Mercoledì 16 dicembre la musica – e che musica – è entrata in carcere. Grazie, infatti, alla collaborazione tra il Conservatorio di Musica “Giuseppe Tartini” di Trieste e la Caritas diocesana, in occasione del Giubileo dei detenuti, due gruppi di musicisti hanno fatto ingresso nei locali della Casa Circondariale “Ernesto Mari” per esibirsi in concerto – “Ritmi di Speranza: Jazz per il Giubileo” il titolo dell’appuntamento – a favore di un pubblico per loro davvero inconsueto: quello composto dalle detenute e dei detenuti. La scelta del jazz non è stata casuale. Questo genere musicale, infatti – come si leggeva nella presentazione della rassegna – “è un invito ad abbracciare la complessità della vita con coraggio e apertura, per trasformare le difficoltà in opportunità di crescita e dialogo. La sua natura creativa diventa così un simbolo potente di speranza e rinascita: proprio come il jazz nasce dall’incontro e dalla capacità di trasformare l’imprevisto in armonia, anche le persone detenute possono trovare nuovi modi per riscoprire sé stesse e immaginare un futuro diverso”.
Abbiamo ascoltato, a concerti conclusi – tre nella sezione maschile e uno nella sezione femminile – le impressioni e le emozioni di due degli otto componenti dei gruppi musicali che hanno portato brani standard – termine con il quale si indicano brani del repertorio jazz storici e molto conosciuti – e composizioni originali. Sofia Bondel, studentessa della triennale, al secondo anno di contrabbasso jazz, era presente con il quartetto composto da Francesca Acero alla voce, Alberto Rizzarelli al piano, Francesco Sentieri alla batteria. Luca Mattiuzzo, laureato triennale e studente al biennio magistrale di basso elettrico, faceva parte, invece, del secondo gruppo composto anche dal sassofonista Sebastiano Prade, dal pianista Samuele Gandin (compositore dei brani inediti eseguiti per l’occasione) e dal batterista Fabricio Bertrami.
«È stato uno dei nostri professori a coinvolgerci in questa esperienza» ci dicono quasi all’unisono Bondel e Mattiuzzo «Mirko Rubegni, insegnante di tromba, sapendo che avevamo questi nostri gruppi, ci ha chiesto se volevamo partecipare e, senza pensarci un attimo, abbiamo subito detto di sì». Un’esperienza insolita, ma soprattutto inattesa per entrambi: «Di solito le esperienze che si fanno con il Conservatorio sono in teatro o nelle sale da concerto» spiega Bondel «in carcere proprio non me l’aspettavo e questa cosa mi ha un po’ spiazzata». Mattiuzzo, da parte sua, dice di essere stato «super curioso, non sapevo cosa aspettarmi e quindi mi sono detto, io che tendo a buttarmi nelle cose, che mi sarei buttato anche questa volta e ne sono stato molto felice».
L’impatto con un ambiente carcerario non è semplice. Si entra in una sorta di “altro mondo”, con regole, restrizioni e meccanismi che scuotono chi li incontra per la prima volta. E la prima impressione, anche per questi due giovani musicisti, è stata di sorpresa:
«L’ambiente nel quale abbiamo incontrato i detenuti era abbastanza simile a una scuola, perché era molto colorato. Credo ci trovassimo in una delle aule in cui loro fanno lezione: un ambiente decisamente diverso da quello che uno si immagina quando pensa al carcere. Un primo impatto abbastanza sorprendente»
per Bondel. Mattiuzzo invece non sapeva bene cosa aspettarsi e racconta che
«al primo contatto con loro, senza parlarci, solo guardandoli mi sentivo un po’ sulle spine… ma ho capito che questo mio stato d’animo non aveva ragione d’essere perché alla fine è andato tutto bene. Diciamo che mi sono fatto abbastanza guidare da quello che succedeva».
La capacità di mettersi in ascolto, quindi: e chi meglio dei musicisti sa cosa significhi? «Siamo tutti condizionati dai pregiudizi, ma ho deciso di tenermi aperto», chiosa Mattiuzzo, mentre per Bondel «alla fine è stata un’esperienza anche di dialogo che di solito non capita in un luogo del genere. Insomma, non è come andare a prendersi un caffè al bar».
Le emozioni suscitate dalla musica dal vivo – una fruizione ben diversa rispetto a quella tramite dispositivi – hanno smosso anche domande da parte dei detenuti e, in qualche breve scambio di parole, ecco che le barriere sono cadute.
«Alla fine, parlandoci, ho capito che erano ragazzi come noi, con una storia leggermente diversa dalla nostra. La musica è stata un pretesto per portarci là e permetterci di vivere questa esperienza»
dice ancora Mattiuzzo. «Abbiamo cercato di portare a loro una parte delle nostre emozioni» aggiunge Bondel «e penso che, considerato il momento che stanno vivendo e il posto nel quale si trovano, per loro siano molto importanti».
«Portare la musica in carcere è fondamentale per permettere anche a queste persone di emozionarsi e avere la possibilità di ascoltare musica – cosa essenziale per molti di noi – perché altrimenti rischiamo di trattarli come animali da allevamento. E direi soprattutto musica dal vivo che ha tutto un altro valore. Una differenza stravolgente perché un brano che magari non ti ascolteresti su disco, dal vivo può anche cambiarti la vita».
Un’esperienza forte, quindi, quella vissuta in musica all’interno delle mura carcerarie. Cosa si portano a casa questi giovani e talentuosi musicisti? «Direi che per me è stata una bella scoperta, nel senso che è proprio stato come togliere un velo a una cosa che era nascosta ai miei occhi. Ho dato un volto a delle persone e a una realtà che non conoscevo. E porto con me la parola necessità, perché credo sia un’esperienza necessaria da fare, e la parola umanità perché dobbiamo ricordarci anche di queste persone e tenerle in considerazione quando parliamo di società. Perché loro ci sono e sono persone vere» incalza Mattiuzzo. «È stata una magnifica esperienza» conclude Bondel «io mi porto a casa le persone che ho conosciuto là, che, alla fine, sono persone come noi. Se dovessi scegliere una parola direi inclusività perché ci hanno veramente portato in quel loro mondo. Ci hanno fatto vedere cosa fanno: anche noi in Conservatorio abbiamo le nostre classi, i nostri compiti da fare e anche loro hanno delle attività. Ci hanno portato a vedere il laboratorio di serigrafia e ci hanno fatto vedere le magliette che hanno realizzato: è stato davvero bellissimo».
Luisa Pozzar
Foto in evidenza: tratta da pickpik.com
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