
È nota la distinzione fra «pensanti e non pensanti» suggerita dal cardinale Carlo Maria Martini in alternativa a quella fra «credenti e non credenti»; nello scenario attuale si potrebbe azzardare un’ulteriore declinazione, che corrisponde alla capacità o incapacità di pensare in termini spirituali: di nutrire una vita interiore, dunque, quale premessa irrinunciabile a quell’inquietudine che l’insigne biblista considerava inscindibile dalla sequela del Vangelo. Esattamente questo è il valore spirituale della letteratura, questa disponibilità a penetrare tanto profondamente in sé stessi da scoprirsi disponibili all’incontro con l’altro – e, sì, anche con l’Altro. La letteratura predispone alla comprensione dell’umano in ogni sua sfumatura, e lo fa educando all’attenzione. «Jesus was a sailor», (Gesù fu un marinaio), cantava Leonard Cohen: per questo sapeva come salvarci dal naufragio. Ma era anche un narratore, per questo non possiamo accontentarci del «Cristo senza carne», che Francesco richiama nella sua lettera. Abbiamo bisogno di storie che diano corpo alla realtà, servono parole che rendano concreta la storia. Quantunque possa risultare strano, la letteratura è necessaria. Come suggerisce papa Francesco, essa concerne «ciò che ciascuno di noi desidera dalla vita, entra in un rapporto intimo con la nostra esistenza concreta, con le sue tensioni essenziali, con i suoi desideri ed i suoi significati». Non si deve mai perdere di vista «la “carne” di Gesù Cristo». Quella carne «fatta di passioni, emozioni, sentimenti, racconti concreti, mani che toccano e guariscono, sguardi che liberano e incoraggiano, di ospitalità, di perdono, di indignazione, di coraggio, di intrepidezza: in una parola, di amore». Per questo, rimarca Francesco, «un’assidua frequentazione della letteratura può rendere i futuri sacerdoti e tutti gli agenti pastorali ancora più sensibili alla piena umanità di Cristo in cui si riversa pienamente la sua divinità». In definitiva la letteratura serve «a fare efficacemente esperienza della vita». Nel magistero di questo pontefice la frequentazione della letteratura è una costante. È successo anche a Trieste, nella Messa conclusiva della 50ª Settimana sociale dei cattolici in Italia, quando Francesco ha fatto riferimento a una poesia di Umberto Saba: «Spesso, per ritornare alla mia casa / prendo un’oscura via di città vecchia. / Giallo in qualche pozzanghera si specchia / qualche fanale, e affollata è la strada. / Qui tra la gente che viene che va / dall’osteria alla casa o al lupanare, / dove son merci ed uomini il detrito / di un gran porto di mare, / io ritrovo, passando, l’infinito / nell’umiltà». Sono i primi versi della “Città vecchia” di Umberto Saba, poesia citata dal Papa a Trieste, nell’omelia della messa celebrata domenica 7 luglio 2024. Il poeta triestino ci mostra i personaggi che popolano i vicoli della città vecchia: la prostituta e il marinaio, la donna che litiga e il soldato: «sono tutte creature della vita / e del dolore; / s’agita in esse, come in me, il Signore». Quando Saba scrive questa poesia (1910-1912) il suo sguardo si sofferma sulla gente del popolo: «Qui degli umili sento in compagnia / il mio pensiero farsi / più puro dove più turpe è la via». Il Papa commenta: «Dio si nasconde negli angoli scuri della vita della nostra città…L’infinito di Dio si cela nella miseria umana, il Signore si agita e si rende una presenza amica proprio nella carne ferita degli ultimi, dei dimenticati, degli scartati». Riguardo all’attenzione di Bergoglio per gli autori contemporanei, si pensi che in “Querida Amazonia” sono citati sedici autori, tra i quali Pablo Neruda; che in “Fratelli tutti” coesistono Vinícius de Moraes e Virgilio; e che in “Amoris laetitia”, accanto ad Agostino e Ignazio di Loyola, si trovano i sudamericani Jorge Luis Borges, Octavio Paz e Mario Benedetti, i cui versi d’amore, raccomanda in pratica Bergoglio, dovrebbero essere ripetuti ogni giorno in una coppia: «Le tue mani sono la mia carezza/ i miei accordi quotidiani/ (…) Se ti amo è perché sei/ il mio amore la mia complice e tutto/ e per la strada fianco a fianco/ siamo molto più di due». Già durante la prima Messa nella cappella Sistina, il novello pontefice usò un verso del poeta francese Léon Bloy e da allora non si è più fermato, spaziando da Manzoni e Dostoevskij a Hölderlin e Péguy. A Dante, per i 700 anni dalla morte, ha dedicato la lettera apostolica “Candor lucis aeternae”. Francesco in gioventù è stato amico del grande poeta argentino, José Luis Borges. La sua parola non è mai scissa dalla vita e l’esistenza per il santo padre non può essere ridotta all’esercizio di un istinto cieco. Nella letteratura e nella poesia pensiero e azione si legano, sostenendosi a vicenda, la scrittura è una chiave per accedere all’esperienza. A corredo di queste note, vorrei ora richiamare alcuni testi che rendono ragione di questo felice incontro tra evangelizzazione e cultura. Sul filo delle personali emozioni che hanno suscitato nel mio animo, darò ora lettura di alcuni brani che ho selezionato dal romanzo di Fëdor Dostoevskij, “Delitto e castigo”; dal racconto di Natale di Jean Paul Sartre; dal diario di Etty Hillesum; dal libro “Mattino e sera” di Jon Fosse; dalla novella “La giornata di uno scrutatore” di Italo Calvino. Sul fronte della poesia, vorrei proporvi alcuni versi tratti da questi autori: Alda Merini, “L’albatros”; Clemente Rebora, “Gira la trottola viva”; John Henri Newman, “La colonna di nube”; Antonia Pozzi, “Così sia”; Emily Dickinson, 502. Questi richiami rendono ragione dell’invito del papa ad addentrarci nella letteratura per uscire da noi stessi e diventare più sensibili alle esperienze degli altri, facendoci loro compagni di cammino: “Così ci immergiamo nell’esistenza concreta ed interiore del fruttivendolo, della prostituta, del bambino che cresce senza i genitori, della donna del muratore, della vecchietta che ancora crede che troverà il suo principe. E possiamo farlo con empatia e alle volte con tolleranza e comprensione”. Papa Bergoglio ricorda la lettera che Jean Cocteau scrisse a Jacques Maritain, nella quale indicava che, al di là della letteratura, «solo l’amore e la fede ci consentono di uscire da noi stessi». C’è una fonte da cui tutto proviene e liberamente si dona, generando altro da sé. Tutta la creazione è destinata ad entrare nella gloria, partecipe della Trinità divina: «S’asperse in novi amor, l’eterno Amore». (Paradiso, XXIX, 18). Nell’ultima lettera enciclica di Francesco, “Dilexit nos”, sull’amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo , il papa rileva che «niente di valido si può costruire senza il cuore…Ciò che nessun algoritmo potrà mai albergare sarà, ad esempio, quel momento dell’infanzia che si ricorda con tenerezza e che continua a succedere in ogni angolo del pianeta. Penso all’uso della forchetta per sigillare i bordi di quei panzerotti fatti in casa con le nostre mamme o nonne». La letteratura e la poesia ci aiutano a cogliere la presenza dello Spirito, che si manifesta nella quotidianità degli affetti e si dona come Grazia, per ricreare l’umano in un orizzonte di salvezza.