Affido familiare: un segno di speranza

Far conoscere e sensibilizzare tutti sulla realtà dell’affido familiare: la bella tavola rotonda promossa dalla Commissione Diocesana per la Famiglia e la Vita.

Tanti sono stati i partecipanti, tante sono state le testimonianze e fortissime sono state le emozioni che hanno caratterizzato l’evento “Affido come segno di speranza”, organizzato dalla Commissione Diocesana per la Famiglia e la Vita, con il patrocinio del Comune di Trieste, svoltosi presso la Sala Bobi Bazlen, Palazzo Gopcevich, il 6 febbraio 2025. Il Presidente della Commissione Diocesana per la Famiglia e la Vita, Federico Berti e sua moglie Valeria hanno introdotto gli ospiti che hanno animato sapientemente la tavola rotonda “Affido familiare, un seme di speranza per tutti”, iniziando dal saluto del Vescovo Trevisi, che ha richiamato l’attenzione dei partecipanti su come la parola “affido” presupponga una fede, una fiducia nel custodire quello che è stato definito un “tesoro fragile”.

È seguito l’intervento dell’Assessore alle Politiche Sociali Massimo Tognolli, che ha sottolineato come il percorrere la strada dell’affido non sia solo una questione economica o di strutture disponibili, ma soprattutto di una “cultura partecipativa” che, con umiltà e consapevolezza, sappia mettersi in cammino.

Poi ha preso la parola il Direttore dei Servizi Sociosanitari di ASUGI Giulio Antonini, il quale nel portare a tutti i partecipanti il saluto dell’Azienda, ha detto di essere presente soprattutto in veste di ascoltatore, di fronte ad un evento che valorizza la cultura dell’accoglienza.

Enrico Sbriglia, Garante regionale per i diritti della persona, nel suo intervento ha auspicato maggior risorse per le famiglie che intraprendono la strada dell’affido e, toccando il tema dei minori stranieri non accompagnati, una valorizzazione della figura del tutore volontario.

Il momento più toccante è stato quello delle testimonianze.

Ad “aprire le danze” ci ha pensato la toccante esperienza di Anees, un ragazzo che ha sperimentato l’affido nella sua versione “leggera”. A causa di problemi nella famiglia di origine, inizia, secondo le sue parole, un percorso con una famiglia nella quale si ritrova tre sorelle. Prima solo il sabato e la domenica, poi, dopo il periodo del covid, l’affido diventa a tempo pieno. Per lui affido è stato capire cosa è “famiglia”: rapporti, regole o anche litigi ma “fatti nel modo giusto”. O la gioia di tornare a casa e trovare un piatto di pasta pronto. Ha concluso dicendo, riferendosi ai suoi genitori affidatari: “Io li chiamo per nome, non li chiamo mamma e papà, ma loro sono davvero i miei genitori”.

È stato poi il turno della famiglia Gasparo, Lucio ed Emanuela, una coppia di coniugi che ha sperimentato diverse esperienze di affido. Sul tema della serata, hanno voluto dire quale sia stata la speranza che l’affido ha portato nella loro vita e nelle vite di quelli che li incontravano. Per loro affido è “scomodità”, uscire dalla propria comfort zone, affrontando anche il giudizio degli altri, ma sperimentando profondamente la vita vera, quello che, per un cristiano è “abbracciare la propria croce”. Ma verificando che non si è mai soli, che l’amore vince sulla morte eche nulla di quello che si è donato, del quale molte volte mai si vedranno i frutti, va perduto.

È stato il turno poi Dario, padre affidatario di un ragazzo della Sierra Leone. Ha esordito dicendo che Lamin, questo il nome del ragazzo, era assente in quanto malato, e per questo sarebbe stato libero di parlarne bene “perché è davvero un bravo ragazzo”. Nel suo caso, ha continuato, è stato importante il “passaparola”: un amico, infatti, gli aveva suggerito la strada dell’affido. E, di fronte alle difficoltà che Lamin aveva incontrato, Dario ha potuto dare la sua testimonianza di una comunità che si è stretta attorno a lui ed a Lamis e, grazie anche a Servizi sociali che si sono mossi a tempo “record”, di come il suo percorso si sia concluso felicemente.

È intervenuta poi Monica Franzo referente dell’ANFAA (Associazione Nazionale Famiglie Adottive ed Affidatarie) di Trieste. La Franzo, madre affidataria single, nel portare la sua esperienza, ha sottolineato come, di fronte “a ragazzi che chiedono solo di poter essere”, non esistono schemi. L’associazionismo può essere un tassello di supporto alle famiglie che possono sperimentare e condividere il proprio vissuto con altre famiglie, scoprendo poi che le difficoltà sono per tutti le medesime. Ha concluso dicendo che un affidatario semina quello che può e quello che conosce, ma saranno poi i ragazzi a raccogliere.

Ha voluto, con l’incontro che si avviava verso la sua conclusione, prendere la parola Stefano Chicco, Responsabile del Servizio Sociale comunale. Ha parlato di storie di fiducia, speranza e resilienza: di Mosè, salvato dalle acque ed affidato alla figlia del faraone, di Cadmo fondatore della Beozia, di Dina Sanichar, allevato dai lupi in India, e di Romolo e Remo con l’intervento della lupa. Storie e miti che indicano quanta resilienza abbia dentro di sé un bambino e di quanto sia importante intervenire immediatamente nella sua vita. Nella consapevolezza che i tempi dei minori non sono i nostri tempi.

Ha poi continuato Annalisa Castellano, del Gruppo Affidi del comune di Trieste, riportando alcuni dati, i più significativi: nel 1983 vi erano in Italia 230000 minori non accompagnati, nel 2023, a quarant’anni di distanza sono 30000, molti meno, ma ancora moltissimi. Altro dato: 4 affidi su 5 derivano da procedure giudiziarie, il che vuol dire, secondo le parole della Castellano che “siamo arrivati già tardi”. Il gruppo affidi vuole arrivare prima, prevenire le situazioni di disagio dei minori mettendosi al servizio delle famiglie. Si punta a sviluppare un tipo di affido “express” dedicato principalmente ai bambini piccoli o piccolissimi. Tutto questo però non può funzionare senza una società che diventi vera e propria “comunità educante”.

Un intervento dell’Avvocato Elisabetta Burla, Garante per i detenuti, seduta fra il pubblico, ha posto l’attenzione su come sia difficile parlare di affido a soggetti che siano già sottoposti a misure restrittive. Anche per questi è stato chiesto aiuto al Comune.

Il Presidente della Commissione, chiamato a chiudere la serata, non ha potuto fare che altro che riportare i suoi appunti ripentendo le molte parole di speranza che sono state pronunciate durante tutta la serata.

Roberto Bonini

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