Esserci per raccontare. Da un’altra prospettiva

Dietro a una cronaca scritta o a un servizio televisivo da San Pietro, tanto il lavoro non sempre visibile. Il "dietro le quinte" nell'esperienza di una giornalista

Sveglia alle 4.45, rapidi preparativi, un taxi chiamato all’alba e via. Direzione San Pietro. I varchi di accesso alla piazza, che alle 10 avrebbe ospitato la Messa per l’inizio del ministero petrino di Papa Leone XIV, aprono alle 6. Serve fare in fretta, per riuscire a posizionarsi bene e seguire la celebrazione. Passi veloci verso il colonnato del Bernini. Due controlli di sicurezza. La verifica del pass stampa e rapidamente su per una (interminabile) scala a chiocciola. Quando emergo sulla terrazza del Braccio di Carlo Magno, la visuale è mozzafiato. Il sole si è svegliato da poco e San Pietro e Roma sembrano ancora più belle da quassù. Tira un po’ di vento e continuerà per tutta la mattina (i colleghi mi avevano avvisata): avere una giacca e un foulard a disposizione è fondamentale. Più tardi capirò che anche un cappellino per proteggersi dal sole può essere un ottimo compagno di lavoro.

Per la prima volta mi trovo a poter seguire, come giornalista, un evento così importante. L’emozione è tanta. Non manca un pizzico di timore, come in tutte le “prime” che si rispettino. Un filo di disorientamento è normale. Vedo tantissimi fotografi, telecineoperatori, colleghe e colleghi giornalisti già in posizione, attaccati alla balaustra. Sono appena le 6.10 e sembra non esserci più un filo di spazio per affacciarsi su Piazza San Pietro. Poi qualche pertugio in qualche modo si trova, ma ciò che si conquista va presidiato con cura. Troviamo giusto un paio di sedie che si riveleranno provvidenziali. Tutto sembra imminente, ma in realtà mancano ancora 4 lunghe ore all’inizio della Messa. Un tempo utile a ripigliarsi almeno in parte dalla levataccia, spezzare il digiuno per la colazione mancata, fare il punto sui momenti salienti dell’evento, mettere giù qualche appunto e scambiare due chiacchiere con qualche collega rivisto o rivista per l’occasione, ma anche fare conoscenza con qualche vicino di postazione: si dà un volto a chi, magari, si era conosciuto solo tramite una chat di Whatsapp. Non si parla solo italiano. E già questo mi ricorda la portata internazionale di ciò che oggi si vivrà lì, giù in piazza e qui sopra.

La prima certezza è che da quassù è possibile vedere ciò che altri non possono o vedono da un’altra prospettiva, ma la seconda certezza è che da qui comunque non è possibile vedere tutto. Lo sguardo riesce ad allungarsi fino ad un certo punto della piazza e non permette di vedere il mare di gente che (lo sapremo dopo) ha riempito anche tutta via della Conciliazione. Con gli strumenti giusti – teleobiettivi potentissimi, sgabelli per stare più in alto, cavalletti e trespoli di varia natura – è possibile documentare, vedere e immortalare nei minimi particolari tutto ciò che si muove intorno. Io, con il mio fedele taccuino, la penna, un semplice smartphone e la necessità di stare un po’ più indietro, non posso fare lo stesso. Ma non è detto che sia uno svantaggio. Non tutto, nel fare il mio lavoro, passa solo ed esclusivamente dalle immagini. Resta pur sempre la preziosa parte dell’ascolto e del guardare altrove e con gli occhi del cuore a ciò che accade.

Così, posso gustarmi l’aria fresca che profuma di festa; il volo felice delle rondini che sfrecciano sopra le nostre teste e sopra la piazza vestita di tutto punto; i rintocchi delle campane che annunciano la gioia per questa giornata. E lo stupore regalatomi da un semplice sguardo dall’altra parte della terrazza: vedere Papa Leone XIV – e non siamo stati in molti ad accorgercene – uscire dalla sua abitazione, attraverso l’arco che dà su Piazza Paolo VI, salire e prendere posto sulla nuova “papamobile” prima di entrare in piazza San Pietro per il giro dei saluti.

Cosa mi porto a casa? Il risuonare della parola di Dio cantata in lingua greca secondo la liturgia delle chiese orientali che da quassù è sembrata ancora più luminosa e intensa di quanto a Trieste capiti di poter ascoltare. Il silenzio di centinaia di colleghi durante i momenti più raccolti della Messa: immagino non tutti fossero credenti… e questo mi parla di rispetto. Le parole essenziali, ma così ricche di significato che Papa Leone ha pronunciato nell’omelia e al Regina Coeli. Con un’emozione che – se non mi è stato possibile leggere sul suo volto perché troppo distante da me – ho nettamente percepito nella sua voce. Un’emozione che, in Leone XIV, non è mai disgiunta da quell’amorevole e continuo ricordo di Papa Francesco che, ancora oggi, tutti, giornalisti compresi, sentiamo tanto vicino e presente.

Il resto è già nella Storia.

Luisa Pozzar

Foto di Luisa Pozzar

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