Ogni anno, da cinquant’anni, migliaia di scout da tutta Europa, a cavallo tra ottobre e novembre, camminano alcuni giorni per arrivare davanti alla Basilica di Vézelay, in Francia, dove vegliano la notte. È un evento partecipatissimo, quest’anno i rover (scout per lo più giovani adulti) che vi hanno preso parte sono stati 3600, in aumento rispetto al passato. Di questi, la maggior parte proviene dalla Francia, ma ce n’erano molti anche da Belgio, Germania, Italia e alcuni addirittura dalla California.
Quando ero scout a Trieste non vi ero mai andato, ma trovandomi adesso a Bruxelles, da dove partiva uno dei tracciati e avendo degli amici del Lussemburgo che mi avrebbero accolto durante il loro cammino, ho colto l’occasione e mi sono unito. La partenza è prevista la sera, l’arrivo alle prime luci dell’alba, nel cuore della Borgogna. In silenzio ciascuno monta la propria tenda, io mi infilo in quella di Marco, il mio collegamento con il gruppo lussemburghese, giusto alcune ore di sonno perché appena il sole è alto il cammino ricomincia.
Appena svegli è possibile fermarsi a contemplare la bellezza della campagna francese: c’è una chiesa, un castello, un fienile e tante verdi colline. Distinti in pattuglie, dopo colazione inizia la marcia: ci sarebbero voluti ancora due giorni pieni per arrivare a destinazione. L’atmosfera è difficile da ricreare, non c’è una macchina, le case sono scarse, e le strade per lo più carraie. Tutto attorno campagna sconfinata.
Per uno scout è normale camminare, soprattutto immerso nella natura. Questa è però un’esperienza diversa: forse è la consapevolezza di trovarsi nel centro del continente, a centinaia di chilometri dal mare; forse è la massiccia presenza di acqua, che rende tutto rigoglioso e umido; forse è la spiritualità che questi luoghi suscitano.
La prima sera ci sono le partenze: questo, che è un passaggio normale anche dello scoutismo italiano ed è il momento in cui finisce la normale esperienza scout e inizia il servizio, nella vita o nel gruppo, durante il pellegrinaggio a Vézelay è celebrato con una convinzione e ritualità per me inedita. Prima ciascuno racconta le ragioni della propria scelta di prendere la partenza, ponderata anche anni; poi, accompagnato da un padrino, che è al contempo padre spirituale e punto di riferimento durante la preparazione, alla luce di sole torce vi è la cerimonia vera e propria. Al suo termine il départ routier si allontana nel bosco: continuerà il cammino in autonomia e lo si rivedrà a destinazione.
Dopo un altro giorno di strada, immersi in splendidi paesaggi, tra fiumi, boschi e finalmente bagnati dalla pioggia, in lontananza si scorge il villaggio di Vézelay, arroccato su una collina che passo dopo passo si fa sempre più grande. Alle sue pendici, al sopraggiungere del buio inizia la veglia di adorazione. In una straordinaria sacra rappresentazione si ricordano i cavalieri e i paladini che secoli prima hanno seguito il nostro stesso cammino (salvo poi continuare fino a Gerusalemme). Allora, in una fila ordinata, quasi quattromila persone ascendono, pregando, verso il sagrato della Basilica di Santa Maria Maddalena. Riuniti tutti quanti, un coro di voci canta marchons les gueux: marciamo, mendicanti. Chi ha preso la propria partenza durante l’anno (anche io quindi), bussa alle porte della chiesa che vengono aperte e consentono ai pellegrini di arrivare alla vera destinazione del proprio viaggio.
L’adorazione eucaristica accompagnata dal vescovo locale dura alcune ore, durante le quali il brusio delle voci dei penitenti si confonde ai canti e alle preghiere. A notte inoltrata ciascuno torna alla propria tenda per riposare l’ultima notte prima della grande celebrazione del giorno dopo. Domenica piove, diluvia, il campo si smonta, gli zaini si coprono con dei sacchi, c’è una grande Messa e un rapido raccoglimento finale. Allora ciascuno prende le proprie cose e in fretta si entra nelle auto e nei pullman, in direzione di casa. La cosa più strana sarà tornare alla vita di tutti i giorni: il ricordo dell’esperienza e delle persone incontrate però rimarrà a lungo.

Emanuele Castelli



