Impegnati per il dialogo a servizio della pace

Scambiamo ancora qualche parola con il Cardinale Nemet dopo la sua visita a Trieste in occasione della Cattedra di San Giusto
Eminenza, ci racconta qualcosa di lei?

Sono nato nella ex-Jugoslavia, in un piccolo paesino di diecimila abitanti, in una famiglia cristiana di origine ungherese. A casa abbiamo parlato solo ungherese; sulle strade e nella scuola, invece, in serbo. Frequentavo la parrocchia ed era interessante la vita. Dopo il Concilio Vaticano Secondo abbiamo usato nella liturgia tre lingue: ungherese, tedesco e croato. Sembra questo un fenomeno strano, però dalle nostre parti si parlavano sempre più lingue. Questa realtà multiculturale caratterizza la mia vita da sempre, cosicché oggi non potrei immaginarmi la mia vita in una cultura monolite. Nell’estate 1977 ho cominciato il noviziato nella Società del Verbo Divino, una congregazione missionaria, in Polonia. Dopo gli studi in Polonia e l’ordinazione sacerdotale (1983), ho trascorso due anni a Zadar (Zara), in Dalmazia. Nel giugno 1985 ho lasciato la Jugoslavia per ulteriori studi di teologia a Roma e successivamente ho svolto il lavoro missionario nelle Filippine, come docente, e vari altri servizi.

Nell’aprile 2008 il Papa Benedetto mi ha nominato vescovo in Serbia, a Zrenjanin e dopo 14 anni, Papa Francesco mi ha trasferito alla sede metropolitana di Belgrado, capitale di Serbia. Nel concistoro del 7 dicembre il Papa mi ha creato cardinale.

Una grande sorpresa la decisione del Santo Padre di crearla cardinale: come ha reagito la Diocesi e tutta la Serbia?

Papa Francesco ci ha veramente sorpreso con questa nomina. Il Papa ha sorpreso me e anche la nostra piccola communita cattolica in Serbia. Le autorità statali e religiose del paese – penso ai rappresentanti delle varie chiese e comunità religiose – mi hanno subito fatto i migliori auguri. Per la prima volta la Serbia ha un cardinale, una realtà di alto significato per la chiesa cattolica nel paese, ma anche per tutti i cittadini.

Lei è intervenuto alla Cattedra di San Giusto per aiutarci a riflettere sull’ecumenismo. Quali sono le potenzialità del dialogo ecumenico negli scenari complessi della terza guerra mondiale a pezzi? Cosa può insegnare l’ecumenismo al mondo di oggi?

Purtroppo, oggi l’ecumenismo ha perso, secondo me, la sua forza intellettuale: si attua molto di più in un ecumenismo di vita e martirio. Ci sono contatti chiari con le comunità cristiane di provenienza protestante, ma su questo versante non ci sono per ora grandi cambiamenti nelle posizioni. Ci troviamo in un periodo di lavoro e preghiera silenziosa. Ci vuole molta pazienza ed entusiasmo duraturo.

E in Serbia?

In Serbia la relazione con la chiesa ortodossa secondo me è in una fase di miglioramento. Ho buoni contatti personali con quasi tutti i vescovi ortodossi nel paese e anche con le istituzioni ortodosse. Questa relazione si limita ai contatti personali, alla partecipazione alle feste liturgiche, ai ritrovi teologici, però non include momenti di preghiera o sforzi accademici di natura ecumenica. Noi abbiamo bisogno di molto tempo per cambiare la mentalità della percezione del mondo cattolico nella società serba. Purtroppo, esistono antiche schematizzazioni sulla realtà cattolica, sul ruolo del Vaticano e della Santa Sede nel mondo slavo, specialmente serbo. Qui si tratta spesso più delle emozioni che dell’approccio razionale, basato sulle fonti storiche.

Il dialogo con l’Islam è importante nei Balcani: quale la sua esperienza?

Il dialogo con l’Islam in Serbia ha conosciuto senz’altro tempi migliori. Il problema si nasconde nel fatto che in Serbia abbiamo tre gruppi islamici, tre comunità delle quali solo una è riconosciuta dal mondo islamico come vero rappresentante dell’Islam in Serbia. Questi gruppi non sono in dialogo tra loro; anzi, se invitiamo un gruppo, gli due altri si sentono offesi. Così ci incontriamo solo raramente, per le feste statali o religiose.

A cura di
don Lorenzo Magarelli

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