Cura e reciprocità alla Cattedra di San Giusto

Intervista al prof. Lucio Torelli, matematico e statistico medico, professore associato del Dipartimento Universitario Clinico di Scienze mediche, chirurgiche e della salute.
La Cattedra di San Giusto inizierà con la presentazione di un progetto su cura e reciprocità. Ce ne puoi parlare?

L’invito alla Cattedra di San Giusto ci è arrivato in quanto è piaciuto il tema che abbiamo affrontato in questi anni: il progetto “cura e reciprocità”. Ci sembra molto interessante mettere insieme questo binomio nel contesto della Cattedra di San Giusto che ha come tema i “Segni di speranza”, nella cornice dell’anno giubilare: la cura e la reciprocità sono segni di speranza.
Per venire al nostro lavoro, la reciprocità ha interrogato prima di tutto due colleghi e amici medici che si sono chiesti cosa volesse dire parlare di reciprocità nell’ambito sanitario. Nella cultura occidentale, di solito siamo davanti a due modelli decisionali: il primo, quello del “paternalismo medico”, nel quale il medico decide da solo perché sa cosa sia più utile per il paziente. Questo modello andava bene soprattutto un tempo. Oggi vi è un secondo modello, quello della “autodeterminazione del soggetto”: il paziente si informa, soprattutto in rete, e il medico deve dare solo delle informazioni.

Questi due modelli sono limitati: cosa emerge dal vostro studio?

La reciprocità implica, invece, un modello di reciprocità decisionale che è centrato sulla costruzione di relazioni di fiducia reciproca tra il curante e il curato, che implica un profondo ascolto che permette di condividere, per quanto possibile, conoscenze e priorità. In questo modo, il paziente diventa attore attivo e non solo il medico curante. Il paziente si affida al medico, ma anche il medico si affida al paziente. Il professionista, infatti, non nasconde il limite del sapere scientifico e le possibili incertezze e della carenza delle organizzazioni sanitarie locali o delle sue eventuali ridotte competenze. La reciprocità allora ha la capacità di riequilibrare il rapporto curante-curato. Non vi è la semplice somma uno più uno, paziente e medico, ma nasce si genera qualcosa di diverso.

Di cosa parlerete nella prossima Cattedra?

Nella prossima Cattedra di San Giusto cercheremo di raccontare in particolare questa esperienza che nasce da questo desiderio e che vede la sua radice dalla regola d’oro presente in quasi tutte le religioni e le filosofie: fai agli altri ciò che vuoi gli altri facciano a te. In questo senso abbiamo cercato di capire l’ambito della cura.

Cosa è emerso da questo studio?

Da questo studio sono emerse delle cose molto interessanti. Intanto cura vuol dire farsi carico dell’intero individuo, non solo fornire prestazioni. Ecco il primo concetto: non offrire prestazioni, bensì cura.
Secondo punto: alla cura del paziente partecipano diversi soggetti, non solo il medico e le varie specialità mediche. Si tratta di un lavoro più ampio.

Come è articolato il vostro lavoro?

Ogni volume del nostro lavoro è suddiviso in quattro parti. Una prima parte: il sapere bioetico in sanità, con l’obiettivo di fornire una riflessione teorica di tipo bioetico e medico sul tema della reciprocità nel contesto di cura; questa parte è scritta da professionisti esperti nell’area medica e bioetica.
La seconda parte si occupa degli altri saperi e quindi è lo sguardo interdisciplinare – e qui entra il mio contributo di matematico statistico.
La terza parte si occupa più delle tradizioni sapienziali e religiose, con l’obiettivo di fornire un contributo significativo e condivisibile da qualsiasi spiritualità, filosofia e tradizione sapienziale.
Il quarto, a cui teniamo molto, è la parte più esperienziale, con l’obiettivo di fornire esperienze concrete di reciprocità in vari ambiti, dal fisioterapista allo specializzando, al giovane studente.

Cosa ci fa un matematico a medicina?

La domanda è interessante e nasce dal pensiero che abbiamo in Occidente di separare le conoscenze e i saperi, cosa che è teorica, perché invece nell’ambito pratico è tutto in relazione. Allora anche la matematica e la statistica possono essere a servizio della medicina, per poter lavorare meglio. Si veda ad esempio la raccolta e gestione dei dati che aiutano il medico con gli strumenti matematici e numerici, al fine di poter osservare meglio le situazioni e poter, così, prendere le decisioni necessarie.

Questa è la mia esperienza da ormai una quindicina d’anni di matematico che si è trovato quasi per caso a collaborare in ambito medico. La cosa interessante è, poi, non la sola parte di didattica, ma soprattutto il lavoro di ricerca quotidiano che si fa con molti reparti e molti medici. Sarebbe sicuramente da approfondire questa riflessione. È un’esperienza molto interessante dal punto di vista della ricerca e della didattica, ovviamente con conseguenze sul lato assistenziale clinico.

Intervista a cura di don Lorenzo Magarelli

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