Don Oreste Benzi: 100 anni di rivoluzione gentile

A cento anni dalla nascita del “prete degli ultimi”, Rimini ne celebra la figura con tre giorni di eventi, testimonianze e riflessioni (5-7 settembre)

Non è polvere d’archivio quella sollevata dal centenario di don Oreste Benzi, ma fiamma viva che illumina ancora oggi le strade, si ferma accanto a chi non ha casa, spalanca la porta di una famiglia. Nato il 7 settembre 1925, il “prete degli ultimi” continua a “parlare” con la voce di chi non ha mai smesso di abbracciare con lo sguardo e con la vita gli invisibili. Per lui,

la dignità non era un lusso da concedere, ma un diritto da difendere strenuamente.

Italia / Rimini / 22 ottobre 2005 / La notte dei senza dimora © Daniele Calisesi

 

Una vita controcorrente. Conosciuto come il “prete dalla tonaca lisa”, don Benzi, del quale è in corso la causa di beatificazione, non ha mai accettato di restare spettatore. La sua vita è stata una marcia inarrestabile contro l’emarginazione e perché nessuno fosse lasciato indietro: donne costrette sulla strada, giovani travolti dalla droga, carcerati, migranti, persone senza dimora. Ma prima di tutto, le persone con disabilità. Negli anni ’70, in pieno boom economico, la disabilità era ancora un tabù: ragazzi chiusi in casa, affidati agli istituti, trattati come un peso difficile da portare. Don Oreste decise che era ora di cambiare.

 

 

 

Nel 1968, a Canazei, ne portò alcuni in vacanza in montagna insieme ai loro coetanei.

Non fu assistenza, ma condivisione di giochi, passeggiate, canti. Spazio in cui mettere in comune i propri doni e le proprie fragilità. Un gesto semplice, ma allora per nulla scontato, rivoluzionario. Un’idea di inclusione che anticipava di decenni il linguaggio di oggi.

Sotto l’ombrellone, contro i pregiudizi. Ma don Benzi non si limitò a questo. Sulla riviera romagnola gli stabilimenti balneari rifiutavano le persone con disabilità perché fastidiose e “disturbanti” per i clienti. Non c’era posto per loro negli alberghi, nessuna colonia li accoglieva. Il sacerdote riminese, tuttavia, non si arrese: bussando ostinatamente alle porte dei gestori, uno ad uno, conquistò per quei ragazzi uno spazio di libertà, di giochi e divertimento anche in riva al mare.

E pure di messe celebrate sulla spiaggia, perché nessun ragazzo doveva sentirsi escluso neppure dalla fede.

Foto Fondazione Don Oreste Benzi

L’incontro che cambiò tutto. Una sera d’inverno del 1972, un parrocchiano lo invitò ad “andare a vedere come muore un povero cristiano”. In una stanza gelida, trovò Marino, un uomo con disabilità psichica, solo, senza famiglia e senza cure. “Invisibile” e dimenticato da tutti. Quell’incontro lo scosse profondamente facendogli ampliare la prospettiva: non bastava più offrire vacanze o aprire spazi di accoglienza; bisognava condividere la vita con i più fragili, ogni giorno. Nel 1973 nacque in Romagna la prima casa-famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII fondata da don Benzi (oggi Apg23). Un’alternativa agli istituti, un luogo dove una mamma e un papà accoglievano bambini senza famiglia, adulti feriti dalla vita, persone con disabilità. Un’intuizione del tutto nuova per l’epoca, destinata a diventare il cuore pulsante della Comunità e a diffondersi in Italia e nel mondo.

“Dove noi, anche loro”

diceva don Oreste. E quel motto divenne il fil rouge di tutta la sua missione.

Le notti con gli ultimi. Negli anni ’80, mentre la società correva, lui camminava lentamente, di notte, lungo le strade. Incontrava donne vittime di tratta, costrette a prostituirsi, e offriva loro una via d’uscita. Iniziò ad aprire “Capanne di Betlemme” per chi non aveva casa, condividendo un pasto caldo e un pezzo di vita.

Non una denuncia astratta, ma la concretezza di un amore che si fa gesto.

La Scuola del gratuito. E poi la scuola: anche in aula i ragazzi con disabilità venivano separati dagli altri e inseriti in classi speciali. Don Benzi propose un modello educativo nuovo: la “Scuola del gratuito”. Niente etichette, niente classifiche. Solo talenti da scoprire e fragilità da valorizzare. Perché, diceva,

“la fragilità non è un difetto, ma una ricchezza da condividere”.

Foto Riccardo Ghinelli

Le Giornate di don Oreste. Per ricordarlo a 100 anni dalla nascita, dal 5 al 7 settembre si terranno a Rimini le “Giornate di don Oreste”, promosse dal Comitato nazionale per le celebrazioni del centenario, dalla Fondazione Don Oreste Benzi, dal Comune e dalla diocesi riminese. Conferenze, testimonianze, momenti di festa e riflessione. Per immaginare una società nella quale le relazioni contano più dei profitti, la politica è servizio, l’economia mette al centro il lavoro e non lo sfruttamento. E proprio per rilanciare la rivoluzione inclusiva del fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII, ad aprire l’appuntamento sarà, il 5 settembre alle 17, la messa celebrata dal card. Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, sulla spiaggia libera del porto di Rimini, divenuta per l’occasione chiesa a cielo aperto, seguita da un pic-nic solidale di condivisione in riva al mare. Sabato 6 settembre, cuore dell’evento, vedrà in mattinata sei conferenze diffuse in tutto il centro città dedicate alla “società del gratuito”; nel pomeriggio al teatro Galli testimonianze e dialogo con le associazioni e le realtà del territorio impegnate sul tema della pace. Domenica 7, 100° “compleanno” di don Benzi, la messa conclusiva alle 11 nella cattedrale di Rimini, celebrata dal vescovo Nicolò Anselmi (programma completo su www.fondazionedonorestebenzi.org).

Nessuno resti indietro. A cento anni dalla nascita e a diciotto dalla morte, la voce del sacerdote è ancora un invito: non basta abbattere le barriere architettoniche, bisogna abbattere i muri dell’indifferenza. “Questo centenario – dichiara al Sir Matteo Fadda, responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII – ci interpella come eredi di una sfida che non si è mai conclusa.

Don Oreste ci ricorda che la condivisione non è un gesto straordinario, ma un modo di abitare il mondo. E soprattutto: che nessuno deve restare indietro. Perché la dignità non può essere un privilegio, ma un diritto fondamentale che appartiene a ciascuno”.

Giovanna Pasqualin Traversa (SIR)

Foto in evidenza: Stefano Amadei

 

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