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Veliki trg - papez Francisek - Slovesna masa
In vista del Giubileo del mondo della comunicazione, una riflessione sul pellegrinaggio come via di speranza, il varcare la Porta Santa come simbolo di apertura per una comunicazione che diventi “arte della soglia”.

C’è un aspetto molto interessante di ogni evento giubilare: il pellegrinaggio. È la sua peculiarità ed è anche una sorta di paradosso per la storia. Può essere considerato una chiamata a non vivere nella stanzialità e nelle proprie convinzioni, a provare quel senso di incertezza che precede le grandi scelte della vita, a fissare il punto fermo che orienta il percorso da compiere… Si potrebbe continuare all’infinito nella ricerca di metafore con cui legare questo gesto primigenio – il movimento – con il contesto temporale. Per questo, si può parlare di un vero e proprio paradosso.

Pensiamoci bene: la contemporaneità è caratterizzata da una corsa continua, da un moto perpetuo, che apparentemente sembra favorire condivisione e unione, ma in realtà provoca individualismo e isolamento. Siamo più “connessi”, ma sempre più isolati. Ecco, la contraddizione del pellegrinaggio per questo tempo, che conferma la realtà: non siamo soli! C’è sempre una persona che cammina accanto o che ha già percorso quello stesso tratto di strada lasciando tracce indelebili del suo incedere. Antonio Machado, poeta e scrittore spagnolo, condensa questi pensieri in versi meravigliosi: “Viandante, sono le tue orme / il sentiero e niente più; / viandante, non esiste il sentiero, / il sentiero si fa camminando. / Camminando si fa il sentiero / e girando indietro lo sguardo / si vede il sentiero che mai più / si tornerà a calpestare” (Proverbios y cantares, XXIX).
Non è l’ineluttabilità dell’esistenza, ma l’importanza da attribuire alle singole scelte. È il pellegrinaggio che accompagna tutta l’esistenza umana. È un invito alla responsabilità nel tracciare percorsi che incidano nel futuro. Come non vedere, dunque, nel pellegrinaggio il compimento dell’azione comunicativa o informativa?
È proprio nel movimento che si dà forma alla comunicazione e all’informazione. Il richiamo al camminare, in questa accezione, sottolinea la necessità di relazioni che accompagnino, sostengano e facciano fruttificare le storie ricevute in dono. È quell’intreccio di amore e donazione che si costruisce quotidianamente. Tanti piccoli confini verso cui spingersi per guardare meglio il centro del comunicare: il cuore, l’amore, la passione. È quel punto di incontro in cui il viandante – nelle parole di Machado – misura il passo perché «camminando si fa il sentiero».

Il Giubileo del mondo della comunicazione, che vivremo dal 24 al 26 gennaio, oltre che rappresentare il primo grande raduno dopo l’apertura dell’Anno Santo, è un appello a vivere pienamente il movimento che sta a fondamento della comunicazione e dell’informazione. La riflessione spinge a una presa di coscienza di ciò che la Porta Santa, segno più evidente dell’anno giubilare, può significare per la vita personale e comunitaria. Qual è il senso per gli operatori della comunicazione e dell’informazione?
Non si percorrono strade in modo disincantato o distratto, ma il cammino stesso è immersione profonda nel tempo che si vive. Se ciò non avvenisse, mancherebbe quel tassello importante che dà ampiezza e profondità, fuggendo da un’astratta ritualità. La comunicazione, intessuta dalla speranza – tema di fondo di questo Anno Santo -, è un collante prezioso per questa opera di tessitura tra la propria esperienza e quella degli altri. Sembra pura utopia, eppure – ricorda Charles Péguy – “la Speranza vede quel che non è ancora e che sarà. Ama quel che non è ancora e che sarà. Nel futuro del tempo e dell’eternità”.

L’essere umano è strutturalmente un essere della possibilità, orientato verso il «non-ancora», verso ciò che deve venire. La speranza non è quindi un semplice sentimento soggettivo, ma una determinazione oggettiva della realtà stessa, una forza che spinge la storia verso il suo compimento. È nell’anticipazione creativa del futuro, nella capacità di immaginare e desiderare ciò che ancora non è, che si manifesta la vera essenza dell’uomo come essere utopico. “Non avere paura di sognare – afferma don Tonino Bello –. Sogna! Sogna un mondo che ancora non si vede, ma che di certo arriverà”.

La Porta aperta affascina per la forza evocativa che trasmette. E interpella in particolare chi, per mestiere, ha a che fare quotidianamente con parole, immagini, suoni, messaggi… È un punto di contatto, infatti, tra ciò che è all’interno e ciò che è all’esterno. Gli opposti si attirano e concentrano la loro forza proprio sulla soglia da attraversare: dentro-fuori, caldo-freddo, relazione-solitudine… Quel punto d’incontro diventa decisivo e segna la scelta da compiere. La soglia va attraversata: si può sostare, ma non interrompere il cammino. La luce, trattenuta da una porta chiusa, si riversa verso l’esterno con un semplice gesto compiuto distrattamente nella quotidianità: l’apertura. Pensare al senso del cammino, alla soglia, all’attraversamento delle porte che collegano le varie stanze o “proteggono” le abitazioni, aiuta a comprendere la delicatezza e l’importanza della comunicazione e dell’informazione. Entrambe trovano in questa sfumatura più che una semplice metafora.

“Pensare significa oltrepassare”, sostiene Ernst Bloch, invitando ad andare oltre, a saper ascoltare e immaginare un futuro diverso rispetto alle contingenze del presente. In questo sussulto di pensiero emerge l’azione: la comunicazione e l’informazione sono “arti della soglia”, che permettono una visione ampia della realtà. È uno degli slanci che arrivano dal Giubileo. A noi coglierne il messaggio e tradurlo in iniziativa.

Vincenzo Corrado (SIR)
Direttore dell’Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali della Conferenza Episcopale Italiana


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