Musicista, ricercatore d’archivio, scrittore, genitore: Silvio Quarantotto racchiude in sé tutte queste caratteristiche, fondendole in un’anima narrante che porta il lettore non solo in un viaggio nella memoria ma addirittura a rivivere scene di vita ormai relegate in un passato che molti hanno dimenticato o tentato di dimenticare. Molti, ma non tutti.
Attraverso le tragedie del XX secolo – introduce la presidente dell’Uciim Annamaria Rondini – una famiglia riesce ancora a frugare tra i propri ricordi ritrovando l’umanità e non soltanto dolore, odio, rancore, paura.
Nel libro si riflettono e prendono vita tanti racconti delle nonne, farciti degli antichi dialetti e sfumature linguistiche oggi appannaggio soltanto di pochi specialisti. A tutto questo fa da sfondo e accompagnamento la musica: l’inizio trasporta in un mondo onirico, dal quale poi emerge la storia nella sua concretezza quotidiana. La tradizione che diventa ponte verso la modernità con le domande di sempre: chi sono? da dove vengo? dove sto andando?
Valentina Dordolo conduce ponendo la prima domanda: come e quando l’autore ha avuto l’idea di scrivere questo romanzo dandogli questa struttura?
Il Covid – come ben si sa – ha chiuso in casa le persone per due mesi e ne ha limitato la vita per più di un anno ancora. Un giorno qualunque, durante una passeggiata sulla pista ciclabile della Val Rosandra, il nostro autore incontra un gregge di capre: alcune sulla pista, altre abbarbicate sulle rocce, in precario e misterioso equilibrio. Quante greggi queste pietre hanno visto passare? Se le capre sapessero parlare, quante storie potrebbero raccontare? Lo sguardo cade poi sulle pietre dell’ex ferrovia: quanti treni sono passati per di qua? Chi erano i passeggeri? Quante storie avrebbero da trasmettere sia quelle pietre sia quel treno? Il pensiero dell’autore vola all’istante alla propria famiglia e alle sue radici: sa che è di origine istriana, ma conosce ben poco dei suoi antenati. Alcuni viaggi all’archivio di Pisino gli permettono di risalire fino al 1700, a quel Nicolò Quarantotto, sposatosi a Orsera e fondatore della dinastia; insieme ai nomi delle persone emergono anche momenti di storia difficili, con tafferugli, fughe, ricerche. Ma emergono anche racconti, proverbi, filastrocche, modi di dire, tutti rigorosamente nei dialetti locali. Come dare corpo a tutto questo materiale? Come mettere insieme tante storie e tanti racconti senza un filo logico tra di loro? L’idea geniale gli viene dalla musica: Modest Mussorgsky aveva composto “I quadri di un’esposizione”, dove il musicista russo, girando tra i vari dipinti, aveva coniato una melodia che ne facesse risaltare lo spirito. Da buon musicista, Silvio Quarantotto coglie l’idea e il lavoro prende vita.
Il lettore Santo di Stefano dà voce ad alcune pagine, che qui citiamo a senso: nell’Ouverture, ambientata sulla Ferrovia Parenzana, si sente una locomotiva che arranca, gravata di un numero sempre più alto di vagoni, a loro volta colmi di un carico umano molto pesante (soldati, ebrei al fronte, esuli, yugoslavi, ucraini, l’Arciduca con la moglie Sofia e anche Gavrilo Princep). È un treno di fantasmi, ciascuno dei quali con la propria storia.
E il lavoro sulle fonti? Quella è la parte più bella, riferisce l’autore: cercando tra i documenti, non trovava l’atto del terzo matrimonio dell’antenato di Nicolò, fondamentale per ricostruire il resto. Dov’era? Nel fascicolo sbagliato, messo lì forse perché c’era ancora posto, in un’epoca in cui niente doveva andare sprecato. Da Napoleone in poi, inoltre, i documenti cambiano aspetto: al posto di lunghe parti discorsive ci sono delle sintetiche tabelle.
Dalle storie emergono varie scenette di vita quotidiana, alcune buffe, altre tristi, altre ancora tragiche: il battesimo di un bambino con un’ostetrica inopportunamente ciarliera, la fucilazione di alcuni rivoltosi, l’incontro di due ragazzi con un vecchio zio reduce di guerra e malato di tisi.
Ma com’era la vita nei paesi dell’Istria di allora? La moglie dell’autore, di origine sarda, ha fatto più volte percepire all’autore la coesione tra gli abitanti del suo paese, lasciandogli immaginare altrettanto nei paesi dell’Istria.
Il filo conduttore musicale porta anche alla Babayaga: nel folklore russo è una strega con le zampe di gallina che mangia i bambini. Nel nostro libro la vera strega è la guerra, con tutte le sue atrocità. Da Napoleone in poi, infatti, è cambiato il modo di fare la guerra: da scontro fra eserciti a distruzione in massa della popolazione. Il numero dei morti parla da sé.
Tante sarebbero ancora le cose da chiedere, tra cui: che dire di Trieste? La città ha accolto circa 60mila profughi, per cui oggi molti triestini possono vantare ascendenze istriane: infatti, vedendo lo spettacolo tratto dal libro, più di qualcuno di essi ha esclamato: “Ma questa è anche la mia storia!”.
Una storia che può riguardare molti di noi, dove la sfida tra memoria, passato e futuro è sempre aperta. E dove i fantasmi vanno incontrati e conosciuti senza paura.
Iris Zocchelli
Nella foto in evidenza: un momento dell’incontro con Silvio Quarantotto.