“Vedere in prima persona le ferite inflitte a questa terra e al suo popolo dalla brutale guerra di aggressione della Russia ci ha profondamente commosso. Siamo stati profondamente toccati dalla fede incrollabile, dal coraggio e dalla speranza che animano le comunità locali nonostante così tante difficoltà”. Sono le prime parole pronunciate da mons. Mariano Crociata, presidente della Comece, al termine della visita di tre giorni nella regione di Leopoli in Ucraina che si è svolta dal 16 al 18 luglio. La delegazione ha incontrato rappresentanti della Chiesa greco-cattolica e cattolica romana in Ucraina, nonché autorità locali e membri della società civile e del mondo accademico. Con questa visita – si legge in un comunicato della Come -, i vescovi dell’Ue rinnovano il loro appello all’Unione europea affinché rimanga saldamente unita nel suo impegno a sostenere l’Ucraina e a difendere la dignità e i diritti fondamentali di tutto il suo popolo. Da Leopoli, mons. Crociata lancia un appello ai leader dell’Ue affinchè intensifichino “tutti gli sforzi diplomatici volti a raggiungere una pace globale, giusta e duratura, fondata sul diritto internazionale e sui principi di giustizia”. Il Sir ha intervistato mons. Crociata al suo rientro in Italia.
Ci racconti quale Ucraina ha trovato?
Va precisato che la delegazione della Comece, composta da me, dal segretario generale, don Manuel Barrios Prieto, e dall’esperto per le questioni estere dell’Unione Europea, Marek Misak, ha visitato l’Ucraina occidentale, precisamente Lviv (Leopoli). Nella città, a uno sguardo dall’esterno, la vita scorre tranquilla. Se si scava un po’ non ci vuole molto, però, ad avvertire la tensione e le preoccupazioni che attraversano tutti mentre si continua a portare avanti la vita di tutti i giorni. Visiti il centro per il trattamento dei veterani traumatizzati dall’esperienza della guerra, e ti accorgi di quanti e quanto grandi sono gli strascichi sulla salute fisica e mentale dei soldati e quante le lacerazioni nelle famiglie e nelle relazioni sociali, per non parlare degli effetti indiretti sulle nuove generazioni e sulla società intera. Colpisce, comunque, la voglia di lavorare e di condurre una vita il più possibile normale. Questo spiega un sentimento diffuso di voler combattere e resistere, ma anche di non farsi rubare la vita quotidiana di lavoro, di studio, di ricerca, di creatività e anche di un po’ di festa, per non rimanere schiacciati dalla guerra. Mi pare una condizione sociale di grande energia morale, sebbene ogni giorno si celebrino funerali di soldati uccisi al fronte e il settore nuovo del cimitero per i militari caduti che si offre alla vista della città non cessi di allargare i suoi spazi. In tutto ciò, la Chiesa cattolica in Ucraina svolge un ruolo decisivo non solo nel soccorso alle famiglie e alle vittime della guerra, ma anche nel preparare un futuro di dialogo e di riconciliazione.
Perché siete andati?
Da tempo pensavamo di dare espressione concreta a una attenzione e a una vicinanza che lungo questi anni avevamo manifestato in tanti modi, il principale dei quali è l’accoglienza come osservatori permanenti dei rappresentanti della Chiesa greco-cattolica e cattolica latina dell’Ucraina nella Comece. Nella nostra Commissione siamo convinti che la solidarietà che sentiamo e portiamo nei confronti dell’Ucraina – in sintonia peraltro con l’Unione europea e prima ancora con la Santa Sede – abbia bisogno di essere avvertita dallo stesso popolo ucraino, per un verso, e da quanti si sentono partecipi del dramma che esso sta vivendo, per altro verso.
Il processo di pace sembra essersi impantanato. Partono delle prospettive di dialogo ma poi falliscono… quale passo necessario chiede la pace alle parti?
Come lei dice, la situazione è difficile. Non so quanto le cronache quotidiane rendano adeguatamente conto di ciò che veramente si muove nella ricerca del superamento della guerra. Oltretutto, le posizioni espresse dai vari protagonisti della politica mondiale appaiono troppo spesso disordinate e in alcuni casi contradditorie. Impressiona che proprio mentre si parla di incontri e di trattative, sembrano farsi ancora più intensi i bombardamenti soprattutto da parte degli aggressori. Non mancano sforzi che si muovono sul piano umanitario, i quali, così facendo, preparano il terreno o quanto meno favoriscono la ricerca del dialogo. Certo è che i due che non possono mancare al tavolo delle trattative devono essere l’aggressore e l’aggredito, e insieme ad essi quanti vogliono e sono in grado di contribuire alla fine della guerra e alla costruzione della pace.
Gli sforzi diplomatici si devono moltiplicare a tutti i livelli.
In questo l’Unione Europea deve esprimere una maggiore iniziativa. La speranza è che tutti, a cominciare dai due Paesi in guerra, ascoltino le parole del Papa e la sua disponibilità ad accogliere ogni possibile iniziativa che vada nella direzione della ricerca della pace.
L’Unione europea sta purtroppo dimostrando tutta la sua incapacità e debolezza nel gestire situazioni di conflitto…cosa può effettivamente fare l’Ue per una pace giusta e duratura?
Mi pare importante rilevare la sostanziale coerenza e unità, anche se a volte esitante, dell’Unione europea in difesa dell’Ucraina e nella condanna dell’ingiustificabile aggressione che essa ha subito e continua a subire. Questo dato è importante nella dinamica complessiva, sebbene debba diventare sempre più forte e deciso. Purtroppo la sintesi politica unitaria si scontra con difficoltà soprattutto interne dovute a consistenti tendenze populistiche e nazionalistiche che dovrebbero risultare impensabili di fronte ad una palese aggressione e a una conduzione della guerra in totale spregio del diritto internazionale e del diritto nelle situazioni di conflitto.
L’Unione europea deve far sentire più alta la sua voce e deve coraggiosamente intraprendere una più ampia e articolata iniziativa diplomatica.
Armi sì, armi no all’Ucraina. Quale la posizione della Comece?
La nostra posizione è quella della Chiesa, che invita a cercare con tutti gli sforzi possibili e adeguati la fine del conflitto e la costruzione di un percorso di pace. Accanto a questo, non possono però essere ignorati l’origine, la motivazione e lo scopo dell’aggressione. Ogni sforzo deve essere compiuto per far desistere l’aggressore, di fronte al cui accanimento diventa necessario mostrare una fermezza che tolga spazio alla prospettiva che convenga e sia possibile portare avanti l’aggressione. Bisogna naturalmente distinguere tra aggressione, resistenza e deterrenza. E trovare l’equilibrio economico necessario perché l’investimento in armamenti non avvenga a carico dello stato sociale e delle fasce più deboli della comunità.
M. Chiara Biagioni (SIR)
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