Padova, 10 ottobre 2025 – È stato annunciato in questi giorni che il primo viaggio apostolico di papa Leone XIV si svolgerà in Turchia e Libano (27 novembre-2 dicembre) con pellegrinaggio all’antica Nicea a 1700 anni dal Concilio. Abbiamo chiesto quale valore assume questo gesto al vescovo Paolo Bizzeti, dal 2015 al 2024 vicario apostolico dell’Anatolia, che ha commentato:
«Visitare il gregge di persona e portare la vicinanza del Buon Pastore è il senso di questi viaggi papali. La Turchia e il Libano sono paesi importantissimi non solo per il passato cristiano ma anche per l’oggi della vita cristiana: sono un laboratorio in cui dobbiamo essere presenti attivamente e umilmente. L’anniversario di Nicea è un’occasione per ravvivare lo spirito che animò i padri conciliari: esprimere in termini e categorie nuove la propria fede, cercando ciò che unisce».
Mons. Paolo Bizzeti, che per alcuni anni è stato anche docente della Facoltà teologica del Triveneto, ha presieduto l’8 ottobre la celebrazione eucaristica di apertura dell’anno accademico 2025/2026 e nell’occasione ci ha rilasciato un’intervista.
Lei è arrivato in Turchia con una nomina di Papa Francesco a vicario apostolico dell’Anatolia nel 2015, all’indomani della morte di monsignor Luigi Padovese, assassinato il 3 giugno del 2010, e vi è rimasto fino a novembre 2024. Un’eredità non facile da gestire. Che terra ha trovato, sia sotto l’aspetto sociale che pastorale?
«La Turchia è un paese molto affascinante sia per la variegata geografia sia per le molte anime etniche, culturali, religiose. La gente del popolo è molto gentile ed educata. Naturalmente ci sono anche delle durezze, chiusure, pregiudizi. La pastorale cattolica è molto limitata da leggi o prassi che impediscono la costruzione di cappelle, centri giovanili e culturali. Tutto avviene dentro alcune poche parrocchie stabilite secondo il trattato di Losanna di un secolo fa».
Il cristianesimo in Turchia ha una tradizione vivissima, insediata fin dai primordi, sebbene oggi ridotta a numeri modesti. Il suo desiderio fin dall’inizio è stato quello di fare nascere “una chiesa di turchi per i turchi”. Che cosa significava?
E che cosa significa oggi essere cristiani in Anatolia?
«Dopo oltre due secoli di presenza cattolica, per restare ai tempi recenti, non è sorta una chiesa locale, con clero locale, con apparati diocesani appropriati e adeguati alla cultura turca. Ciò è stato un limite grosso, specialmente se paragonato a quanto avvenuto in altri paesi del mondo. Non mancano i motivi di questo, sia di condizionamenti dovuti a un mondo islamico e civile chiuso sia al fatto che gli ordini religiosi hanno puntato a mantenere le loro chiese, conventi e opere a scapito della dimensione diocesana. Oggi i cattolici sono una minoranza insignificante e tuttavia viva, accettando di essere marginali ma consapevoli del dono di credere in Gesù salvatore. Ci sono poi i rifugiati cristiani che provengono dai paesi vicini e i neofiti che saranno probabilmente la chiesa del prossimo futuro».
Come vengono vissuti i rapporti fra le diverse confessioni cristiane? E con il mondo islamico?
Come vede il dialogo interreligioso?
«Essendo tutte le confessioni cristiane costituite da numeri assai piccoli, la collaborazione ecumenica è vivace e serena, accettando le differenze, costitutive da secoli. I rapporti con il mondo islamico sono molto variegati a seconda degli interlocutori e del taglio di ogni corrente dello stesso mondo islamico. L’Islam politico è molto preoccupato della propria leadership anche a causa di una dissennata politica occidentale che ha danneggiato molto il cristianesimo, ad esempio con le due sciagurate guerre del Golfo. Io non amo parlare di dialogo interreligioso: preferisco parlare di incontri religiosi dove ciascuno condivide la propria esperienza di Dio, la preghiera, l’anelito alla giustizia, l’aiuto ai poveri, eccetera».
Guardando più in generale ai conflitti in corso (Ucraina-Russia, Israele-Palestina), secondo lei, come si costruisce la pace e la convivenza fra i popoli, la convivenza fra le religioni?
