle situazioni che, per processi ingiusti, creano povertà.
La Caritas registra anche tutti quelli che sono i segnali di speranza che vengono dal territorio.
Si, il lavoro della Caritas è quello di occuparsi delle persone concretamente, di diventare voce di queste persone, perché chi ha responsabilità di provvedere al bene comune abbia gli elementi per agire concretamente.
La Caritas, poi, affianca tutto questo a segni, che realizza con sacrificio, che sono segni di speranza. Parlando di Trieste, citiamo il Dormitorio “Sant’Anastasio”, che vuole essere proprio un segno di speranza. Una speranza concreta, dove si testimonia che, facendoci la domanda io cosa posso fare? – e il primo è stato il nostro Vescovo –, siamo stati in grado di aprire una struttura che accoglie persone in difficoltà, con l’aiuto fattivo della comunità credente di Trieste. Un appello del Vescovo ha messo in movimento e in azione tante persone, più di 120 volontari, che ci consentono di portare avanti questa bella esperienza. Questo ci insegna come sia possibile mantenere per primi noi viva la speranza e alimentare quella delle persone che sono in difficoltà.