“Solo chi ha vissuto tra la gente può salutare così, con quella semplicità che diventa empatia immediata”. Don Fabio Pasqualetti, decano della Facoltà di Scienze della comunicazione sociale dell’Università pontificia salesiana e consultore del Dicastero per la comunicazione, riflette sul rapporto tra Papa Francesco e la comunicazione, a partire da quel “buonasera” pronunciato alla loggia il 13 marzo 2013.
Che cosa ha rappresentato per lei quel primo gesto comunicativo del Papa appena eletto?
Quel saluto semplice e diretto ha subito creato un legame. È un gesto che può compiere solo chi ha maturato esperienza concreta tra la gente. Francesco ha vissuto la dittatura, le crisi economiche dell’Argentina, si è mosso in città in metropolitana. In situazioni così devi stabilire un contatto immediato con le persone.
Il suo “buonasera” ha avuto la forza di un evento: la normalità che diventa straordinaria.
Ecco, lui è così. Anche quando è tagliente o provocatorio, non mente. È credibile. E oggi, nella crisi della comunicazione, la credibilità è il valore più alto.
Un Papa comunicatore per vocazione più che per strategia?
Assolutamente. Il suo modo di comunicare nasce dall’ascolto profondo della realtà. Lo si vede anche nel primo messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni, nel 2014. È un testo folgorante. Non solo perché indica la comunicazione come servizio a un’autentica cultura dell’incontro, ma perché stabilisce un criterio chiave: o la comunicazione è a servizio dell’uomo, oppure diventa strumento di potere, seduzione, manipolazione.
Lei ha definito i messaggi dal 2021 al 2023 come un “algoritmo di Francesco”. Perché?
Perché rappresentano un percorso in tre tappe, profondamente coerente. Nel 2021 il Papa ci dice: “Vieni e vedi”, comunicare significa incontrare le persone dove e come sono. È la Chiesa in uscita, l’ospedale da campo, il pastore che ha l’odore delle pecore. Una comunicazione incarnata, che non attende le persone nei luoghi tradizionali ma si sposta dove la vita accade.
E cosa accade dopo l’incontro?
Nel 2022 ci viene indicato un secondo passo decisivo: ascoltare. Ma non con strumenti tecnologici, bensì con “l’orecchio del cuore”. In un mondo iperconnesso, dove tutto è ascoltato per essere sfruttato, Francesco propone un ascolto che costruisce relazione. Nella Bibbia, il cuore è il luogo della relazione con Dio. Il Papa lo assume come criterio anche per l’altro.
Quindi, solo dopo si può parlare…
Sì, ed è il messaggio del 2023: parlare con il cuore. È l’atteggiamento di Gesù. Francesco ha sempre proposto Cristo, non sé stesso. In uno dei suoi interventi disse: “Avete gridato Francesco, ma dovete gridare Gesù”. Questo è un vero pastore: non lega le persone a sé, le accompagna verso Dio.
Papa Francesco invita i comunicatori a “consumare le suole delle scarpe”. Che implicazioni ha questo approccio per chi fa informazione?
Significa che la vera informazione nasce sul campo, non dietro gli schermi. Vuol dire vedere con i propri occhi, toccare con mano, ascoltare prima di parlare. Non è un’informazione “premasticata”, fatta da altri. Lo so, non tutti hanno le risorse per fare inchieste o reportage. Ma l’idea è fondamentale: essere testimoni, non ripetitori.
È una sfida anche educativa?
Certamente. L’informazione di oggi spesso è fatta di “scosse elettriche”, non ti forma, ti scuote e poi se ne va. Serve un’educazione a un’informazione che tocchi in profondità. E questo richiede tempo, lentezza, discernimento.
Il messaggio di quest’anno insiste sul disarmo della comunicazione. È un’esigenza spirituale prima ancora che tecnica?
Sì, e credo sia nel “Dna” del cristianesimo. Gesù è l’agnello mite, non il dominatore. E oggi c’è troppa tensione, troppa rabbia. I social riflettono una società ferita. Certo, gli algoritmi incentivano certe dinamiche, ma i contenuti li mettiamo noi. Dobbiamo riconoscere che la nostra umanità, oggi, non sta bene.
Francesco parla spesso di mitezza e speranza. Come si coniugano nella comunicazione?
Appaiono quasi ingenue, in un tempo di sfrontatezza e arroganza. Eppure è ciò di cui abbiamo più bisogno. Il Papa lo ripete fin da quando era in Argentina: dire la verità è diventato un atto rivoluzionario. Viviamo immersi in una cultura della menzogna. Lui ci invita a tornare umani.
Anche l’intelligenza artificiale è al centro dei suoi messaggi. Con quale approccio?
Con lucidità e realismo. Francesco non è un tecnofobo, anzi. Ma chiede due cose fondamentali: come restare umani in questo tempo di cambiamento e come riscoprire il senso del limite. Senza limiti, paghiamo tutti: nella geopolitica, nella crisi ambientale, nell’economia. La comunicazione non fa eccezione.
Riccardo Benotti
Foto AFP-SIR
