“La pace sia con voi!”. “Grazie del lavoro che fate”. Sono l’inizio e la fine del primo discorso di Leone XIV al Corpo diplomatico, tradizionale occasione per uno sguardo globale sulla situazione internazionale. Tre, per il Papa, le parole-chiave che sintetizzano la missione della diplomazia pontificia: pace, giustizia e verità. Tre grimaldelli per affrontare le principali sfide del mondo presente:
“le migrazioni, l’uso etico dell’intelligenza artificiale e la salvaguardia della nostra amata Terra”.
La prima immagine scelta dal Santo Padre, nella Sala Clementina, è quella della comunità diplomatica della Santa Sede come famiglia, che “rappresenta l’intera famiglia dei popoli, combatte ogni indifferenza e richiama continuamente le coscienze, come ha fatto instancabilmente il mio venerato Predecessore, sempre attento al grido dei poveri, dei bisognosi e degli emarginati, come pure alle sfide che contraddistinguono il nostro tempo, dalla salvaguardia del creato all’intelligenza artificiale”.
“La vostra presenza oggi è per me un dono”,
l’omaggio del Papa. “In un certo senso, la mia stessa esperienza di vita, sviluppatasi tra Nord America, Sud America ed Europa, è rappresentativa di questa aspirazione a travalicare i confini per incontrare persone e culture diverse”, il riferimento alla sua biografia. La prima parola-chiave è pace, costantemente nominata e invocata fin dal suo primo affaccio dalla Loggia delle Benedizioni. Non è “una parola negativa, una semplice tregua tra una contesa e l’altra”: “è un dono attivo, coinvolgente, che interessa e impegna ciascuno di noi, indipendentemente dalla provenienza culturale e dall’appartenenza religiosa, e che esige anzitutto un lavoro su sé stessi”:
“La pace si costruisce nel cuore e a partire dal cuore, sradicando l’orgoglio e le rivendicazioni, e misurando il linguaggio, poiché si può ferire e uccidere anche con le parole, non solo con le armi”,
le parole sulla scorta della spiritualità agostiniana.
“Sradicare le premesse di ogni conflitto e di ogni distruttiva volontà di conquista”
è allora un compito che non solo le religioni, ma ciascuno di noi è chiamato a svolgere: “Ciò esige anche una sincera volontà di dialogo, animata dal desiderio di incontrarsi più che di scontrarsi”. Sul piano internazionale,
“è necessario ridare respiro alla diplomazia multilaterale”
e alle istituzioni internazionali volute e pensate per porre rimedio alle contese. “Certo, occorre anche la volontà di smettere di produrre strumenti di distruzione e di morte, poiché, come ricordava Papa Francesco nel suo ultimo Messaggio Urbi et Orbi, nessuna pace è possibile senza un vero disarmo l’esigenza che ogni popolo ha di provvedere alla propria difesa non può trasformarsi in una corsa generale al riarmo”. Perseguire la pace, in secondo luogo, “esige di praticare la giustizia”. Come già aveva fatto nella prima messa con i cardinali, anche davanti agli ambasciatori Leone XIV è tornato sulla spiegazione del nome scelto da Pontefice: “Ho scelto il mio nome pensando anzitutto a Leone XIII, il Papa della prima grande enciclica sociale, la Rerum novarum”. “Nel cambiamento d’epoca che stiamo vivendo,
la Santa Sede non può esimersi dal far sentire la propria voce dinanzi ai numerosi squilibri e alle ingiustizie che conducono, tra l’altro, a condizioni indegne di lavoro e a società sempre più frammentate e conflittuali”, l’indicazione di rotta: “Occorre adoperarsi per porre rimedio alle disparità globali, che vedono opulenza e indigenza tracciare solchi profondi tra continenti, Paesi e anche all’interno di singole società”.
“È compito di chi ha responsabilità di governo adoperarsi per costruire società civili armoniche e pacificate”, l’appello ai grandi della terra. “Ciò può essere fatto anzitutto investendo sulla famiglia, fondata sull’unione stabile tra uomo e donna, società piccola ma vera, e anteriore a ogni civile società”, la priorità. Per Leone XIV, inoltre, “nessuno può esimersi dal favorire contesti in cui sia tutelata la dignità di ogni persona, specialmente di quelle più fragili e indifese, dal nascituro all’anziano, dal malato al disoccupato, sia esso cittadino o immigrato”.
“La mia stessa storia è quella di un cittadino, discendente di immigrati, a sua volta emigrato”,
ha detto con accenti personali: “Ciascuno di noi, nel corso della vita, si può ritrovare sano o malato, occupato o disoccupato, in patria o in terra straniera: la sua dignità però rimane sempre la stessa, quella di creatura voluta e amata da Dio”. “Non si possono costruire relazioni veramente pacifiche, anche in seno alla comunità internazionale, senza verità”, il riferimento alla terza parola, tramite la quale il Papa è tornato sul tema della comunicazione, già affrontato nella prima udienza pubblica, dedicata ai giornalisti.
“Laddove le parole assumono connotati ambigui e ambivalenti e il mondo virtuale, con la sua mutata percezione del reale, prende il sopravvento senza controllo, è arduo costruire rapporti autentici, poiché vengono meno le premesse oggettive e reali della comunicazione”,
il monito: “Da parte sua,
la Chiesa non può mai esimersi dal dire la verità sull’uomo e sul mondo, ricorrendo quando necessario anche ad un linguaggio schietto, che può suscitare qualche iniziale incomprensione.
La verità però non è mai disgiunta dalla carità, che alla radice ha sempre la preoccupazione per la vita e il bene di ogni uomo e donna”. “Lasciare alle spalle le contese e cominciare un cammino nuovo, animati dalla speranza di poter costruire, lavorando insieme, ciascuno secondo le proprie sensibilità e responsabilità, un mondo in cui ognuno possa realizzare la propria umanità nella verità, nella giustizia e nella pace”, la consegna finale:
“Mi auguro che ciò possa avvenire in tutti i contesti, a partire da quelli più provati come l’Ucraina e la Terra Santa”.
M. Michela Nicolais (SIR)
Foto in evidenza: Vatican Media/SIR