«Anzitutto tutti gli uomini religiosi devono essere risoluti nel vietare l’uso del nome di Dio per giustificare la violenza o la conquista della terra. Sulla terra siamo tutti ospiti di Dio. La pace è il frutto di una convivenza dove l’altro è accolto nella sua diversità, rispettando i diritti umani e la dignità di ogni persona. Inoltre non è giustificabile l’invasione di terre altrui o bombardamenti che negano il diritto internazionale, le risoluzioni dell’ONU, così come misure di ritorsione economica che di fatto rafforzano i gruppi al potere e affamano il popolo. La libertà di scelta religiosa poi è un pilastro irrinunciabile della pace e non va relegata all’interiorità. Ma le religioni devono accettare che l’unico Dio ha molte strade diverse per condurre gli uomini alla salvezza, purché rispettino la dignità e uguaglianza di ogni membro della famiglia umana, particolarmente quella delle persone più vulnerabili».
La Turchia è un mosaico, un caleidoscopio, e questa è la sua forza ma anche la sua debolezza. Il 45% delle persone nelle ultime elezioni ha votato contro il governo attuale: che segnale ci dà questo numero? E la Turchia può essere un partner per l’Europa?
«Io infatti affermo che ci sono molte Turchie ed è un grande laboratorio di diversità che devono imparare a vivere insieme: non c’è alternativa. Il governo attuale è al potere da moltissimi anni e tanta gente desidera un cambiamento, non mi sembra sia scandaloso. Però i grandi detentori del potere mondiale non devono condizionare la ricerca del popolo turco di un proprio assetto. Tra Europa e Turchia credo si debbano trovare forme reali di collaborazione, uscendo dal vicolo cieco di un sì o un no totalizzanti».
Nella chiesa oggi si parla di nuova tappa dell’evangelizzazione. Come si riempie di significati, di gesti concreti questa espressione? Come darle corpo?
«L’evangelizzazione è il compito che il Signore ha avuto al centro della sua vita e che ha consegnato a coloro che vogliono seguirlo. Questo vale per ogni epoca, quindi niente di nuovo. Tuttavia è vero che oggi abbiamo urgente bisogno di ricomprendere la Buona Notizia e che le opere e parole di Gesù – che ci manifesta in modo inequivocabile chi è Dio, cosa fa e cosa vuole – sono tutte una Buona Notizia. Ma in che senso? Oggi come sempre non è evidente. Come può essere una Buona Notizia, anzi “La” Buona Notizia per eccellenza, che un uomo buono e mite, che ha risanato e liberato… sia stato crocifisso, sia morto e sepolto per davvero? C’è un paradosso da indagare, non può essere una formuletta magica che si limita a dire: è risorto. Pertanto dobbiamo ripartire dall’Antico Testamento e ricomprendere tutto il percorso con cui il Signore Dio ha accompagnato il suo popolo. Concretamente significa riprendere in mano la Bibbia, dall’inizio alla fine, in modo sistematico ripercorrere il lungo e faticoso cammino della Storia della Salvezza. Dopo di che bisogna ripercorrere la storia della Chiesa per poter quindi imparare a dialogare con le sfide e le culture di oggi essendo maggiormente consapevoli della propria identità».
Lei è stato per molti anni presidente di Caritas Anatolia, che in questi anni è stata chiamata a un grande impegno per la popolazione provata dalla guerra, dal dramma dei profughi provenienti da Siria, Afghanistan, Iraq e Iran, e dal terribile terremoto del 6 febbraio 2023. Quali sono attualmente i progetti in atto e in cantiere?
«Anzitutto i poveri ci aiutano a fare verità, a guardare con altri occhi il mondo che abbiamo costruito. Allora si comprende che abbiamo bisogno di cambiare la nostra civiltà, disumana e poco progredita in umanità. Inoltre, i rifugiati cristiani che io seguo in Turchia e in Italia sono una grande risorsa e non ha senso chiudere le porte per paura, quando invece essi ci portano una ventata di novità e di fede viva, insieme ai loro molti problemi che però sono l’occasione per uscire da noi stessi e dare un senso alla nostra vita e alle nostre risorse. In concreto noi adesso aiutiamo nel cercare lavoro e casa in modo da dare dignità e possibilità di un buon inserimento a questi fratelli e sorelle: è un vantaggio per tutti».
Paola Zampieri (Fttr)